Purtroppo non ho potuto studiare materie legate alla psicologia, ma in certi momenti liberi che capitano di sera, troppo tardi per suonare, ascolto conferenze su Youtube di Recalcati e colleghi. Per questo e anche per i testi letti in gioventù quando ancora mi illudevo di poter dedicare la mia vita a cose che mi interessavano, so benissimo quanta “letteratura” ci sia dietro al “lapsus” foriero di verità inespresse che emergono oltre la volontà esplicita di chi lo nomina. Simile al lapsus ci sono certe battute (Giocomo Contri era un sostenitore di questo!) di cui questo è un esempio.
A prima vista si potrebbe pensare ad un'equivalenza tra matrimonio e morte, ma quello che per me è più interessante è la questione legata al “rito di passaggio”.
Come ho già scritto qui, nel libro che mi ha fatto superare le obiezionidel background marxista respirato negli anni di liceo sulla religione, il rito di passaggio era in qualche modo valorizzato, come un qualcosa che faceva capire al soggetto “chi era” nel senso di quale era il suo ruolo con annessi diritti e doveri e che “indietro non si torna”. Il bambino iniziato diventava uomo, con le sue opportunità ed i suoi compiti. Idem per il matrimonio ed anche il trapasso può in qualche modo essere ritualizzato.
Nelle aziende il cui management negli anni 2000 è stato particolarmente influenzato della moda della NLP (programmazione neuro linguistica) tutta una serie di attività si chiamano cerimonie, proprio per sancire l'accadere di certe situazioni (promozioni, inizio/fine di progetti, riorganizzazioni interne, acquisizioni di ordini importanti ecc...)
"Ecco, io faccio nuove tutte le cose" (Ap 21,5).
Non è male che il Cristianesimo abbia preso anche gli elementi della religione ed usati secondo il nuovo significato, per cui il matrimonio da “cerimonia” diventa sacramento.
Quello che mi sta a cuore - e sui cui si basano i miei “dubbi di fede” quando ciò non è evidente - è dare un significato nuovo al glossario antico. Purtroppo da ragazzo percepivo e ancora oggi talvolta mi è capitato di percepire, solo una rilessificazione del linguaggio della religione intesa come “fatto sociale”, usando terminologie tratte dal cristianesimo.