Facendo pulizia tra le vecchie mail ho trovato un testo che avevo inviato ad un giornalista che allora collaborava con Mario Calabresi affinchè glielo facesse gentilmente pervenire. Di Calabresi avevo sentito un intervento ad una conferenza che in quel momento mi aveva profondamente offeso. roppNon sto a dettagliare il contesto. La conferenza risale al dicembre 2011 quando la ditta per cui lavoravo (Teoresi) aveva deciso di licenziarmi perchè "troppo vecchio". Quando invia quella letter a avevo trovato un'altra occupazione, non molto remunerativa, ma molto più innovativa di quello che faceva Teoresi. Non sto ad aggiungere spiegazioni, ma copio tale e quale con una piccola variazione ad una frase
Egregio Direttore,
La sera
dell'incontro sulla crisi io ero particolarmente teso perché nel
pomeriggio avevo la certezza che da lì a pochi giorni, nonostante
l'articolo 18, sarei stato licenziato. Per una certa igiene mentale
non volevo rinvangare il passato, macerandomi sulle responsabilità
altrui nelle mie attuali difficoltà, ma cercavo di guardare il
futuro.
Invece il suo
intervento quasi mi ha costretto a rinvangare passato e colpe altrui.
Il suo giudizio è che non abbiamo conosciuto la fame. La mia
storia è in senso completamente contrario.
Era il 1975, ero un
ragazzo impacciato ma abbastanza sveglio e pieno di idee. Era l'anno
dell'esame di maturità. Per il futuro ero attratto da psicologia,
(il funzionamento della mente umana!), ma anche da giurisprudenza,
affascinato dall'idea di fare rispettare la legge in quel periodo
particolarmente duro.
I miei genitori si
opposero durissimamente. Secondo loro dovevo dedicarmi
all'informatica, così avrei trovato facilmente lavoro. Io obiettavo
che sarei stato disposto ad una vita anche sobria pur di fare delle
cose che mi avessero interessato “Tu non hai provato la fame!”
era il loro refrain.
Così per evitare
una fantomatica fame che avrei affrontato volentieri per
realizzare il mio “sogno”, dovetti per forza studiare
informatica. Purtroppo ce la feci, a causa anche dei docenti. Erano
personaggi abbastanza, oggi diremmo “destrutturati”: geni
strampalati di cui era bello vedere la passione per quello che
spiegavano ed in oltre avevano un look West-Coast che li rendevano
ben lontani dalla seriosità accademica o peggio, degli ingegneri!
(almeno la maggior parte di loro).
Taglio alcuni
particolari, ma quando Lei parlava della gioia del taxista pakistano
per la laurea della figlia io pensavo alla gioia dei miei genitori
per la mia laurea (il primo laureato della stirpe!) ma pensavo che
quella ragazza avesse la tristezza che avevo io quel giorno, pensando
a tutte le altre attività più interessanti nella vita possibili a cui si era dovuto rinunciare per quella laurea.
L’impatto con il
lavoro fu duro, ma mi permise di stare un po' di tempo negli USA
(lontano da casa!) e in URSS (professionalmente ne avrei fatto a
meno, ma ho da un punto di vista “culturale” è stato molto
interessante).
Ma dal 1994 in poi
il settore soprattutto qui in Piemonte è in grave perenne crisi,
(taglio l'analisi) così per evitare una ipotetica fame, mi trovo
“nelle ristrettezze” e senza aver potuto perseguire i miei sogni.
Quindi il mio primo
punto è: bisogna saper non temere troppo la fame, e sopratutto
rischiare quando si è ancora giovani.
Secondo, per
valutare lo sbaglio dei miei genitori: la logica lineare funziona
solo nel breve. Se tiro un elastico e si allunga di 5 cm. Se
raddoppio la forza verifico che si allunga di 10cm. Ma se la
moltiplico per 1000 non si allunga di 5000cm, ma si spezza. Non
possiamo ragionare sempre per induzione dall'esperienza, o meglio
l'esperienza va costruita tenendo conto di tutte le cause di un
fenomeno. Quello che va bene oggi, non è detto che lo sarà domani.
Ma oggi (che un
piccolo lavoro comunque l'ho trovato) qual è il mio “sogno”?
Ritorno ad un altro punto controverso del suo intervento: la ragazza
ligure-nord'africana [una ragazza studiosissima premiata per il suo profitto]. A quella ragazza avrei chiesto: chi sono i tuoi
amici? Perché è vero, se una persona è sensibile, più matura
della media della sua età, può anche trovarsi a disagio con dei truzzi, ma deve assolutamente saper interagire anche con loro,
magari scoprendo che qualcuno proprio tanto “truzzo” non lo è,
se non sotto una scorza apparente.
Un istituto
internazionale (Standish Group) monitorizza lo stato dei progetti
software e da anni solo il 35% circa vanno a buon fine. Raramente la
causa è dovuta ad incompetenza tecnica, più spesso è dovuta a
motivi relazionali: specifiche di progetto mal formulate, “il
cliente cambia idea”, attriti tra clienti e fornitori....
Inoltre la cose che
mi ha sempre fatto più soffrire in questi anni di lavoro è l'esistenza del management. Vale a dire: nel cantiere edile il
manovale svolge un lavoro tutto sommato semplice, il muratore più
complicato, il capomastro deve avere più esperienza e poi il
geometra, fino all'architetto. Nell'informatica no: il lavoro anche
più a contatto con la “materia” richiede competenze alte, e la
gerarchia non ha senso, il livello culturale è alto in tutte le
funzioni; sebbene molte aziende informatiche abbiano implementato un
modello ad albero dove ai vertici si accede per motivi di look anni
80, amicizie... raramente per competenza. Ma soprattutto le
competenze sono “a rapida dissoluzione”, ed è necessario il team
per compensare “l'inevitabile ignoranza”.
Nel settore
informatico estero questi temi sono sentiti, nel 2001 alcuni “guru”
dell'organizzazione si sono riuniti ed hanno elaborato l' “agilemanifesto”a cui si rifanno varie metodologie di lavoro.
Ritorno dunque a
quello che è da un lato il mio sogno e da un altro un approccio (non
l'unico per carità, non esiste la panacea !) che permetterebbe
all'Italia di affrontare meglio la situazione difficile: imparare a
lavorare insieme.
Chissà perché in
Italia ci sono ottime piccole aziende, artigiani geniali, ma non ci
sono più grandi aziende dagli anni 70 (quando il modello piramidale
funzionava ancora)? Una delle cause è l'incapacità di collaborare
insieme. Ora mi piacerebbe molto diffondere queste metodologie agili,
nate nello sviluppo dell'informatica, soprattutto al di fuori del
mondo del software. Non ho la giovane età per “rischiare” ma
tengo gli occhi bene aperti.
Distinti Saluti