domenica 22 maggio 2011

Viagra? No grazie, Testamento.

Invecchio, io. Me ne rendo conto: lascio che la parte consapevole di me sia avvertita dall'inconscio. L'inconscio ascolta il corpo, il suo modificarsi; l'inconscio ascolta ascolta la psiche, il suo evolvere.  Io ascolto l'inconscio: me ne rendo conto: invecchio.
In questi giorni sono venuti alla ribalta due "potenti", rispettivamente un francese ed un italiano, protagonisti di avventure sessuali "chiacchierate". Entrambi sono anagraficamente  più vecchi di me (l'italiano anatomicamente potrebbe essere mio padre, nel senso che quando nacqui aveva già superato l'eta in cui un ragazzo si sviluppa) .
Evidentemente essi hanno messo un filtro al loro inconscio. Non  parlo del francese, non conosco abbastanza bene il suo mondo. Ma so benissimo come funziona il mondo dell'italico satiro. E' un uomo di marketing. Esistono tecniche di marketing che si ispirano alla PNL e fin lì andrebbe bene (per modo di dire). Vi sono poi del "furbi" che usano la PNL per raggiungere i "loro obiettivi". In questo modo, per vincere le loro inibizioni, esitazioni, per accorgersi di fare dei passi giusti sul percorso che si sono definiti, usano tecniche PNL per "ingannare la loro mente". Il modo migliore per non "sentire".
Immagino che il satiro italico, si auto-illuda che le donne che lo circondano siano attratte dal suo fascino e dalle sue galanterie, non dalle opportunità economiche e professionali che lui offre. (Così come manager si illudono di andare sulla strada giusta e se i risultati non ci sono, usano l'alibi della "crisi")

Su quel tema, come suol dirsi "ho ceduto le armi". Non che non sia più sensibile al fascino femminile, anzi, sono sensibile solo al fascino femminile. Non faccio più molto caso alle forme fisiche, ma allo stile, ai gesti, al modo di parlare, addirittura al lessico.
Quand'ero giovane e scapolo, rimanevo colpito dalla bellezza di Gong Li, Witney Huston, Ewa Froeling (la madre di Fanny e Alexander)...
Si vede che il mio inconscio voleva spargere il mio codice genetico in tutte le razze umane, anche se poi ho sposato una piemontese di cui sia ha testimonianza di avi in Piemonte fin nel medioevo!
Ora, ma mia moglie non ha motivo di ingelosirsi, mi affascinano di più Marina Corradi ed Elena Loewenthal (tanto per dire il fascino del lessico!).
Il mio inconscio sa che non devo ormai più fare figli. Sa che devo trovarmi eredi. Ma, come dico nella mia versione in piemontese di "teach your children well", essendo senza terreni la mia eredità è il mio "lavoro-pensiero".  La offro sicuramente a mio figlio e sono grato della compagnia di mia moglie per realizzare questa offerta, per trasformare il figlio in erede. (e collaboro con lei per rendere eredità anche il suo "lavoro-pensiero". )
Ma essendo il pensiero un bene non numerabile, non impacchettabile, sento che la mia eredità può essere "sparsa ed accolta" senza limiti. Occore, oltre averla, imparare a raccontare (offrire) in modo affascinante.

Perchè ho scritto questo testo? Boh forse perchè spero di aumentare il numero dei visitatori grazie a una parola del titolo.....

lunedì 9 maggio 2011

Agile senza saperlo 3 - I difensori di Stalingrado

Dopo una lunga assenza riprendo questo blog e il tema "agile senza saperlo".
Questa volta i protagonisti sono i difensori di Stalingrado, così come me li ricordo descritti nella più grande opera letteraria del XX secolo, vale a dire "Vita e Destino" di Vasilij Grossman.

L'Unione Sovietica era la patria della "pianificazione". Tutta l'attività umana si doveva svolgere secondo piani prestabiliti: nulla era lasciato al caso, all'iniziativa del singolo. (La descrizione del mondo sovietico viene raccontata secondo me, in modo succinto ma efficace in Tabula rasa elettrificata di Giovanni Lindo Ferretti.)
Invece durante gli eventi bellici, tutta una serie di strutture prestabilite "saltano" e i difensori diventano protagonisti delle loro vicende seppur tragiche. In particolare quelli della "casa 6/1", guidati dal comandante Grekov, che sebbene moriranno sotto il fuoco tedesco, vivono dei momenti di libertà mai conosciuta e grazie a questa sensazione saranno capaci di combattere da eroi.
In modo estremo viene descritta l'importanza dell'essere motivati, dell'essere coinvolti, della leadership (il comandante Grekov),della comunicazione efficace, delle decisioni rapide.

Ma sempre su questo tema e sempre sull'Unione Sovietica, ecco un ricordo personale. Andai in URSS nell 1998, ancora URSS ma già era Gorbacev. Trovai i ristoratori, baristi, negozianti, impiegati delle poste e delle biglietterie più cafoni che avessi mai incontrato, ma nel contempo le persone più gentili e ben disposte a dare informazioni al passante con difficoltà nella lingua che mai potessi immaginare. Probabilmente perchè agivano fuori dall'ufficialità, e allora potevano sfogare il loro umano desiderio collaborativo che la rigidezza "professionale" non prevedeva.

domenica 1 maggio 2011

Check List, Lesson learned










 Siccome in questo post avrei potuto offendere il 60% dei cittadini italiani, anche se con ragione, per la prima parte, ho fatto intervenire la


Come insegnano le tecniche di project management è molto importante interrogarsi su come si sta procedendo, ma questo può ridursi - e l'esame di coscienza si riduceva spesso così - ad una check list di cosa da fare o evitare. E siccome siamo più avvocati che scienziati, soprattutto nell'intimo di noi stessi...
Nei molti testi di project management letti, tra cui Ken Schwaber Agile Project Management with Scrum (Microsoft Professional)  ed il manuale per la certificazione ISIPM, si parla di lesson learned.
Nella mia ricerca metafisica/esistenziale (che orrore di temine, ma lasciamolo) ho avuto la fortuna (Grazia) di aver incontrato un'esperienza cattolica con un altro metodo. "Come la realtà ti interroga? Cosa hai imparato da quello che hai vissuto? Come verifichi che la fede .... su quello che stai vivendo?"
Insomma, non una chek list, ma cercare nelle circostanze della vita una lesson learned.
Poi la lesson learned spesso non la utilizzo l'iterazione successiva... be' qui siamo un po' troppo nel personale

lunedì 18 aprile 2011

Berlusconi Obama Sarkozy l'orologio e il pendolo doppio

Ho letto articoli di autori di area liberale  delusi dall'attuale governo, perché speravano in una riduzione della pressione fiscale, liberalizzazioni e semplificazioni. Berlusconi, ma soprattutto il de-facto capo del governo, Tremonti, non hanno realizzato quanto loro si aspettavano.
Analogamente in Francia, il gradimento di Sarkozy è al minimo. La sinistra lo incalza, e l'elettorato di destra si rivolge ad altri leader.
Anche l'indice di gradimento di Obama è scarso. I suoi oppositori continuano ad essergli contrari, mentre coloro che l'avevano sostenuto sono delusi perchè non vedono il change per cui lo avevano votato.
Non ho approfondito cosa avviene in altre nazioni.
Perchè i politici non realizzano le promesse elettorali? Non credo per una disonestà intrinseca della categoria.

Ritorno a Management 3.0 e alla differenza tra complicato e complesso.
L'orologio è un esempio di sistema complicato nella sua struttura, ma molto semplice, assolutamente predittivo come comportamento.  Lo carichi, lo regoli, magari, come fanno molti, con qualche minuto avanti per stimolarti a fare in fretta, e l'orologio, se non si rompe, si comporta in modo conseguente.
Il doppio pendolo, come mostra questo video, ha una struttura semplice, ma è piuttosto imprevedibile nel suo movimento.
I programmi elettorali ed in generale l'approccio che viene fatto al dibattito politico ha come paradigma l'orologio. Basta fare un decreto, stanziare dei fondi ... e le cose si regolano di conseguenza.
Invece la società è complicata come un orologio, ma è anche complessa più di un doppio pendolo. Non tenere conto di questa complessità è la causa dell'inefficacia di molte azioni della politica, (e delle svolte autoritarie nel tentativo di renderle efficaci, ma qui si è aprerta una parentesi su un tema che ora non intendo affrontare).

Per questo, nella fattispece della situazione italiana, è assolutamente inutile il premio di maggioranza, per dare al governo una maggiore stabilità. (Ne abbiamo visto uno durare solo due anni ed un altro non essere più stabile dei precedenti).
Ma allora ? Management 3.0 potrebbe essere una lettura utile anche per i politici. Se si vuole un cambiamento, occore che la società che di fatto si auto-organizza tramite lobby esplicite, nascoste o correnti di pensiero, senta il disagio per il non cambiamento e faccia sentire il disagio agli stakeholders che al cambiamento in prima battuta si oppngono. Quindi, i rappresentanti dei cittadini formalizzeranno e promuoveranno il cambiamento emerso nella società.

(prima o poi continua....)

domenica 10 aprile 2011

Management 3.0 e le trote di Avigliana.

Dopo alcuni intoppi dovuti a problemi personali, sono finalmente riuscito a leggere Management 3.0 di Jurgen Appelo.
Ottimo!
Alcuni commenti:
Mi è piaciuto il fatto che nello spiegare certi comportamenti, JA si riferisce sia alla biologia sia a fatti personali, in particolare al suo rapporto con la guida dell'auto. Questo mi conforta, dopo aver ricevuto un'educazione che ha come obiettivo la schizofrenia,  in cui si dice che "le cose della vita seguono certe regole, ma sul lavoro invece..."
Questo è un atteggiamento che io invece ho sempre aborrito. Ed ecco un altro testo (infatti non è il primo che ho letto in tale senso) che fa vedere la realtà come "una ed intera".

Mi è piaciuto Management 3.0 anche perchè non è un Manuale delle giovani marmotte. (Junior Woodchucks Guidebook)
Approvo i suoi depends . D'altra parte come già ho citato  in questo post riferendomi ad un'intervista di Ken Schwaber, ed il concetto è ribadito anche da  Craig Larman  in Lean Primer :
L'approccio agile e lean sarebbe in contraddizione con se stesso se si cristallizzasse nel seguire rigidamente certe regole, invece di essere una filosofia in cui certe regole sono strumenti per attuarla.

Cosa c'entrano le trote di Avigliana?
Nella ditta di cui sono dipendente ho inutilmente cercato di portare un po' di pensiero agile. Avevo fatto il paragone dell'introduzione di Scrum con la regola dei frati. Dicevo che certe regole sono utili, perchè tra i frati ci sono personalità molto diverse: brillanti intellettuali un piuttosto eccentrici, avanzi di galera che desiderano cambiare la loro vita e tipi buoni ma un po' imbranati. Come fa gente simile andare d'accordo (e da quasi duemila anni)?  Sono  mossi da un ideale, certo, ma viene reso concreto con delle regole precise (la famosa Regola che ha ogni Ordine Religioso).
Ma se queste regole diventano fine se stesse, dimenticando l'ideale, succede come nel racconto delle trote Avigliana. Si dice che ad Avigliana anticamente ci fosse un convento dove vivevano dei frati dimentichi degli ideali. Siccome la regola impediva loro di mangiar carne durante la Quaresima, appendevano le cotolette all'amo, le immergevano nel lago, le tiravano fuori dicendo "Che bella trota ho pescato!".

sabato 26 marzo 2011

un progenitore comune

Precarietà nel lavoro, meno matrimoni. Alcuni sostengono che i giovani rimandino il matrimonio, apppunto a causa del lavoro precario. Ho qualche dubbio: il posto sicuro è una fissazione della generazione che si è sposata negli anni '50 e '60. I nostri nonni e le nostre nonne (le fantastiche ragazze del 99!) non la pensavano così, e nemmeno le generazioni precedenti. (per fortuna, altrimenti ora noi non ci saremmo!)
Purtroppo il benessere degli anni 60 ha forzato dei paradigmi che stentano a morire, nonostante sia morto il benessere : quindi forse un legame di causa effetto tra la crisi del lavoro e la crisi dei legami matrimoniali esiste.
Ma sono più convinto che entrambe le crisi siano legate da un progenitore comune: l'incapacità di dare fiducia.
“Vorrei vedere, dare fiducia, con la gente che c'è in giro adesso!”
Di personaggi di tutti i tipi ci sono sempre stati, ma mella civiltà passata tutto era più semplice. Il lavoro prevalentemente forniva servizi e prodotti noti e definiti, che implicavano conoscenze e mansioni stabili e definite. Anche tra i coniugi vigevano ruoli noti e definiti
Ora è tutto più complesso. Ma alla complessità si aggiunge il peso che coniuge o datore di lavoro - capo si fanno delle aspettative sul partner o dipendente.
Nel matrimonio ci si aspetta dal coniuge una "soddisfazione" una "felicità" che non è contemplata nè nel rito civile italiano nè nel rito cattolico. Il “capo” tende a vedere nel “collaboratore” uno che fa quello che non riesce a fare lui: una protesi di se stesso, così come un coniuge guarda l'altro coniuge come la sua metà (brrr!).
Invece gli altri sono proprio altri, e da questo fatto nascono grandi delusioni (o possono verificarsi piacevoli sorprese!).

Ho finalmente quasi finito di leggere Management 3.0 di Jurgen Appelo. Ci sono considerazioni piuttosto interessanti su come collaborare in con persone che sono veramente “altro” da te.
In molti punti si evince che l'autore non è in sintonia con quelle che è la dottrina cattolica. Peccato, altrimenti i parroci lo coinvolgerebbero molto volentieri a tenere corsi ai fidanzati per prepararli al matrimonio!

martedì 15 marzo 2011

Agili senza saperlo 2 - don Milani

Il nuovo personaggio agile "senza saperlo" è don Milani, e non mi riferisco nella sua opera ai valori e principi dell'agile manifesto, ma quanto al "framework" Scrum.
Devo fare una premessa, che si rifà ad una citazione di don Milani che ho letto quando avevo quattordici anni ed ha segnato la mia vita.  Ad un amico comunista che lo elogiava, risponde di fare attenzione perchè un giorno l'avrebbe tradito. Infatti quando il comunismo avrebbe avuto il potere e gli emarginati di oggi avrebbero avuto una vita dignitose etc... siccome nessun sistema umano risolve tutti i problemi, ci sarebbero stati altri poveri, altri reietti, e lui sarebbe stato dalla loro parte. Oltre al fascino di questa posizione, che dopo un lungo corso continua a contribuire a rendermi affacinate l'esperienza cristiana, mi ha colpito e segnato la certezza della non esistenza di un "silver bullet", di un sitema comunque risolutivo...
In ciò si rifa a Scrum che, come afferma uno dei sui coautori in questa intervista , non vuole essere una metodologia che da una risposta a tutte le domande, ma un "framework adattativo".
Poi nel legame don Milani - Scrum mi piace pensare come è stata fatta la "lettera ad una professoressa" (tra l'altro uno dei testi più incompresi della storia, ma tralascio questa polemica) E' stata scritta dall'intera classe con un metodo di lavoro collettivo, molto interessante. Di Scrum mi piace molto la pratica del poker-plannig,
in cui tutti sono obbligati a dare il loro contributi. Se le valutazioni convergono hanno buone possibilità di essere corrette, se divergono allora vuol dire che a qualcuno sta sfuggendo qualcosa . Ma attenzione, non c'è un primo che parla ed influenza gli altri, tutti fanno la loro valutazione ed insieme scoprono le carte.

domenica 6 marzo 2011

La nascita della tecnologia

Avevo in mente di proseguire con i post sugli "agili senza saperlo", ma un fatto molto triste mi  ha costretto ad andare a ripescare dal solito manufatto testuale che non andrà mai alla fine, questo brano.

Delle trasmissioni televisive che guadavo da piccolo, quello che ricordo meglio sono le sigle. C'era un programma per i ragazzi con una sigla che mi pare si intitolasse Archimede Pitagorico. La melodia era simpatica, il ritmo molto frizzante e il testo descriveva tutte le cose eccezionali che Archimede Pitagorico realizzava "...mentre noi stiamo qua, tutto il giorno a ballar".
Era evidente: la tecnologia è una cosa per sfigati. I tecnici al lavoro, da soli; gli altri,"noi" cioè in compagnia, a divertirsi, allegramente.
 
Probabilmente avevo indovinato. Risalgo nella notte dei tempi e in fondo alla valle scorgo un gruppo dei nostri pelosi ciondolanti progenitori. Insieme stan cacciando carni vive: bocche affamate, braccia forti scagliano selci aguzze con furore. Improvvisamente la belva braccata, prima di cedere ha un impeto e colpisce il prode Ühhüö (che nomi strani avevano i nostri progenitori!). Non lo uccide, ma lo rende sciancato. Un cacciatore in meno, una bocca da sfamare in più, la legge di sopravvivenza del clan è ferrea. Ma dallo scimmione emerge quel quid che lo fa balzare di un gradino sulla scala dell'evoluzione. Parla il saggio Höühö.
"Non priviamoci del nostro amico Ühhüö! Pensate: di solito quando noi terminiamo la caccia, tornati al villaggio ci aspetta un altro compito: procurarci le armi per la prossima battuta. Invece da domani questo lavoro lo farà lui per tutti, mentre noi siamo a caccia."
Dovendo preparare non solo un'arma, ma molte ogni giorno e con un giorno di anticipo, Ühhüö perfezionò sempre il suo lavoro ed il prodotto del suo lavoro. Si ebbero così armi migliori. I cacciatori inoltre, svincolati dalla necessità di procurarsi loro stessi le armi, potevano affrontare battute di caccia più lunghe e lontane. Quando nel clan ci si accorse che il giovane Ëühüö era gracile, Ühhüö ormai vecchio, se lo prese con se e gli rivelò i trucchi del mestiere.
Mi piace pensare che questa sia la storia della tecnica. Quando una società per includere degli individui che altrimenti sarebbero reietti, si ristruttura ampliando il campo di interessi, progredisce. Quando si fissa su pochi modelli vincenti ed esclude il diverso, decade. Sparta per migliorare la potenza militare eliminava i ragazzini gracili, ma di potenze militari ne sono passate tante nella storia: dimenticate. Oggi, direttamente o tramite il geometra l'idraulico e lo psicanalista incontriamo ancora Euclide Archimede e Sofocle: greci, ma non Spartani.

domenica 20 febbraio 2011

Agile senza saperlo: 1 - Don Giussani

Avevo in mente una serie di post dedicati a personaggi esterni al mondo dello sviluppo software, ma che in qualche modo hanno seguito i valori e principi dell' agile manifesto. Mi interessa raccontare che esiste una saggezza umana, una "sapientia cordis" con cui affrontare la realtà, anche lo sviluppo del software. 
Contravvenendo alla scaletta che mi ero fatto ho pensato di cominciare con don Giussani, per farlo quasi coincidere con l'anniversario della sua scomparsa (come sul dirsi, perchè è più che mai presente!).

Non starò a dilungarmi sul "Responding to change over following a plan" : sono molte le citazioni di don Giussani in cui lui afferma di non aver mai voluto "fondare" nulla, ma di aver obbedito al Carisma. Ancor più citazioni sull' "aderire alle circostanze".
Invece per quanto riguarda il principio "The most efficient and effective method of  conveying information .... is face-to-face conversation" vorrei citare un episodio personale. Don Giussani l'avevo visto alcune volte mentre parlava da un palco, ma a pochi metri di distanza, a faccia a faccia, mi capitò di incontrarlo a New York.
Sapevo che sarebbe andato lì, ad incontrare le comunità di CL allora nascenti e di cui facevano parte soprattutto ragazzi italiani andati in USA a fare dei Master o vari corsi si specializzazione. Io avevo appena finito una parte della mia attività lavorativa in Pennsylvania (vedi post) Presi qualche giorno di ferie prima del ritorno in Italia e mi fermai a New York. 
Per farla breve, ad uno dei tanti incontri che don Giussani tenne in città,  un tale chiese la ragione del trovarsi per la "Scuola di comunità". Non bastava, diceva questo ragazzo, assegnarsi un testo e studiarselo singolarmente? Cosa serviva trovarsi in gruppo ad intervalli regolari per approfondire la comprensione ed il confronto su quanto stiamo vivendo? 
La risposta di don Giussani non la ricordo nei minimi dettagli, ma un discorso simile al suo l'ho letto in seguito, in The Scrum Primer di Pete Deemer, Gabrielle Benefield, Craig Larman, Bas Vodde, quando viene criticato l'approccio waterfall. La stesura di un documento scritto prevede un passaggio di astrazione rispetto alla realtà e la sua lettura aggiunge un altro passo di astrazione. Quindi non si ha nessuna garanzia che il messaggio sia capito e compreso senza essere frainteso.  Occorre (anche) parlarsi. Inoltre, secondo altri autori, la miglior forma di comunicazione è quella verbale supportata da schizzi/ schemi... e l'immagine di don Gius più famosa è sicuramente questa. 
(e poi il cristianesimo è un incontro!)

domenica 13 febbraio 2011

Varie ed eventuali

Sono stato un po' lontano dal blog e riassumo velocemente alcuni punti degli eventi di questi giorni (con qualche nesso con il tema che vorrei emergesse dal blog).
Management 3.0
Mi è arrivato il libro Management 3.0 di J.Appelo (che ringrazio ancora) e mi accingo a leggere.
Decimo anniversario dell'Agile Manifesto.
Sono già passati 10 anni, ed in Italia continua ad essere una novità o una stranezza per hobbisti, senza impatto sulle grandi aziende. Povera Italia!
Anniversario delle morte di Eluana.
Che c'entra con questo blog? C'entra con il post Project management esistenziale. Un incidente così grave, secondo la definizione  classica, porterebbe a considerare il "progetto esistenza" = fallito . Ma secondo una definizione più "complessa"? Per quanto riguarda "la soddifazione personale e l'eccellenza tecnica" è un mistero che conosce solo lei e su cui nessuno può dire nulla. Ma per quanto riguarda il beneficio che apporta all'organizzazione, (il ROI) questo episodio ha messo a dura prova, anzi ha fatto affrontare la massima prova, che una qualsiasi organizzazione può affrontare "La capacità di accogliere ed integrare il diverso" e l'ha fatto nel modo più duro che si possa immaginare. Siccome secondo me l'integrazione del diverso è la chiave di sopravvivenza di una civiltà,  tornerò su questo tema. Da questo test, la vicenda di Eluana , la società italiana, non mi pare uscita bene.
Berlusconi.
A parte le varie considerazioni che vorrei fare (Ha ragione Violante!) ce n'è una correlata con questo blog. Possibile che un uomo potente, ricco etc... si diverta peggio che un marinaio sbarcato in un porto dopo mesi di navigazione? Forse conviene ridefinire il concetto di successo.
Egitto e Tunisia.
Mi sento fraternamente legato al popolo tunisino ed egiziano in questi loro giorni pieni di difficoltà speranze e paure. Ero stato per lavoro in Tunisia nel 1996 e ne avevo avuto un impressione ottima. La gente, soprattutto i giovani e i cittadini, parlano normalmente francese e arabo, in più molti imparavano l'inglese e l'italiano. Gente sveglia e istruita. Anche dalle statistiche si vede che è una generazione ad una scolarità molto alta in assoluto, ed in particolare nel mondo arabo. Eppure le prospettive di lavoro sono bassissime, inadeguate allo studio. In questo mi sento loro fratello: anch'io laureato, 30 e più anni di lavoro di discreto livello, oggi  ho uno status sociale minore di quello di un bidello.
Dell'Egitto: ho avuto l'onore di ascoltare alcuni anni fa una "lezione" del prof. Wael Farouq . Mi ha fatto cadere molti pregiudizi che avevo nei confronti degli islamici. Pensavo che, "bloccati" dal Corano, gli islamici fossero magari anche persone pie e guidate ad una vita onesta, ma non "colte", come i maestri Zen o i vari "dottori della Chiesa" e loro discepoli. Mi ha fatto ricredere. Ora ho letto avidamente le sue interviste che sono riuscito a trovare sui fatti di questi giorni. Immancabilmente redarguisce l'occidente per la sua doppiezza, ambiguità, calcolo degli interessi di bottega sulla pelle dei popoli. (Lo fa in modo molto elegante, me è così).
Ha ragione Pagheremo caro, pagheremo tutto!

martedì 25 gennaio 2011

Dalla fabbrica senza operai all'azienda senza capi?

In due miei post precedenti (1 e 2) avevo raccontato delle mie esperienze nella factory automation (e in quegli anni era anche trandy la voce office automation).
Abbiamo visto, e magari ci tornerò, che la factory automation, non ha dato i risultati che allora ipotizzavo: ancora morti sul lavoro, i nuovi lavori nel terziario non così qualificanti, la globalizzazione...

E ecco al titolo del post, volutamente provocatorio: in relatà io non ho nulla di social-proletario rivoluzionario velleitario che direbbe "licenziando un manager si salverebbe il posto a tanti operai..." e imitando baffone "quanta sensoristica serve per sostituire un manager?"   
Mi metto nei panni di un investitore: vorrei il massimo del ritorno dei miei investimenti. Mi accorgerei che probabilmente dovrei intervenire sul modello organizzativo, e questo non costerebbe nulla in termini di hardware (se non qualche libro o partecipazione a corsi). 
Un modello che mi pare interessante è  Martie the management model riportato nel libro  management3 0 di Jurgen Applelo, anche se devo ammettere, il libro non l'ho ancora letto.

Ritengo che il modello comando-controllo, possa andar bene per prodotti assodati ed immutabili o, forse, per gestire brevi emergenze. Ma si può produrre innovazione con un modello aziendale che si ispira all'esercito napoleonico?
Vi sono imprenditori che si appellano al principio di sussidiarietà nei confronti dello stato e della sua invadente burocrazia: è corretto, ma all'interno della loro realtà produttiva questo principio è implementato?


I manager rimarranno sempre, ma il loro ruolo sarà notevolmente diverso e, spero per loro, più interessante