sabato 22 giugno 2013

Etica come estrema risorsa

Mercoledì sera sono stato, presso la libreria Feltrinelli della Stazione di Porta Nuova, a sentire una conferenza a cura della ESPM sul tema citato nel titolo del post. Parlavano Bruno Bonsignore e Francesco Varanini di Assoetica
All'inizio la conferenza mi sembrava un po' spenta, con i due relatori che parlavano dei massimi sistemi:  abituato alle altre conferenze "Questa sera di parla di ..."  di ESPM, molto più stringenti con slide proiettate sullo sfondo, mi sembrava un po' generica.
Poi, con l'intervento del pubblico il tema si è fatto interessantissimo.
In particolare un intervenuto ha fatto la domanda che volevo porre: cosa vuol dire etica? Infatti alcuni atteggiamenti sono etici in certi contesti, in altri no. Dai relatori ho individuato due punti di "etica":
1) Fare "bene" quello che si sta facendo, indipendentemente dal fatto che questo sarà poi "premiato" ma come una forma di rispetto per se stessi.
2) D'accordo che siamo tutti diversi per esperienze personali, cultura etc... quindi occorre che i "coni di luce" della nostra visione etica creino un'area comune.
Su questo punto ho cercato un chiarimento più profondo citando quanto avevo detto nel mio post su Pulici e Graziani. Ques'area di luce non si può creare cercando "sorgenti di luce simili" come volevano fare in T%#@ dove mi hanno licenziato perchè "diverso".  Come spiega benissimo Jurge Appelo in Management 3.0 con l'immagine delle api, la diversità è una ricchezza! Che cosa allora crea un'area illuminata comune? Non certo le cene aziendali, convention e simile stupidaggini! E' la "materia grezza" del lavoro che crea un'ara comune: erano i terzini portieri stopper e liberi avversaro che facevano sì che due persone che non si "amavano" quando scendevano in campo venivano chiamati "Gemelli del Goal".

Un intervento invece raccontò di un conoscente il cui nonno aveva una importante azienda tessile in Inghilterra. Azienda con case per dipendenti, servizi sociali etc... ma che con la globalizzazione aveva dei costi che non reggevano la concorrenza. Il nonno per la sua visione etica, non volle cambiare, ma l'azienda sostanzialmente fallì. L'etica quindi non era una risorsa.
Qui vorrei richiamare a quanto gia scrissi sulle motivazioni intrinseche.
L'etica del nonno era un  etica sulle motivazioni estrinseche, cioè su quando buono fosse il "dopo lavoro". Durante il lavoro tu pensa solo a fare quello che ti è detto "minimizzando l'errore umano" però l'azienda paga questa tua alienazione con un sacco di benefit. Invece avrei "allargato" l'etica, con i seguenti passi:
1) informando ogni dipendente sul processo produttivo di cui lui è un nodo, passo essenziale per rendersi conto dell'utilità di cosa si sta facendo e per il punto successivo.
2) coinvolgendo tutti in un PDCA o kaizendo, proprio per valorizzare ogni persona (e magari cambiare in meglio il rapporto qualità/costo)
3) accettando tutte le idee in un "brainstorming" libero
4) minimizzando le differenze retributive interne, così da diminuire la conflittualità e poichè il ruolo manageriale sarebbe stato meno "verticistico"... da cui il punto 5)
5) seguire i consigli di questo video
Inoltre ricodare che le aziende guadagnano se si focalizzano su "farsi amare di clienti" anzichè su "ridurre i costi"



venerdì 7 giugno 2013

Pagani non ripete, ma io invece RIPETO

riprendo questa citazione da monologo dell'ubriaco di G. Farassino .... e cosa ripeto
Son pà fòl!
e lo ripeto per gli stessi motivi per cui lo dicevo in questo e questo post.
Poichè, non già sul "Corriere di Ligosullo" nè sulla "Gazzetta di Vallumida", ma niente meno che su  FORBES, Steve Denning ha pubblicato un articolo che sostiene quanto io ho spesso pensato e a volte espresso sentendomi dare del cretino dai vari reduci della Milano da bere, palloni gonfiati con le  scorregge di Craxi che infettano le aziende italiane.
(ho detto Craxi per due motivi: perchè costoro vivono ancora con i parametri degli anni 80 e anche perchè costoro si sono trasformati rapidamente in anti-Craxiani, quindi così spero di offenderlo
Ecco il link all'articolo 
http://www.forbes.com/sites/stevedenning/2013/05/30/the-management-revolution-thats-already-happening/

E' un articolo interessantissimo (come del resto tutto quello che scrive Steve Denning) ma ora non ho tempo per commentarlo pezzo a pezzo.

sabato 11 maggio 2013

Success Intelligence

La mia ultima lettura è stata Success intelligence – Robert Holden.

Breve premessa. L'autore parte dall'esperienza personale: figlio di un uomo d'affari con una carriera ricca di successi che ad un certo punto della sua vita si lascia andare nel bere e finisce in un modo molto triste. Colpito dal suo dramma familiare, l'autore decide di dedicarsi allo studio del comportamento umano per aiutare le persone ad affrontare la realtà, anche le persone “di successo” dalle quali spesso emergono fragilità apparentemente insospettate.
Sul libro do un giudizio sostanzialmente positivo anche se comincio da quello che non mi è piaciuto. Molto spesso l'autore fa ricorso alla parola “God”. Questo non mi è piaciuto; parafrasando Laplace, avrei preferito non ci fosse stato bisogno di questa ipotesi. Non per agnosticismo, ma perché ho apprezzato moltissimo la metafora di Papa Francesco sul “Dio spray”, e “quel” Dio mi sembrava proprio un “Dio spray”.
Il libro vuole dare un approccio in qualche modo “strutturato”, ma il bello consiste proprio in citazioni, aneddoti, casi vissuti e ragionamenti pieni di buon senso, piacevoli anche se letti fuori dal contesto.
Quello che mi stupisce è che molte di queste cose sensate sono in totale controtendenza con il sentire comune. Se le avessi affermate io, o almeno quando le ho affermate, mi sono sempre sentito dare del cretino.
Citando qua è là l'autore spiega quanto sia pericolosa l'equazione "sacrificio,impegno,fatica->successo"  poichè se il successo arriva, molti pensano di non aver faticato abbastanza e che debba esserci da qualche parte un "pegno" da pagare. Se il successo non arriva, arriva poi un gran risentimento... ma prova a dire in giro, se non ti chiami Robert Holden PhD, che questa correlazione, seppur esistente, non è così stretta come appare...
Oppure, cosa sensatissima ma poco frequente, quanta fatica si spreca (scuola o le aziende che vogliono essere "furbe" e fanno i performance appraisal) per migliorare i punti di debolezza. Non che non si debba fare, ma non sarebbe meglio scoprire i punti di forza e valorizzarli?
Potrei andare avanti così ma, proprio perchè il bello del libro sono le "citazioni sensate" piuttosto che uno studio organico, finirei per copiarlo tutto.
Nel complesso mi ricorda molto le 7 regole di Covey, con qualche cosa in meno.

domenica 28 aprile 2013

Zavorre: Internet.

Sembra paradossale, io stesso che tengo un blog, che tramite internet sono riuscito a fare moltissime cose... consideri internet una zavorra. In effetti in certi casi lo è.
In questo post ne esamino uno, quello che mi tocca più da vicino.
Piccola storia per focalizzare il problema. Lavoravo in una grande multinazionale dell'ITC, ma seguivo un cliente estraneo al core business dell'azienda. Più volte avevo chiesto di poter lavorare su progetti che fossero invece legati alla cultura aziendale, avevo ricevuto sempre promesse positive, quando se ne fosse presentata l'occasione. Ma siccome portavo soldi in azienda, mi hanno sempre tenuto presso quel cliente, finchè un bel giorno il top-mamagement decide di eliminare tutti coloro che non fossero legati al "core" aziendale.
Così continuai a lavorare per quel cliente con un'altra azienda (quella con cui ho avuto problemi piuttosto gravi).
I colleghi dipendenti dell'azienda cliente erano contenti del cambiamento, perchè finchè ero della multinazionale, dicevano, portavo solo il mio Know-how personale, invece come dipendente di una piccola azienda più tarata sulle attività di questo cliente, avrei portato il know-how dell'azienda stessa.
Ma ahimè scoprii qual era questo know-how! Motori di ricerca.
Ognuno lavorava come se fosse in un cubicolo sul su "pezzo".
[ a questo proposito ricodo che quando presi la certificazione ISIPM la "padrona" mi disse "ma tu ti sentiresti in grado di dividere un progetto in parti ed assegnare i compiti alle persone.... pensai: ma forse sarebbe meglio che ci fosse una visione condivisa - product backlog, cartellone del kanban, chiamalo come vuoi... e far collaborare le perone su questo! ]
Il cubicolante, quando non sapeva qualcosa che faceva? andava a cercare la risposta su internet.
Ora che con internet si possano scoprire fornitori di quello che ti serve in tutto il mondo, tool open source, articoli interessantissimi è stra-vero. Ma lavorando come l'aziendaccia si ottiene:
1) Know-how aziendale = 0. La soluzione trovata da te non divenda partimonio comune.
2) In molti "problemi" la formulazione verbale porta ad una chiarificazione del problema stesso. Per approfondire vedere questo sito. L'immisione di alcune parole chiave relative al problema nella finestrella search non porta a te stesso una visione più chiara del problema che hai davanti. La descrizione orale al collega ti aiuta e vederci meglio e le sue immediate obiezioni ti aiutano a guardalo da diversi punti di vista.

domenica 14 aprile 2013

Agile senza saperlo 13 - Pulici e Graziani

Loro sapevano di essere agili, ma in senso fisico, non nel senso dell' agile-manifesto!
In realtà il post che mi accingo ad inserire, non si rifà tanto ai 4 punti dell' agile-manifesto, pittosto ad alcune considerazioni, lette in Management 3.0
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Non sono un'esperto di calcio, l'ultima partita vista risale al 1976 (Torino-Borussia). Ma io sono sufficientemente torinese da sapere chi erano Paolo Pulici (Pupi) e Francesco (Ciccio) Graziani.
In un'intervista sentita casualmente facendo zapping sui canali nel breve periodo in cui a volte guardavo la TV (1998-2008) un ex-calciatore, Natalino Fossati, sosteneva che Pulici e Graziani non erano per nulla amici. Avevano idee politiche diverse, non si frequentavano nel tempo libero, quando erano in ritiro, non condividevano mai la stesa camera, anzi si trovavano vicendevolmente poco simpatici. Ma erano due veri campioni, con una tale serietà professionale, che in campo il loro rapporto si trasformava al punto da essere chiamati "I gemelli del Goal".

Torno ai miei post su Malvern. Quante aziende, tra cui quella della mia penosa precedente esperienza lavorativa, oraganizzano cene, per "creare spirito di gruppo" ! Quante aziende, soprattutto quando c'erano i soldi, organizzavano "convention"! Quante aziende, e purtroppo ancora oggi, si immaginano un "tipo umano" di dipendente! Invece è proprio trovarsi a lavorare insieme, è proprio la grezza materia del lavoro che crea l'affiatamento se per tutti l'obiettivo primario è proprio il lavoro!
Ricordo che nella precedente azienda sono stato addirittura rimproverato di non andare a prendere il caffè con altri (anche se invece spesso andavo) o a pranzo insieme. Ma questi incontri finivano per essere infarciti di frasi di circostanza, oppure battute spesso pesanti su particolari categorie di persone (purtroppo non sono un omosessuale simpatizzante della Lega Nord, se lo fossi stato averi avuto motivi per fare denunce!). Invece se si fosse lavorato veramente in team, non dico "pair programming" ma almeno in team, magari qualcuno avrebbe apprezzato le qualità anche dei leghisti e degli omosessuali, e si avrebbero avuto cose sensate da dire durante la pause !!!
 
Erano: Cuccureddu, Facchetti, Maldera, Zoff ... a trasformare due calciatori che non si sarebbero altrimenti trovati per una cena insieme, nei Gemelli del Goal.

E' la realtà che ci fa muovere, non idote mistificazioni di essa.

domenica 7 aprile 2013

Malvern Sunday Morning

Volevo intitolare questo mio post Zavorre: La religione ma rileggendolo ho preferito il titolo che compare

Prima di procedere occorre riassumere brevemente i 3 punti post precedente.
1) Trote di Avigliana: le organizzazioni spesso introducono regole applicate solo formalmente, ma senza relazione con l'obiettivo per cui esse sono state ideate. L'effetto è negativo o nullo.
2) Il linguaggio religioso è fatto da riti e miti o racconti e segnali. I segnali hanno una grande forza comunicativa, ma posso essere "alienanti" senza il racconto, in particolare il "proprio" racconto.
3) Occorre avere uno spazio in cui "staccarsi" e vivere la propria diversità. Immagine, spiegata nel post precedente: "Domenica mattina a Malvern Pa."
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Ora che il sistema comando e controllo sia superato, è un fatto abbastanza assodato, anche se nelle aziende italiche ancora prevalente. Spesso però le aziende che vogliono essere inovative, introducono "qualche novità" che ha effetti negativi.
Un esempio tipico è la PNL (o NLP secondo la sigla in inglese): un conto se è usata dai venditori ed imbonitori, un conto è introdurre tecniche nei rapporti all'interno dell'azienda per convincersi dei progressi fatti verso gli obiettivi. (Nella mia triste carriera ho pure incontrato un capo che la pensava così!)
La parola "cerimonie" è sempre più frequente in molte aziende. Conosco un tale che fu dipendente di un gruppo bancario importante e molto innovativo: raccontava di "convention" e mega incontri simili. Lui stesso era stato premiato con un pranzo insieme a #1 fondatore del Gruppo. Il mio conoscente dopo un po' se ne è andato in una società dove lo pagavano meglio. Ma l'idea di "azienda ritualizzata" sta abbastanza diffondendosi e porta con se un'idea di azienda totalizzante, dove i "valori" dell'azienda sono i valori dei dipendenti e non un sottoinsieme condiviso dei valori dei dipendenti. Il dipendente continua ad essere sempre più "l'arto mancante" dell'imprenditore (o manager) e sempre meno un "altro" che contribuisce con la sua diversità all'obiettivo aziendale.

Scrum parla anche di "cerimonie" ma queste cerimonie, ove Scrum non diventa una trota di Avigliana, sono racconti più che "riti".

Ricordo che un manager di un'azienda ancora molto comando-controllo, ed ancora molto legata all'estetica workaholic anni 80, si lamentava dei lavoratori liguri perchè d'estate "aspettano solo che finisca l'orario di lavoro per andare ad organizzare sagre di paese".
Io pensai 1) organizzare sagre di paese non è facile. Costoro avranno sicuramente una capacità di collaborare molto alta "fuori" dall'azienda. Male per l'azienda se al suo interno non esiste un clima in cui questa capacità collaborativa possa emergere 2) C'è comunque bisogno che l'orario finisca, che vi sia una Malvern Sunday Morning in cui ognuno trovi autonomamente dei propri spazi profondi  i cui frutti potranno poi essere riversati nell'impegno in azienda.

Vi sono poi i partiti-azienda legati ad un "guru" quarda caso delle telecomunicazioni. In Italia ne abbiamo due, quello della TV ed a queste elezioni è emerso anche quello di internet. Entrambi hanno contraddizioni molto simili. Entrambi amano troppo il "rito" rispetto al racconto. Sul primo ho poco da aggiungere rispetto alle miriadi di cose dette. Quando il "guru" del secondo ha detto che vorrebbero essere una "comunità" mi sono venuti i brividi ed ho valorizzato molto il cattivo don Rodrigo del Manzoni quando disse 
"sa lei che, quando mi viene lo schiribizzo di sentire una predica, so benissimo andare in chiesa, come fanno gli altri? Ma in casa mia! Oh! - e continuò, con un sorriso forzato di scherno: - lei mi tratta da più di quel che sono. Il predicatore in casa! Non l'hanno che i principi." 

domenica 31 marzo 2013

Agile senza Saperlo 12 - Malvern, PA

Avevo promesso, nel mio post precedente, un  post "irreligioso". Ho meditato a fondo ma il testo mi sembrava sempre molto lungo, così sono stato costretto ad andare per gradi.
1) Avevo parlato molto tempo fa di quelle che mio zio chiama "le trote di Avigliana", vale a dire quel rispetto formale delle regole, ma prive di ogni relazione con il motivo che le genera, come i frati malvagi del racconto: essi fingevano di pescare bistecche nel Lago di Avigliana, così  mangiavano quel tipo di "pesce" anche in quaresima. Ogni organizzazione rischia di creare le proprie "trote di Avigliana".

2) Il libro fondamentale della mia vita è stato "il senso religioso" di don Giussani, ma alcuni anni prima avevo letto un testo che mi è stato propedeutico; si intitola "La seduzione dello spirito. Uso ed abuso della religione popolare" autore Harvey Cox.
Non affrontava il discorso religioso da un punto di vista teologico o filosofico, quel tema per l'A. poteva stare sotto la voce “fede”. Anzi, ad un certo punto sostiene che, negli anni '50, nell'incalzare del secolarismo, si parlava di “fede senza religione”, mentre oggi (cioè negli anni '70) si verifica la presenza di “religione senza fede”.
Per l'autore la religione ha due modalità espressive: i miti e i riti o racconti e segnali. Giudica positiva la presenza dei riti-segnali .... ma sottolinea l'esigenza di rivalutare il “racconto”, cioè la parte autobiografica. Cita le autobiografie da S.Agostino a T.Merton... e per parecchi capitoli procede con la propria.
 “Io” non ero più da censurare come impedimento all'oggettività del giudizio, anzi, un giudizio senza “io” è come un semaforo senza strade.
La religione genera una grande capacità di “attivarsi”, perché mantiene la memoria, ipotizza una meta, sviluppa relazioni tra le persone. 
L'Autore vedeva un lato ambiguo o negativo della religione, quando si manifestava il prevalere del rito sul mito, del segnale sul racconto. La carica di significato, di capacità comunicativa e mobilitante del segnale, in assenza della testimonianza, cioè del coinvolgimento di chi comunicava e della riflessione di chi coglieva il messaggio, diventava appunto seduzione.
Su questo punto ulteriore tornerò nel mio prossimo post.
3) Nella sua autobiografia parlava della sua città natale, Malvern, PA. La cosa che mi colpì di più del libro è la descrizione di questa città con  circa duemila abitanti ma luoghi di culto per otto confessioni religiose diverse. Eppure c'era chi la domenica mattina, prendeva l'auto e si recava nel paese vicino perchè costoro erano di ancora altre confessioni religiose. Sono rimasto colpito da questa comunità capace di rispettare profondamente il diverso cammino religioso dell'altro e ritengo che la vera convivenza sia la capacità rispettare la divestità dell'altro. Il rispetto della diversità altrui è secondo me anche alla base del team agili.






lunedì 11 marzo 2013

Scrum in church (4) - The Plague

Ritorno ad un articolo molto interessante citato in questi miei precedenti post.
http://giovanedilungocorso.blogspot.it/2011/07/scrum-in-church-1-parte.html

 L'autrice è la Rev. Arline Sutherland, teologa unitariana e moglie di Jeff, uno dei "padri" di Scrum.
Di questo articolo mi aveva colpito particolarmente il giudizio:
"i modi in cui ci organizziamo, le strutture che creiamo per ordinare le nostre vite, e il nostro lavoro, rispecchiano la nostra più profonda visone teologica"

Questo giudizio mi è tornato in mente nella lettura del libro "The Rise of Christianity" di Rodney Stark. Un libro che esamina, con piglio sociologico, di come, a partire dalla loro idea di Dio, i cristiani dei primi secoli, organizzassero il loro modo di vivere, e questo modo di vivere, apparentemente più morigerato fosse "mediamente" più vantaggioso per l'esistenza in quel contesto.
Una cosa che mi ha colpito moltissimo - che non sapevo - è che la pestilenza diffusa ai tempi di Marco Aurelio causò un numero percentualmente altissimo di vittime, tra cui l'imperatore stesso, ed ebbe un ruolo molto importante nel declino dell'impero.
Ma l'epidemia aumentò la percentuale della popolazione cristiana sulla popolazione totale. Un miracolo dell'Onnipotente? Non del tutto: i modi in cui essi si organizzarono...  rispecchiavano la loro più profonda visone teologica.
1) Per i pagani crollava la certezza nel "funzionamento" dei riti. Invece i cristiani avevano la certezza che l'esistenza non si esauriva con la vita terrena.
2) Dio è amore. "Ciò che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli l'avete fatto a me". 
Quindi .... nessuno aveva capito come funzionava la malattia, ma alcuni intuivano che era meglio stare alla larga dagli ammalati per evitare il contagio. I cristiani invece curavano gli ammalati. Quindi in teoria avrebbero dovuto avere una mortalità maggiore. In effetti molti sacrificarono la loro vita per curare i malati quando avrebbero potuto fuggire.
Ma la morte aveva due cause: il male stesso, ma molto di più gli "effetti collaterali" del male. Se guarivi dal morbo ti ritrovavi debole ed incapace di procurarti il cibo o rischiavi di avere un parente morto in casa, non avendo tu la forza di portarlo via e ti rimaneva lì accanto con le ovvie conseguenze; e avanti con simili immagini.
 Quindi la cura del malato diminuiva moltissimo la mortalità dovuta agli effetti collaterali. 
I cristiani erano pochi, non avevano una "oraganizzazione per curare i malati", ma ognuno curava i malati della sua "rete" di rapporti personali: parenti, amici, compagni di lavoro. La stessa rete con cui si diffondeva il cristianesimo.  Molti dei "curati" erano cristiani loro stessi o lo sarebbero presto diventati. Chi sopravviveva alla peste poi sviluppava anticorpi che gli permettevano di muoversi tra i malati senza problemi.

Anche oggi siamo prossimi ad una Peste Antonina. Non un'epidemia, forse, ma di certo un crollo di certezze sociali, politiche, economiche. Stiamo avvicinandosi ad una catastrofe. Occorre quindi, per non rischiare di faticare inutilemnte, domandarsi qual è la "più profonda visione teologica" che le nostre azioni poi finiranno per rispecchiare.



Chi ha letto questo mio blog, probabilmente si è fatto di me l'idea di un tipo "religioso". Invece prometto un prossimo post totalmente in controtendenza...

martedì 19 febbraio 2013

RE-WORK

E' da un po' che non accedo più a questo blog.
Di eventi ne sono capitati molti e, come diceva Leonardo Sciascia, non ho avuto tempo per essere conciso. Quindi, nel mio caso, a maggior ragione per scrivere.
Negli ultimi giorni poi mi sono dedicato a letture di testi che avevo accumulato da tempo.
Ho letto REWORK, di Jason Fried e David Heinemeier Hansson. Libro folgorante, nel senso che ha una struttura veramente laconica ed essenziale. E' una serie di "consigli all'imprenditore": un argomento, una pagina, non di più. Su alcuni temi sarebbe stato bello avere gli autori vicino, per chiedere ulteriori ragguagli. Sostanzialmente una lettura positiva. Peccato che:
1) Molte cose le condivido, anzi le ho sempre sostenute e per queste mi sono sempre preso del cretino.
2) Peccato che non sia letto dai nostri manager privati epubblici e da tanti politici ed elzeviristi. Quanti sproloqui a proposito di "aumentare le ore di lavoro", "aumentare i finanziamenti per..." quando invece occorrerebbe ripensare al "valore prodotto" in queste ore di lavoro o a come vengono spesi i finanziamenti!

Anche questo libro, che pure è fatto da softwaristi, non cita l'agile manifesto nè parla di Lean manufacturing, ma il "rumore di fondo" è quello.

lunedì 14 gennaio 2013

Agile senza saperlo 11 - Pino Solanas ?

Avevo rimandato la scrittura di post sul mio blog alla ri-lettura di un libro (non anticipo nulla) Sta di fatto che questo libro non l'ho letto ed per evitare di rimanere muto a lungo ... parlo di un film, anche se devo usare il punto interrogativo finale.
Se io fossi magicamente proprietario di un sistema di televisioni di tipo broadcast, dallo scoppio della crisi a quando la crisi finirà, avrei trasmesso ciclicamente "La vita è meravigliosa" di Frank Capra, "Il diario del saccheggio" e "La dignità degli ultimi" di Fernando Ezequiel Pino Solanas.
Trasmettere sempre questi tre film dal 2008, data in cui è scoppiata la crisi finanziara al - dicono oggi gli esperti - 2014 (ma poco tempo fa non c'era chi vedeva la luce in fondo al tunnel?) potrebbe essere pazzesco. Forse, ma se qualcuno l'avesse fatto magari la crisi sarebbe finita prima.
Il film di Frank Capra, a parte la storiella naif dell'angelo che deve ri-ottenere le ali, è un tema interessantissimo sul debito-credito. (Tra l'altro nel film il personaggio negativo ha una quasi omonomia con un personaggio recente: si chiama Henry Potter)
Molto interessanti sono i film di Solanas, che avrei fatto introdurre o commentare dal prof. Giulio Sapelli, esperto di economia e di Sud-America.
Mentre il primo è fedele al titolo, un reportage sulla crisi ai tempi di Menem e De La Rua, il secondo - La dignità degli ultimi - è una serie di testimonianze su gente comune che si auto-organizza per vivere al meglio in un periodo così difficile.
 Il film secondo me finisce male, perchè Gustavo,  simpatico coraggioso e giovane prete, lascia il sacerdozio. Io, non sono prete, ma sono stato affascinato da don Milani, che era alternativo, coraggioso, geniale, generoso in un cattolicesimo che spesso cadeva nel formalismo. Eppure don Milani diceva che era sempre disposto all'obbedienza, per non perdere "i sacramenti", aveva più a cuore la presenza di Dio concreta che le sue idee (che pure superavano spesso la grettezza di molti catto-conformisti). Diceva che l'assoluzione la da un prete, anche stupido ed indegno, non l'editorialista di grido. Quindi mi spiace che il personaggio Gustavo, non fosse come don Milani.
Ma con tutto ciò è bello vedere, in un contesto difficilissimo realizzarsi il punto 11 dell'agile manigesto

The best architectures, requirements, and designs emerge from self-organizing teams. 
L'uscita dalla crisi va trovata anche 1) nel non aspettarsi nulla da qualche demiurgo, 2) uscire dalla solitudine e fidarsi della gente con cui si collabora e decidere insieme sul quello che ci compete. (sussidiarietà)

Ma allora perchè  il punto interrogativo finale? Io ringrazio Solanas, per averci dato questa testimoniaza (peccato che nessuna rete televisiva ce la trasmetta!) - dall'altro ho un dubbio su come abbia gestito il "progetto film" che ha realizzato. Mi auguro che abbia valorizzato le doti dei suoi collaboratori, che abbia seguito criteri "toyota", sussidiarietà,  agili etc... anche nella realizzazione. Ma dagli anni 80 conosco troppe aziendine di sinistra, o comunque che partono da grandi giudizi etici, ma che nel processo produttivo non sono diverse dall'azienda fordista. Analogamente le aziende CdO saranno sussidiarie al loro interno?
Lasciamo questo punto interrogativo come una provocazione.

domenica 16 dicembre 2012

Babbo Natale è il colpevole del declino. Bruciamolo!

Alcuni anni fa, l'allora vescovo di Torino, Mons. Poletto, scriveva in una sua lettera omelia, Nessuno ci rubi il Natale cristiano! - volendo appunto sottolinare che la festa di Natale o era una festa cristiana o non aveva senso. 
Per un cristiano il ragionamento non fa una grinza. 
Ma sta di fatto che questo è un perido di festeggiamenti a cui partecipa tutta la società cosiddetta occidentale, anche chi non ritiene possibile che la "Causa Prima", il "Motore Immobile", la Verità, l"Eterno Senza Tempo"... etc abbia voluto condividere la condizione delle sue creature e fare loro compagnia fino a quel modo.
Ma per costoro ritengo che sarebbe comunque un atto di igene mentale cacciare l'idea "laica" di Babbo Natale e accogliere quella del "Bambino Divino".
Tutte le immagini sono polisemiche, ma vediamo il significato che il contesto suggerisce. Come si legge spesso nel sito di Claudio Risè ed anche in altri testi (divulgativi, purtroppo non posso permettermi di più)  di autori di scuola junghiana, il bambino significa "rinnovamento", "nuova energia", "cambiamento in positivo" etc. Essendo poi il bambino "uno" e al centro del presepe non c'è il rischio che possa significare "dispersione di energia" o "pensiero confuso" come se ci fosse una frotta di bambini. 
Inoltre è da cancellarsi l'interpretazione di una regresione all'infanzia: tutto ciò che circonda il Bambino Gesù ricorda la sua missione adulta. Un esempio per tutti, i Magi regalano "Oro, Incenso e Mirra", regali da adulti, mica orsacchiotti! 
Che cosa simboleggia invece Babbo Natale? L'immagne del vecchio può anche avere una valenza positiva, quella del vecchio saggio. Ma il vecchio dovrebbe essere appunto saggio: dare consigli di non immediata compresione, fare dei doni sì, ma sufficientemente strani, che il ricevente capirà poco a poco e troverà utilissimi: questo perchè il vecchio non deve "tarpare le ali" al ricevente, ma offrire la sua esperienza: il riecevente deve fare lo sforzo di comprendere il dono e farlo suo, solo così diventerà utile. Ma Babbo Natale non è Gandalf (che tra l'altro lui stesso si trasforma). Babbo Natale è un conservatore del peggior tipo, quello apparentemente buono, che da il "contentino", che vuole tutto in quiete.
Inoltre Babbo Natale rappresenta anche l'immagine del gelo, della natura che dorme...
Quindi cosa c'è di più recessivo che allontanarsi dalla figura del Bambino (con la potenza di un adulto) e connettersi con l'immagine del vecchio conservatore-gelo?

Nelle culture contadine, verso la fine dell'inverno di questo personaggio "vecchio-gelo" veniva fatto un fantoccio e bruciato come rito apotropaico. Questo può essere un buon uso di Babbo Natale.

Auguro Buon Natale a tutti i miei eventuali lettori che per sbaglio finiscono su questo blog. Auguro che possano bruciare Babbo Natale e che si lascino coinvolgere dal bambino. 
Se poi per loro il Bambino significa anche che l'"Alfa e Omega", la"Sorgente della Vita che non muore" ... si è mescolato alla umanità, l'augurio è che l'eccezionalità di questo fatto possa essere spesso presente nei pensieri quotidiani (augurio che faccio innanzitutto a me stesso).

PS: fin da piccolo ho sempre avuto istinti tra il politically scorrect ed il blasfemo: ricordo queste rime:
Babbo Natal
Vecchio Maial
Pesi un quintal
Finirai dentro a un fossal 
(fossal è la storpiatura piemontese di "fossato")