lunedì 22 giugno 2020

La Nascita di una Canzone


In un post precedente avevo descritto la composizione di una canzone come “progetto”.
In questo intervento vorrei descriverlo da un punto dal quel punto di vista che certuni potrebbero chiamare ispirazione

Sagra, sagra e altre sagre

Il termine sagra è un termine che richiama alla parola “sacro”. Generalmente si trattava di feste religiose, legate ai culti stagionali, poi cristianizzate in feste di santi, a cui dopo una parte più propriamente cultuale seguiva una parte “ludica”.
Molte sono le sagre di San Rocco, in vari paesi, anche perchè San Rocco ha il buon gusto di cadere in un periodo di ferie. Ho partecipato a molte Sagre di San Lorenzo a Clavais.
Sempre più spesso il lato “sacro” era saltato a piè pari: “La sagra del fugassin” di Borgio, della porchetta di Magliolo, ecc... sebbene fossero a volte gestite da gruppi parrocchiali e i soldi guadagnati devoluti ad opere missionarie. 
La più assurda delle sagre di cui ho visto lo striscione (ma non ci sono andato!) è stata “La tradizionale Sagra del Kiwi”. Io ricordo i primi kiwi quando ero già un ragazzo, sarà stato forse il 1970, e i kiwi, che erano una rarità, allora venivano chiamati “actinidia”. Che lunga tradizione!
Da qui un'ispirazione per il titolo

Tutto il mondo è uguale 1

Zio Franco, grande turista che negli anni 70 visitò ferire dopo ferie, tutte le regioni della Spagna e negli anni 80 tutte le regioni della Francia, negli anni 90 diceva che non glie ne importava nulla di andare nelle grandi città turistiche. "Tanto ci sono orchestrine andine con le penne da pellirossa, gruppi di turisti in coda per fare tutti le stesse foto, venditori di souvenir..." ed in effetti era vero. Ultimamente anche piazza Castello a Torino ha preso questo aspetto. Il clima che se ne respira, per i miei gusti, tutto sommato è divertente: non ha però senso dire “vado a Parigi, a Venezia, a Firenze” bisognerebbe dire "vado in un grande centro turistico” a vedere un certo tipo di paesaggio in cui il “monumentone” sullo sfondo, si chiami Notre Dame o Duomo di Milano o San Marco a Venezia..., è  irrilevante in sé. C'è ed è importante la sua presenza per interpretare la sua parte di oggetto decontestualizzato, come fosse un PDP11 (minicomputer fine anni 70, primi anni 80) in un pollaio.

Tutto il mondo è uguale 2

Sono dispiaciuto che mio figlio non abbia fatto esperienze Erasmus, ma per altri motivi di quello che ufficialmente si dice “così si conoscono persone di altre culture”. Per esperienza personale posso dire che anzi, quello forse è il modo per non conoscere gente diversa. C'è più distanza culturale tra due quartieri socialmente diversi della stessa città (tra la Crocetta e la Falchera Nuova) che tra i campus di due università a mille e più km di distanza

Raduza - Dnes v noci nad svety

Ho imparato a suonare per fisarmonica il brano di cui sopra. Abbastanza semplice come lavorio delle dita, ma interessante dal punto di vista dell'armonia. Ho provato a tradurre il testo con google translator: a parte alcuni risultati bizzarri, mi è sembrato che parlasse di una festa "pubblica", una specie di sagra, ma anche a vedere il modo di cantare della signora Letizia (immagino che il nome Raduza in intaliano corrisponda a Letiza, uno slavologo mi corregga pure) non mi sembra che la festa la rendesse proprio tanto lieta! Pensavo di usare la musica e metterci un testo in italiano di mia invenzione, ma per vari motivo ho desistito all'impresa

 

Rima in è tronca

Da un po' di anni il giorno dell'Assunta io (torinese) mi trovo ad Ovaro (UD) e vado a messa nella Pieve di Santa Maria di Gorto Ogni volta sento il canto "Da font de me anime"
 Un anno il celebrante ha fatto notare che nel testo del vangelo originale Elisabetta non dice, come nella traduzione italiana "il bambino ha esultato nel mio grembo", ma dice "ha danzato nel mio grembo" ed allora concludeva che i nostri magnificat sono spesso ieratici, mentre questo canto in 3/4 invita (il popolano) alla danza
.
Io mi sono insospettito alla rima Iavhè / con te, perchè non mi sembrava molto "popolare" chiamare Dio Iavhè. Ho poi scoperto che don Giuseppe Cargnello, morto alcuni anni fa, pievano della Pieve di Gorto ed etnomusicologo (a lui si devono raccolte di canti in rito partiarchino, ma questo è un altro discorso) aveva trovato la musica registrando tra i paesi ed aveva messo queste parole (primi anni 70)
Anche a me è piaciuto fare una rima in è tronca un po' strana. Forse ho esagerato perchè la ripeto due volte in ogni ritornello. 

Covid19

Durante il peggior periodo della pandemia, io ero molto connesso con le reti dei miei amici per tenerci compagnia (come non avevamo mai fatto nei periodi normali) e scambiarci testi che ritenevamo validi. A volte erano battute, a volte cose molto serie. 
Mi ha colpito molto la testimonianza di un signore che non conosco, ma era nella rete relazionale di uno nodo della mia rete, che era stato infettato dal virus. Ne era uscito, ma era stato parecchio tempo ricoverato ed aveva sofferto molto. Raccontava di come gli infermieri lo assistevano premurosamente e vedeva queste attenzioni come un segno della presenza di Dio su di lui (e magari gli infermieri non erano neanche “ufficialmente” praticanti...) E che cos'è un incontro più profondo di questo, in un non-luogo come un ospedale?

Riferimenti

Sebbene la musica fosse diversa, nel comporla il pensiero mi è volato ad “Innamorati a Milano” una vecchia canzone cantata da Ornella Vanoni, ma qui non si tratta solo dell'innamoramento con una persona, ma di una possibilità di incontro positivo, che può accadere ovunque.

sabato 13 giugno 2020

Esempio di Project Management: La composizione di una canzone.

Premessa 1: appartengo alla generazione cresciuta al tempo dei cantautori: verso i 16/17 anni in molti ci siamo cimentati nel comporre canzoni. A dire la verità io ho smesso verso i 30 anni, ma salvo un paio di volte non ho mai condiviso le mie creazioni. Le componevo nei “tempi morti”: mentalmente in autobus/treno e code varie; cantando se ero da solo. Mai provato a scriverle. Recentemente invece mi divertivo a fare canzoni bistrattando e piemontesizzando canzoni “importanti”. In rete si hanno, purtroppo mal registrati, alcuni esempi: Long May you run di Neil Young diventata Cor Nen, Va Pian (titolo di una canzone di Gipo Farassino) e the times they are a-changin' di Bob Dylan in cui mi divertivo nella polisemia piemontese della parola “banca”.
Premessa 2: in questa fase parlerò solo del lato “project management” e non del lato “ispirazione” genesi del significato del testo / messaggio a cui forse dedicherò un intervento successivo.

Il pensionato in lockdown ha deciso di riprovare a comporre una canzone.


E da bravo PM comincia subito con una WBS.
Prima la musica o le parole? Ho ascoltato un intervista a Lisandro Aristimuño e se non ho frainteso (parlavano in spagnolo) a questa domanda rispose “Il posto dove è ambientata la canzone, questo vincola sia musica sia le parole”
 In effetti quando inventavo le canzoni spesso partivo da un posto “Punti verdi” era un parco (nella Torino anni 75/80 si tenevano interessanti spettacoli estivi nei parchi), “Scimmie” era dentro una stampa fine ottocento, “I maiali mi osservano” era in coda in autostrada Torino-Piacenza dietro ad un camion che trasporta maiali... e così per altre che ho quasi dimenticato. Ma questa... eh la definizione del luogo in questo caso era veramente un paradosso. Paradosso da cui sono partito.
Musica:
 in che tempo farla? Per risponderere a questa domanda sono partito dalle parole, ancora quasi nulle, ma con un abbozzo di ritornello, che mi ha fatto scegliere un tempo pari. Ho scelto poi i 2/4 per poterlo rendere ballabile come “scottish”.
In che tonalità: maggiore o minore? Gran parte dei brani folk del mio repertorio (occitano, polke, “Pakai”..) sono in maggiore, ma ho recentemente trovato interessanti balli in minore: lo scottish impaire di Gerard Godon, Mazurke a anche Scottisch che usano accordi in minore e maggiore. Anche qui le parole sono intervenute per orientare la musica: anche se non le avevo ancora bene in mente (e non penso di averle in mente perfettamente neanche adesso) era chiaro che la strofa doveva esprimere la situazione “irreale” “assurda” e il ritornello invece la parte di “soluzione positiva”, quindi nella strofa ha prevalso il minore e nel ritornello il passagio al maggiore da un senso di "rischiaramento". 

Il modello della WBS non ha funzionato: parole e musica non si sono dimostrati due work package separabili.

Parole: 
Fatto il ritornello, una frase sola, ripetuta due volte, poi ho pensato che ogni ripetizione del ritornello un piccolo cambiamento (una parola) mantenendo costante il senso.
 Strofa fatta la prima strofa, fatta la musica su questa, le altre strofe avrebbero dovuto adattarsi alla nusica, come in un letto di Procuste.

Ora tocca scriverela. Operazione mai fatta. Preso un pentagramma carta e penna, ma ho pensato che un editor musicale sarebbe stato meglio perchè mi avrebbe permesso di sentire quello che scrivevo. Dopo alcuni tentativi la scelta è caduta su MuseScore
Ammetto che non mi è stato molto difficile capire l'altezza dei suoni ma non riesco a dare veramente il ritmo che ho in mente. Alcune note mi sembrano troppo lunghe, altre troppo brevi.

L'editor musicale mi ha anche permesso di scrivere il testo vicino alle note. Invece avendo scelto come strumento “Fisarmonica” mi ha costretto a scrivere la mano sinistra come nota/accordo, così poi quando lo sento viene fuori un effetto un_due che copre troppo il canto. Avrei preferito solo il canto/testo con una riga in cui segnare la tonalità della battuta e basta come si trova in molti spartiti per fisarmonica, ma non l'ho trovato un simile template.

Ho terminato? No solo fatto un lavoro di sgrossatura. La creazione continua.

martedì 2 giugno 2020

2017 - Quasi una preveggenza


Rimettendo a posto i file sul computer ho trovato una lettera che avevo scritto ad un amico che collaborava al Meeting per l'amicizia fra i popoli edizione 2017 il cui titiolo era

Quello che tu erediti dai tuoi padri, riguadagnatelo, per possederlo


Titolo che mi lasciò piuttosto di stucco. Diedi all'amico questo testo, chiedendogli di farlo avere ai responsabili del meeting

Dopo alcuni episodi, dal crollo del ponte Morandi, al Covid-19, rileggere quanto scrivevo fa uan certa impressione. 

La rendo pubblica sperando in commenti.

Cari amici,
quando ho visto il titolo del prossimo meeting sono rimasto piuttosto sconvolto. Non riporto esattamente la mia esclamazione, perchè probabilmente non capite il piemontese, ma se lo capiste non sarebbe molto fine.
Ovviamente non mi riferisco a mio padre in persona, ma ai “padri”: alla generazione precedente, con l'ovvio limite che non tutti i coetanei condividono gli stessi atteggiamenti e che fenomeni analoghi emergono spesso sfasati nel tempo.

Che cosa ci hanno lasciato, questi padri? Il dato in prima battuta più evidente è un debito pazzesco. In Italia il debito è debito pubblico, in molte altre nazioni il debito è più suddiviso tra pubblico e privati.
Dal debito pubblico io ne sono in qualche modo penalizzato: ho sessant'anni, quarantuno di contributi previdenziali, ho perso il lavoro e ciò non mi basta per andare in pensione: la generazione precedente accedeva alla pensione con molti meno anni di contributi, e soprattutto i loro contributi non incidevano tanto sulla loro paga.

In secondo luogo penso ai danni ambientali, di cui solo a partire dalla fine degli anni settanta, cioè dall'affacciarsi della mia generazione, si è preso coscienza e tra molte contraddizioni, oggi si sta pagando per rimediare a certi guasti e si evitano tecnologie particolarmente inquinanti. Con tutti i limiti e le contraddizioni, va bene, ma una maggiore sensibilità ora c'è.
Poi, non sono un architetto, ma basta sfogliare la cronaca locale, per rendersi conto di quante strutture (scuole, case popolari, ponti...) costruiti negli anni '60 e '70 ora siano gravemente malandate, mentre edifici degli inizi del novecento o forse anche prima reggano meglio gli oltraggi del tempo. Per non parlare dell'amianto: una sede dell'Università di Torino, quella costruita appunto negli anni '60 , recentemente è stata chiusa a lungo per questo motivo.

Non mi dilungo in altri dettagli prosaici. Mi sembra che quella fosse la generazione sognata da John Lennon nella canzone Imagine, sebbene lui la auspicasse per il futuro: “people living for today”. Una generazione che ha costruito molto, in tutti i sensi, ma senza porsi il problema della sostenibilità nel lungo periodo, o meglio, dell'ereditabilità di quello che andava facendo.

Personalmente la cosa che mi aveva sconvolto di più nella mia gioventù, che posso dire durò grosso modo dal 1970 al 1980, era quanto i “padri” sollecitassero ad una grande attenzione al conseguimento immediato di risultati, ma in qualche modo vietassero o almeno sostenessero l'irrilenvanza della ricerca di significati. Era la generazione che aveva vissuto la guerra quando erano ragazzini ed aveva affrontato la gioventù nel periodo della ricostruzione post-bellica. Una ricostruzione che fu per molti legata ad un lavoro di tipo fordista: andava loro benissimo essere ingranaggi di una grande macchina, fare azioni in un flusso di cui sfuggiva la logica, passare otto ore senza senso (otto perchè a loro gli straordinari venivano pagati!) perchè il senso stava nel progredire: dall'uscire dalla fame al comprasi la casa, dalla casa alla vespa dalla vespa alla cinquecento, alle vacanze al mare, allo sciare d'inverno... oppure nella carriera: nel passare vice capo-gruppo e poi a capo-guppo e poi a vice capo-settore a capo-settore ed altri microgradini della scala aziendale, che gratificavano la persona per l'insulsaggine delle otto ore e davano ancor più opportunità alla via consumista. Ma questo approccio, basato sulle cosiddette motivazioni estrinseche, è evidentemente insostenibile!

Nella mia ricerca spasmodica di senso ricordo quanto inseguissi, per usare una terminologia sentita dire dal psicoterapeuta Claudio Risè, dei “padri simbolici”: tutte le voci che in qualche modo erano dissonanti con l'ideologia dell'american way of life. Innanzitutto le letture: a quindici anni leggevo Vance Packard, a sedici Ivan Illich. Con i gruppi di ispirazione marxista - nella mia scuola era presente Lotta Continua e il bibliotecario era Marco Donat-Cattin - mi trovavano in sintonia per quanto riguarda la “pars destruens”, cioè nel riscontrare inadeguato il “sistema” ma mi sembravano scarsi nella ricerca di un significato. Insomma, per me erano troppo “moderati”, troppo poco radicalmente alternativi. Ero affascinato anche dalle religioni dell'oriente, ma la bibliteca del Liceo era poco fornita su quel tema.

Sia nel mio caso, sia per molti dei coetanei che frequentavo, la ricerca di un “significato” ed il tentativo di rischiare per seguirlo era per lo più osteggiato dalle famiglie, indipendentemente dal quale fosse questo “significato” ed indipendentemente dall'etichetta ideologica-culturale delle famiglie.
Ho letto di recente un giudizio del già citato Risè sul 68 – che come ho detto all'inizio per me è cominciato dal 1970 con il liceo.
“Il ‘68, che si è a volte autopresentato come rivolta contro il padre, è stato invece, a livello profondo, anche una sorta di grido di aiuto verso il padre, affinché questi smettesse di crogiolarsi nell’autocontemplazione narcisistica già imperante nell’Occidente secolarizzato e si facesse interprete della necessità di “liberazione” dei giovani dall’ideologia della soddisfazione del bisogno che si intuiva già imperante allora e ancor più nei decenni a venire. Questo richiamo non fu naturalmente accolto da padri già compromessi, anche moralmente e culturalmente, dall’edonismo di massa. La società dei consumi e delle pulsioni fu anzi ulteriormente rafforzata, coinvolgendovi il più possibile anche i nuovi ribelli e decapitando le loro spinte ideali e potenzialità spirituali. Capitalismo edonista e burocrazie politiche marxiste si impegnarono con successo a far naufragare nell’opulenza e nell’immagine la spinta ideale di un’intera generazione, peraltro già confusa di suo.” Quasi una mia biografia.

Salto un episodio drammatico, per non essere troppo autobiografico, ma superai l'idea del suicidio causata da quel'episodio, uccidendo mentalmente il mondo: mi buttai nella lettura di tutti i testi di futurologi catastrofisti che trovavo, che allora si chiamavano per esempio Roberto Vacca, Aurelio Peccei ed il Rapporto Meadows. Su questo ci torno più avanti.

Il caso, o meglio Dio che guida anche il caso, volle che incontrassi dei figli di un “padre simbolico” che testimoniava la presenza di un significato: conobbi persone che seguivano don Giussani. Ricordo ancora l'emozione di quando lessi che biasimava un testo di letteratura in cui si riteneva che le tematiche di Leopardi fossero “indiscriminata velleità riflessiva degli adolescenti” mentre don Giussani le riteneva fondamentali, o quando lo sentii ripetere quello che avevo già sentito citare nel Vangelo, “Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde se stesso?” ma con un accento tale che mi fece decidere “Questa è la strada da seguire!”.
Non che le scelte politiche e le analisi sociologiche di CL mi sembrassero sempre azzeccatissime (anzi!) ma il “punto fondamentale”, il “granello di senape da cui lasciare crescere l'albero” era quello giusto.

Oggi, citando Papa Francesco, si dice che “non siamo in un epoca di cambiamenti, ma in un cambiamento d'epoca”. Giustissimo, ma è come se le premesse ci fossero già state tutte. Nessuna delle previsioni dei futurologi catastrofisti che avevo letto da ragazzo si è poi verificata così come era stata predetta, ma era ovvio che la costruzione, peraltro distruttiva di quello che precedeva, fatta dai “living for today” non avrebbe potuto durare.

Paradossalmente, questi padri che si limitavano a far figli ma non eredi, che innescavano “bombe a orologeria” ci hanno involontariamente lasciato un'eredità, cioè un compito. Come in questo periodo di terremoti in Italia, ci rendiamo conto della bellezza di certi borghi, per lo più sconosciuti, solo al crollo degli edifici che manifestavano tale bellezza, così al crollo che vediamo di tutta una serie di evidenze e modalità di relazioni, occorre scoprire il granello di senape, in dotazione di “padri simbolici” che si muovevano contro-corrente, come fiumi carsici o meglio, usando l'immagine di Papa Francesco, in periferia. Mi auguro che il Meeting ci possa aiutare in questo.

venerdì 24 aprile 2020

Bella Ciao

Da un po' di tempo mi sto appassionando alla “storia delle canzoni” cioè di come alcune canzoni sono nate in un contesto, hanno avuto certi significati per chi le cantava e ascoltava, poi hanno avuto altre interpretazioni e magari qualche modifica
Significative sono la storia di Faccetta nera solo superficialmente una “canzone fascista”; di Zamba de mi esperanza una canzone dolce e senza nessun evidente richiamo ideologico eppure costò la vita a Jorge A. Cafrune che per averla cantata fu considerato un oppositore al regime militare argentino; Sul puint di Braulins canzone che spopola in tutte le sagre di paese in Friuli la cui storia sarebbe molto lunga, molto più  della canzoncina.

Non riesco a capire perchè oggi, sia così amata ed odiata la canzone klezmer con il titolo Bella Ciao. Premetto che io sono dalla parte di chi vuole festeggiare la liberazione dal fascismo e dal nazismo suo alleato, anche se il 25 aprile è una data arbitraria, perchè le date degli eventi storici porterebbero la festa un po' più avanti (Ad Ovaro accadde un fatto drammatico il 2 maggio 1945)


Orbene, illustri partigiani tra cui Giorgio Bocca, hanno affermato di non aver mai cantato né sentito cantare quella canzone durante la resistenza. Ho letto un articolo in cui si dice che la canzone fu pubblicata nel 1953; pochi anni dopo fu anche “raccolta” con un altro testo come “canto delle mondine”: una zia d'acquisto che in gioventà faceva la mondina, afferma di non averla mai cantata.


Altro punto: normalmente quando uno agisce, lo fa il più delle volte spinto dagli enventi. Solo dopo elabora in modo lucido analitico razionale le cause per cui ha agito. Analogamente dopo la resistenza vi furono delle riletture a posteriori del fatto. In quarta scientifico il professore ci assegnò il tema “Resistenza: secondo risorgimento o lotta di popolo?” Io, come del resto anche i miei compagni, scegliemmo il tema alternativo perchè il risorgimento si affronta in quinta, e non volevamo avventurarci su terreni inesplorati. Per parlare della resistenza non avevamo alcun problema: avevamo tutti genitori, nonni e zii loquaci. Il professore si accorse dell'errore.

Comunque la resistenza “secondo risorgimento” è una lettura a posteriori, che difficilmente era presente nella mente dei partigiani (anche Garibaldi fu preso più per la sua immagine iconica che in riferimento storico)

Una cosa accomunava tutti i partecipanti alla lotta partigiana: la sfiducia nella classe dirigente fascista che 
aveva mandato allo sbaraglio una nazione ed una generazione di giovani, in una guerra assurda con un alleato per nulla simpatico. Molti partigiani erano militari o giovani sotto leva che non volevano combattere per la Repubblica di Salò. A questi poi si unirono anche degli antifasciti della vecchia generazione.
Al disprezzo per la classe dirigente si aggiungevano poi altre motivazioni: per alcuni la possibilità di una rivoluzione socialista (“Resistenza come rivoluzione mancata” è un'altra lettura); per molti, comunque il desiderio di una società più democratica ed equa.

Il “Secondo risorgimento” mi pare una lettura blanda, edulcorata ed “imbalsamante”, direi politically correct, quasi che tema di “offendere quelli dell'altra parte” inventando un riscatto italiano da una servitù straniera (Boh?) e non da una classe dirigente autoreferenziale, arrogante, stupida e incurante del popolo.
La canzone Bella ciao, mai cantata dai partigiani, mi sembra che vada proprio nella direzione del “secondo risorgimento”.

In particolare mi sbalordisce la parola “invasor”. Ma chi era allora l'invasor? Gli americani sbarcati ad Anzio? (Boh oggi potrebbe cantarla qualche xenofobo contro gli immigrati).

Mussolini ed i suoi gerarchi erano tutti italiani doc. Sarebbe stato meglio “dittator” o “impostor” visto che di bugie il duce ne disse tante!
Sembra quasi scritta per non offendere chi allora era dalla parte sbagliata. Però siccome oggi c'è chi nonostante tutto si offende, allora chi vuole cantarla la canti pure. Io però non la canto: sono troppo visceralmente ostile al fascismo.

martedì 3 marzo 2020

L'inutilità del centro (metafora della spiaggia)

Ho una grande consideazione per Stephen Denning autore di The Age Of Agile: quindi sono rimasto piuttosto allibito per le considerazioni fatte  in questo articolo 


Per spiegare le mie perplessità la cosa migliore sarebbe quella di rifarmi ad un discorso che faceva il fideista Piergiorgio Odifreddi sul fatto che i politici cerchino i voti del centro. Ho cercato su youtube  quel discorso, ma evidentemente non era stato caricato. L'irrazionale immaginava una spiaggia con due chioschi per le bibite, C1 all'estremo A e C2 all'estremo B. Ovviamente i bagnanti più prossimi ad A si servivano di C1 e quelli più prossimi a B di C2. Supponiamo che C1 si sposti un po' verso il centro: succederà che chi si trova all'estremo A continuerà a trovare C1 più comodo, mentre chi si trovava a metà troverà C1 più comodo di C2. Allora C2 copierà l'azione di C1 e così via finchè i due chioschi si troveranno tutti in centro. Questo ragionamento va fatto per le compagini politiche.
Peccato che il teocrate impenitente non tenesse conto di due fattori importanti:
1) Dava per scontato che la densità di bagnanti presenti fosse costante in tutta la spiaggia. Nella politica non è così. Il centro si rivolge ad un prociso ceto sociale: il ceto medio, la "middle class" che è contenta di avere scuole e ospedali di buona qualità e poca spesa per l'utenza, di avere strade sicure... vuole riforme per continuare a stare bene e forse anche meglio, ma non vuole rivoluzione, non vuole grossi cambiamenti che potrebbero anche peggiorare la situazione. Dal dopo guerra agli anni 90 questa classe media in Italia e forse anche negli USA era pervalente ed in crescita. Oggi non è più così. La parte centrale della spiaggia si è spopolata, o almeno ha ridotto la sua densità: qualcuno è finito nell'estremo dei ricchi, molti sono finiti, con rabbia ed apprensione nell'estremo dei poveri o comuque totalmente insoddisfatti.
2) Se il chiosco è sufficientemente lontano dall'estremo della spiaggia nulla toglie che all'estremo arrivi un ambulante a vendere le bibite che vendeva il chiosco.
 La storia ha dimostrato che succede questo.
Mussolini non era "nato di destra" era un socialista interventista, uscito dal partito quando questo aveva optato per una posizione neutralista; nel fascismo confluirono i futiristi, ci fu il momento "sansepolcrista" etc... Ha cominciato come ambulante che si è messo nel lato sinistro a fare concorrenza al chiosco.
D'Alema stesso pare che abbia detto che la Lega sia nata da una costola della sinistra e i voti analizzati per area geografiche (vedi Sesto San Giovanni) dimostrano che questo è vero
Non conosco bene la situazione americana, ma ho letto che Trump abbia preso molti voti nelle zone ex-industriali tra nuovi poveri che si sono sentiti abbandonati dai dem portati verso il centro

Questo non vuol dire che io sia un estremista. Ma un conto è tendere ad un centro, oggi socialmente meno rilevante, ed un conto è la capacità di mediare e dialogare con diverse aree ideologiche e culturali, pur rimanendo fedeli ad una certa clientela.


lunedì 2 marzo 2020

#MilanoNonSiFerma ma dove va?

Nel framework Scrum sono previste "cerimonie" quali le Sprint review, in cui ci si pongono domande su come si sta procedendo. Cambiando nomi, tempi e formalismi, la pausa per chiedersi "come stiamo procedendo" è presente in varie forme di gestione progetti, da quelle più formalizzate a quelle naif improvvisate dal buon senso, come ricordo accadeva negli anni 80 all'inizio della mia attività lavorativa

Come scrissi in questo post https://www.linkedin.com/pulse/project-manager-del-pacifico-occidentale-roberto-bera/ le pratiche di Project Management, sono comunque diffuse in diverse culture, anche se non vengono chiamate in quel modo, ma assumono caratteristiche magico-rituali.
Quasi tutte le culture/religioni hanno implementato delle modalità per "sospendere" temporaneamente il cammino e guardare la #mappa del percorso che si vuole percorrere.
Dopo i #fridaysForFuture sarebbe stato importante fermarsi e riflettere se la strada che stiamo percorrendo è quella che ci porta alla meta.
Il corona virus poteva essere anche un'opportunità per uscire dall'abituale e guardare tutto da un'altra prospettiva. Il ricorso al lavoro remoto (che qualcuno erroneamente chiama agile) è un fattore positivo, per esempio. Ma il filmino che gira su molti social con hastag #milanononsiferma è come se volesse scongiurare la messa in discussone di abitudini assolutamente poco razionali.

Pare che "chi si ferma è perduto" fosse un detto di #mussolini. Ricordo che:
- il fascismo si definiva #rivoluzione fascista e nel suo background culturale c'era il futurismo, l'interventismo etc... cioè era la negazione di centinaia di anni di #bestPratics ottenute attraverso tentativi ed errori
- era un dittatore, non ammetteva quindi la messa in discussione delle sue idee
- gettò l'Italia in una guerra in cui fummo sconfitti con gravi perdite

giovedì 30 gennaio 2020

Alberto Sordi, Alternanza Dx-SX e TAV

Non ho mai gradito il cinema italiano e per me Alberto Sordi in particolare è una delle cose più ripugnanti che si possano immaginare. Qui ne faccio cenno e se avrò tempo scenderò nei dettagli.
Ora è facile immaginare come abbia gradito nel film Ecce Bombo la scena in cui Nanni Moretti insulta un tale dicendo "Ve lo meritate Alberto Sordi!!"
La colpa del malcapitato era di aver detto all'incirca "Destra sinistra, rossi neri, noi italiani siamo tutti uguali..."

Sospendo questa scena. Con la perdita di consensi dei 5Stelle molti commentatori hanno ipotizzato un ritorno al bipolarismo. Ok ma con una notevole riserva. Il bipolarismo positivo in un contesto democratico è un bipolarismo tra "socialdemocrazia" e "liberalismo", con sfumature diverse nei vari contesti nazionali. Nella prima repubblica di fatto questo bipolarismo in Italia c'è stato ma non si risolveva in un'alternanza PLI vs partiti socialisti a nomi variabili, ma all'interno del peso delle correnti DC che inglobavano visoni più socialdemocratiche e altre più liberali.

La caratteristica che divide queste due visioni politiche  è il rapporto con il denaro pubblico: per il socialdemocratico la tassazione è una forma di redistribuzione, attraverso scuola, sanità pubblica, pensioni etc. Per il liberale invece è più importante lasciare il denaro nelle tasche dei contribuenti per permettere la generazione del reddito da distribuire, ovviamente per generare ulteriore reddito, non per un accumulo fine a se stesso. Entrambi queste visioni hanno una loro correttezza ed entrambe devono esserre corrette dall'altra per evitare che una visione solo socialdemocratica scada in una cultura burocratica che agevola i gestori del welfare piuttosto che i beneficiati e quella liberale può scadere nella creazione di sacche di povertà e di emarginazone nella società.

Ma la sinistra e destra italiane sono liberali vs socialdemocratici? La vicendaTAV dice nessuno dei due, sono semplici fazioni come Cerchi vs Donati, di un'unica ideologia clericale, hegeliana, leninista... non saprei. Ma il personaggio cacciato da Nanni Moretti avrebbe dovuto specificare: non gli italiani, ma l'offerta politica-partitica che li rappresenta

TAV cartina di tornasole per capire che in Italia non c'è alternanza ma solo fazioni


chi vuole la TAV è socialdemocratico? direi che non è nè sanità pubblica, nè scuola, nè ammortizzatori sociali, nè infrastrutture utili ai pendolari ed ai tragitti usuali dei cittadini, nè opportunità di lavoro perchè investendo in sanità, scuola o messa in salvaguardia del territorio, la stessa entità di risorse di opportunità di lavoro ce ne sarebbero....
chi vuole la TAV è Liberale? Questo articolo spiega meglio di quello che potrei fare io che non è liberale. Anzi è notevole l'ignoranza della destra anche su quelli che sono i suoi valori.