domenica 25 luglio 2021

Che cambino mestiere !

  In Italia abbiamo avuto già dei momenti in cui alcune categorie professionali hanno repentinamente cambiato mestiere, buttando l'investimento che avevano fatto nell'approfondimento della loro professionalità.

L'Italia (paese di Enrico Fermi e Ettore Maiorana, tanto per citare qualcuno) nel 1966 raggiunse una produzione di 3,9 miliardi di kWh  di energia elettrica di origine nucleare: era il terzo produttore al mondo. Inutile dire che per i ragazzini più grandicelli di me, quello rappresentava uno sbocco di lavoro futuro. Ma, vuoi per il “caso Ippolito”, vuoi per non so bene cosa, tutto questo know-how si svaporò ben prima di Chernobyl. Anzi, ai tempi dei referendum sul nucleare una delle frasi dei fautori del NO era “Tanto non abbiamo più il know-how necessario e dipenderemmo comunque dall'estero”

Un altro cambio di mestirere lo ricordo benissimo, perchè coinvolto. Negli anni 80 ci fu una terribile fame di persone che operassero nell'informatica. Si buttarono cani e porci: chi si era laureato, magari con tesi su tematiche che avrebbero avuto applicazioni solo più di 20 anni dopo (come chi scrive) o persone che avevano fallito in tutte le altre attività umane, si facevano un corso di COBOL e un posticino lo trovavano. A metà degli anni 90 l'Olivetti scomparve e dall'eccesso di domanda si passò ad un eccesso di offerta, soprattutto in area piemontese. Spesso la selezione darwiniana funzionò al contrario, perchè i più attivi e dinamici lavoravamo in swhouse o freelance ci trovammo fragili come tutele – e il popolino diceva che gli informatici guadagnano tanto – mentre chi si era incollato alla procedura COBOL in Fiat o grosse compagnie, restava al suo posto; anche quando poi dalle procedure COBOL l'azienda fosse passata, per dire a SAP, costoro avevano tutele maggiori.

Molti colleghi cambiarono mestiere, altri regione o nazione, altri, come lo scrivente, modo di lavorare, ma accontentandosi sempre di remunerazioni da bidello e grandi frustrazioni professionali.

Ora, nel contesto della pandemia, sento i grandi problemi degli operatori del turismo e della ristorazione. Non ricordo questa preoccuppazione da parte dei politici e media quando a “cambiare mestiere” erano gli esperti del nucleare e gli informatici.


Premesso che secondo me non esiste una gerarchia nell'importanza dei lavori; premesso che è giusto avere un mix di tutto e non buttarsi sulla monocultura, una domanda la pogno: Per una nazione è più strategico essere all'avanguardia nelle tecnologie emergenti o vivere del voluttuario delle altre nazioni?


Postilla: ho letto dei report della coldiretti che il lockdown con la chiusura dei ristoranti e delle mense aziendali, ha diminuito la richiesta di cibo e vino. Ora, a parte casi di gente caduta in povertà, che comunque l'ultima cosa che taglia è il cibo a costo di servirsi di mense per poveri o del Banco Alimentare e affini, la gente non ha smesso di mangiare. Ne consegue che l'attuale sistema della ristorazione produce scarti, non è ecosostenibile. Mi auguro quindi che i ristoratori almeno cambino il modo di fare il loro mestiere.

domenica 4 luglio 2021

La truffa della nostalgia.

 Manzoni, putroppo valutato solo come letterato, nei Promessi Sposi descrive un processo di autoregolazione, direi quasi di “omeostasi sociale”, quando racconta che alcuni tessitori particolarmente intraprendenti, tra cui il cugino Bortolo, tentavano la fortuna all'estero (che poi era spesso abbastanza vicino, essendo l'Italia frammentata in staterelli) e questa loro migrazione permetteva di non avere un eccesso di tessitori in loco.

Sappiamo che la migrazione non è sempre quella descritta qui, dove rappresenta un fattore di equilibrio per la terra da cui si emigra.

La migrazione può rappresentare un impoverimento della terra di partenza, perchè la svuota delle risorse più produttive, rendendo quei luoghi ancora più poveri, così da invogliare sempre altre partenze. Questo avviene quando il migrante lascia definitivamente il paese e si ri-inventa cittadino del luogo di arrivo, se vi riesce.

Al contrario, la migrazione stagionale o temporanea, è una fonte di ricchezza per i paesi di partenza: il migrante manda le rimesse a casa e nei momenti in cui torna spende e spande per dimostrare la riuscita dal suo progetto migratorio (oltre a portare nuove idee ma qui il discorso sarebbe lungo)

E' chiaro che la comunità di partenza voglia che i suoi migranti finiscano in questo secondo caso. Il fratellino ancora piccolo ha tutti gli interessi che il fratellone migrante mandi qualcosa ai genitori!

Per inciso questo secondo caso è stato molto frequente nella migrazione alpina della prima metà del 900, un po' prima ed un po' dopo.

Come fa la comunità di partenza a raggiungere questo scopo? Inventando la religione della nostalgia, dove per religione intendo proprio la sovrastruttura ideologica, l'oppio dei popoli, il filtro per vedere solo una faccia del reale, insomma quello che i primi martiri cristiani rifiutavano e quindi venivano uccisi perchè atei.

Ecco allora canzoni lacrimevoli, spostamenti di feste tradizionali nei giorni in cui tornava la maggior parte dei migranti stagionali, valori identitari mitizzati. Insomma, la costruzione sociale della nostalgia.

E' una truffa! Il povero migrante truffato dal legame con la terra di partenza, nel paese in cui vive si sente sempre un cittadino a metà, non crea relazioni strette con i locali, lavora come un pazzo spendendo pochissimo, cioè una vita grama, per spendere poi nel paese natio, quando tornerà. Invece la vita è adesso! Il paesaggio "sempre nel cuore" non deve impedirti di gustare la bellezza dei luoghi che stai vedendo ora!

Scrivo queste cose perchè anche mio nonno materno, carnico, è stato parzialmente truffato in tale senso. Parzialmente, perchè ha sposato una donna piemontese conosciuta a Brescia, ha avuto relazioni di amicizia a Torino dove è vissuto per più di 30 anni: addirittura quando compì 60 anni lo invitarono alla festa dei coscritti di Cigliano (VC) (paese della nonna, in cui sfollarono durante la guerra) e ne restò commosso.

Però cadde anche lui nella trappola: non seppe resistere dal costruirsi una casa nel paese in cui era nato, dando lavoro ai villici, ma rinunciando a molti spettacoli di opere liriche (da alcune cose ho capito che era un melomane!) ed altri piaceri che non so dire avendo conosciuto poco il nonno se non dai racconti della nonna.

Scrivo queste cose perchè purtroppo quest'oppio è stato interiorizzato nella sua famiglia ed ora mi sta veramente pesando.

lunedì 31 maggio 2021

Chi è il più p▓▓▓u ? Il torinese che vorrebbe essere milanese.

 

Tra i tanti personaggi deleteri conosciuti in quarant'anni di lavoro, quello più comico è sicuramente il torinese con il culto della milanesità. Premetto che non amo il milieu torinese, che la mia miglior esperienza di lavoro l'ho fatta a Parma & Val di Taro e che se avessi potuto scegliere dove nascere sarei stato in dubbio tra l'Emila e la Romagna...

Sopratutto nel periodo fine anni 80 e inizio anni 90 era tipico trovare gretti meschini pidocchiosi torinesi, spesso di origine non autoctona ma perfettamente inseriti nel contesto torinese - molto più dello scrivente! - andare in estasi davanti alla parola “MILANO”. Milano è più dinamica, Milano offre di più, a Milano si fa carriera!

Anni fa su una TV privata, andava in onda CIAU BALE, una trasmissione comica, esilarante per un torinese e difficilmente comprensibile per chi fosse forestiero, che tra le altre gag, presentava una scuola per i torinesi che volessero milanesizzarsi. Alcune cose erano carine, come la scolaresca che si esercitava a ripetere “Ue, pirla!” con la perfetta dizione “bauscia”; il kit di oggetti allora in voga come le cravatte con il nodo largo e i cellulari di grosse dimensioni... ma calcava un po' la dose forse per evitare che alcuni spettatori si riconoscessero troppo e non gradissero più la trasmissione.

A parte la comicità del personaggi (comunque non è mai piacevole aver a che fare con personaggi comici!) questo atteggiamento è un effetto imprevedibile dell'alienazione del lavoratore, visto non a livello dell'operaio della catena di montaggio, ma l'alienazione del “colletto bianco” del suo approccio al lavoro che non sto a descrivere qui in poche righe di un post, ma per coglierlo rimando alle migliaia di risorse che si trovano sul temi Agile, Kaizen Lean Scrum ecc...

Qui segnalo alcune😄😀😂

https://www.youtube.com/watch?v=oy6JdZp6ohE

 https://vimeo.com/showcase/6668137/video/380836856


Per chi volesse vedere CIAU BALE canale di Ciau Bale

 

domenica 25 aprile 2021

Chi è il più [...censura..] ? CRO

 

Questa volta cito il personaggio riferendomi precisamente a lui, indicandolo esplicitamente secondo i suoi desiderata. Questo personaggio, oltre ad entrare nella pletora di coloro che avrebbero potuti essere interpretati da Franco Volpi, aveva (vedremo poi perchè “aveva”) diversi altri difetti in qualche modo correlati.

Mentre sui vari libri e siti in cui si imparano tecniche di project management, di programmazione, di marketing... gli esempi mettono personaggi che si chiamano Sarah, Joe (immancabili) e poi Dave, Jane, Jenny, Jerry, Tim, Tom e simili nomignoli, costui per rendere l'azienda “più seria” aveva inventato una siglatura, sua e dei colleghi, da mettere nei verbali di riunioni, firme nelle mail, gantt e via discorrendo. A lui era venuto CRO.

Ecco il primo difetto: il sogno dell'azienda come struttura burocratica perfetta, come un'orologio a cui basta dare un colpo di carica e poi tutti procedere senza intoppi – gli intoppi per chi lavorava li creava lui. Procedere non solo con “tutto sotto controllo”, ma anche con delle linee ben dettagliatamente definite sui passi successivi, in modo che l'attività realizzativa diventi quasi un dettaglio di secondaria importanza.

Probabilmente non aveva mai sentito l'acronimo VUCA e se anche l'avesse sentito non si rendeva conto che quello era il mondo in cui viveva un'azienda di sotftware.

Un altro difetto era il senso del sacrificio. Il valore di quello che si fa, per lui non era dato dalla soddisfazione del cliente, ma dalla percezione che aveva del proprio prodotto. Un elemento basilare di questa percezione era “la fatica costata a farlo”. Vero che per soddisfare il cliente ci va impegno, ma un impegno diverso e tutto sommato più creativo, quindi spesso pagante. Invece concentrando su di se il valore dell'impegno, discendava un ulteriore difetto: lo spreco della risorsa tempo: più tempo ci mettevi, se stavi a sera fino a tarda sera, al sabato e domenica, magari per fare quello che nel mondo Lean è chiamato MUDA, più eri meritevole. Lo spreco del tempo, non solo suo, ma anche quello altrui era anche una forma di mancanza di rispetto: per colleghi innanzi tutto, ma anche clienti e partner a cui faceva perdere tempo e si rendeva antipatico.

Cosa divertente. La fase di testing invece lui la vedeva in modo diametralmente opposto. Mentre i test (ovviamente tracciati) dovrebbero servire innanzitutto agli sviluppatori per sapere “come stiamo andando” per non accumulare problemi e così via, per lui la tracciabilità dei test doveva essere un modo per pararsi le spalle con in clienti “Noi i test li abbiamo fatti, da noi funziona, che cavolo state a dire?”

Altro difetto correlato: la determinazione. Secondo lui, se una cosa non da i risultati sperati, non è perchè hai sbagliato metodo, ma perchè non hai applicato il metodo con abbastanza determinazione! Per carità di patria non scendo in dattagli

Altro particolare: è vero, siamo a Torino, ma nei primi anni 2000, cioè quando l'azienda fordista stava esalando gli ultimi respiri e mentre gli informatici in altre parti del mondo scrivevano l'Agile Manifesto, CRO voleva “rendere più professionale” il lavoro degli informatici assimilandolo alla vecchia morente.

A sua discolpa. La colpa è sempre della società: invece di dargli tanta corda, avrebbero dovuto imporgli una cura di “Agile”. Ma 1) assomigliava a Franco Volpi e quindi era ascoltato 2) i vertici aziendali non avevano una cultura adeguata, al punto che quando io tentai una presentazione di Agile mi fu detto che un approccio simile può essere usato nel volontariato, non in azienda (la mia slide successiva faceva vedere i loghi delle piccole multinazionaline che avevano adottato Agile 😂)

A sua discolpa. Venivo da una decennale esperienza in R&D e lavorare con il personaggio fu da incubo. Nelle notti insonni, cercai su internet come si deve procedere per evitare da un lato il Cowboy-conding e da un altro un eccesso di burocrazia. Scoprii un mondo, proprio per “difendermi” da lui. Peccato che questa scoperta nel 2011 non interessasse a nessuno.

PS: perchè ho detto aveva? Perchè penso sia in pensione e come molti personaggi aziendali, abbia avuto come sogno profondo quello di comprarsi un orticello e zapparselo. Immagino e gli auguro di stare nel suo appezzamento e godere il sacrificio di spezzarsi la schiena .

sabato 3 aprile 2021

Chi è il più [...omissis..]? E' interpretato da Franco Volpi.

 in un mio precedente articolo avevo minacciato di togliermi sassolini dalle scarpe (come si suol dire) relativi ai miei quarant'anni di frustrazioni professionali che hanno avuto solo poche eclissi di esperienze valide.

Non per recriminare, ma perchè il tempo e le capacità delle persone sono sacre. E' grave sprecarle: occorre raccontare come monito per il futuro. 

Non comincio incolpando una persona in particolare, ma un tipo umano che ho incontrato molte volte. Possiamo dire che questo personaggio sarebbe stato interpretato dall'attore Franco Volpi.

Avevo già parlato di un tipo interpretato da Alberto Sordi ma lì mi riferivo ad una persona particolare. Magari ci tornerò perchè era veramente una situazione da manuale.

 Non ho visto molte interpretazioni di Franco Volpi, ma ne ricordo quattro:

  1. Nel film Johnny Stecchino, nei panni di un “ministro” corrotto e cocainomane, ma apparentemente rispettabile che convince il Benigni autista di scuola-bus che la polverina bianca era una cura contro il diabete. Seguono conseguenti situazioni comiche quando Benigni la propone ad un vescovo ed ad un ragazzo veramente diabetici.

  2. In una vecchia pubblicità, che io ho presente più dal fatto che era quasi una barzelletta citata dagli adulti che dai mei ricordi. Vestito con spalline e galloni da ufficiale ottocentesco, con gran prosopopea faceva previsioni sul futuro totalmente errate, per esempio che l'invenzione della fotografia non avrebbe avuto alcuna rilevanza pratica.

  3. Nel film televisivo“Il giudice ed il suo boia” tratto dal romanzo di Friedrich Dürrenmatt , interpretava il capitano Lutz. Un capo tonto, capace solo di rilasciare dichiarazioni ufficiali e ripetere banalità mainstream, ignaro delle cose terribili che stavano combinando i suoi “collaboratori” 

    Ed infini il giudice Comeliau, nella serie televisiva del Commissario Maigret, interpretato da Gino Cervi. Sembrava spesso un complice dei criminali, per come rompeva le scatole al commissario. Per esempio, quando Maigret cercava di tendere trappole e aspettava i “passi falsi” del sospettato, lui faceva domande del tipo “commissario, entro quanti giorni risolverà il caso?” proprio come i manager che mi avevano affidato la scoperta di un bug in un software non mio (una volta non esisteva il TDD) e mi chiedevano “quanto tempo ti serve per correggere il bug?” Ah, prima occorre trovarlo, poi un bug può essere una semplice svista  (nel 2010 ho ancora trovato in un programma C/C++ o C#, una istruzione del tipo if (a=b) … invece di if (a==b) … ) oppure richiedere un cambiamento sostanziale nella struttura dei moduli....

     

    Quanti personaggi di Franco Volpi ho incontrato nella mia carriera! La domanda era: come uno così cretino può aver raggiunto simili posizioni? Nella finzione, beh, è una fiction, ma come accade in un'azienda privata che mira all'utile e teoricamente si regge sulla meritocrazia?

    Mi do una spiegazione notando che l'intersezione tra l'insieme dei cretini altolocati e quelli che somigliano a Franco Volpi era abbastanza alta. I personaggi di quel tipo fanno una “buona impressione” alle/ai recruiter, alle/ai HR *ager, ai loro simili che in azienda coprono già un certo tipo di posizione.

    A questo punto mi permetto di segnalare questo articolo 

    Paradossalmente, se fossero trasparenti e corretti, le carriere per concorsi sarebbero una chance in più per il settore pubblico, da cui il privato dovrebbe imparare. Non solo si supererebbe il gender-gap ma anche il gap dovuto al fisico: piccoletto, barilotto, spilungone ciondonante..., voce in falsetto e simili amenità che in molti casi inibiscono carriere a persone capaci.