domenica 16 dicembre 2012

Babbo Natale è il colpevole del declino. Bruciamolo!

Alcuni anni fa, l'allora vescovo di Torino, Mons. Poletto, scriveva in una sua lettera omelia, Nessuno ci rubi il Natale cristiano! - volendo appunto sottolinare che la festa di Natale o era una festa cristiana o non aveva senso. 
Per un cristiano il ragionamento non fa una grinza. 
Ma sta di fatto che questo è un perido di festeggiamenti a cui partecipa tutta la società cosiddetta occidentale, anche chi non ritiene possibile che la "Causa Prima", il "Motore Immobile", la Verità, l"Eterno Senza Tempo"... etc abbia voluto condividere la condizione delle sue creature e fare loro compagnia fino a quel modo.
Ma per costoro ritengo che sarebbe comunque un atto di igene mentale cacciare l'idea "laica" di Babbo Natale e accogliere quella del "Bambino Divino".
Tutte le immagini sono polisemiche, ma vediamo il significato che il contesto suggerisce. Come si legge spesso nel sito di Claudio Risè ed anche in altri testi (divulgativi, purtroppo non posso permettermi di più)  di autori di scuola junghiana, il bambino significa "rinnovamento", "nuova energia", "cambiamento in positivo" etc. Essendo poi il bambino "uno" e al centro del presepe non c'è il rischio che possa significare "dispersione di energia" o "pensiero confuso" come se ci fosse una frotta di bambini. 
Inoltre è da cancellarsi l'interpretazione di una regresione all'infanzia: tutto ciò che circonda il Bambino Gesù ricorda la sua missione adulta. Un esempio per tutti, i Magi regalano "Oro, Incenso e Mirra", regali da adulti, mica orsacchiotti! 
Che cosa simboleggia invece Babbo Natale? L'immagne del vecchio può anche avere una valenza positiva, quella del vecchio saggio. Ma il vecchio dovrebbe essere appunto saggio: dare consigli di non immediata compresione, fare dei doni sì, ma sufficientemente strani, che il ricevente capirà poco a poco e troverà utilissimi: questo perchè il vecchio non deve "tarpare le ali" al ricevente, ma offrire la sua esperienza: il riecevente deve fare lo sforzo di comprendere il dono e farlo suo, solo così diventerà utile. Ma Babbo Natale non è Gandalf (che tra l'altro lui stesso si trasforma). Babbo Natale è un conservatore del peggior tipo, quello apparentemente buono, che da il "contentino", che vuole tutto in quiete.
Inoltre Babbo Natale rappresenta anche l'immagine del gelo, della natura che dorme...
Quindi cosa c'è di più recessivo che allontanarsi dalla figura del Bambino (con la potenza di un adulto) e connettersi con l'immagine del vecchio conservatore-gelo?

Nelle culture contadine, verso la fine dell'inverno di questo personaggio "vecchio-gelo" veniva fatto un fantoccio e bruciato come rito apotropaico. Questo può essere un buon uso di Babbo Natale.

Auguro Buon Natale a tutti i miei eventuali lettori che per sbaglio finiscono su questo blog. Auguro che possano bruciare Babbo Natale e che si lascino coinvolgere dal bambino. 
Se poi per loro il Bambino significa anche che l'"Alfa e Omega", la"Sorgente della Vita che non muore" ... si è mescolato alla umanità, l'augurio è che l'eccezionalità di questo fatto possa essere spesso presente nei pensieri quotidiani (augurio che faccio innanzitutto a me stesso).

PS: fin da piccolo ho sempre avuto istinti tra il politically scorrect ed il blasfemo: ricordo queste rime:
Babbo Natal
Vecchio Maial
Pesi un quintal
Finirai dentro a un fossal 
(fossal è la storpiatura piemontese di "fossato") 

domenica 25 novembre 2012

GdLC endorses Matteo Renzi

Sebbene il nome del mio blog si rifaccia ad una battuta dell'on. Bersani e l'on.Bersani stesso sia una persona "simpatica" ritengo che Matteo Renzi sia portatore di "aria nuova" nella politica italiana. 
Purtroppo solo ora ho avuto il tempo materiale di pubblicare questo post, scritto su carta con matita dell'IKEA venerdi 23 novembre. Lo pubblico così com'è.

Non ho ancora deciso se domenica andrò a votare alla primarie del PD. Ovviamente per votare Matteo Renzi.
PRO: ho trovato molto interessante il programma di Renzi, in paticolare nel fatto che si rende conto che la società è complessa, i cambiamenti devono avvenire dal basso, da cui l'attenzione alla sussidiarietà etc.... Nell'attuale panorama italiano è l'unica alternativa anti-depressiva al fatto deprimente di vivere nella serva italia.

CONTRO 1: occorre aderire al documento del partito democratico in cui vi sono due parole che assolutamente non condivido.
a) Occorre definirsi come "progressisti"  A me la parola progresso evoca, nelle migliori ipotesi baffuti gentiluomini con il cilidro o bombetta, sul velocipede che osservano le scoppiettanti vetture automobili, poesie marinettianiane ed immagini di Balla e Depero; nella peggiore delle ipotesi "progresso" evoca il genocidio dei pellerossa e delle culture antiche, disatri ecologici, lavoratori sfruttati... Progresso mi piace solo se accompagnato dall'aggettivo "sostenibile". Non era meglio "riformisti"? 
b)Tra i vari pricipi si parla del riconoscimento del merito. Ora ammetto che può essere una concessione al politically correct, ma ho troppo anni di lavoro alle spalle per sapere come si ottiene il merito in certe aziende...(anche private!) sono stato in URSS ed ho visto fabbriche improduttive con addirittura le foto dei migliori lavoratori affisse sulla strada presso l'ingresso principale .... l'URSS era una società altamente meritocratica e sappiamo come è andata a finire. Ma bando alle considerazioni personali, sappiamo che riconoscere il merito è una cosa molto difficile e rischiosa, soggetta alla legge di Goodhart . Interessante e seguire il tema sul blog NOOP.NL dello spesso citato J. Appelo

CONTRO 2: anche sul programma di Renzi ho alcuni dubbi 
a) Un certo giovanilismo, mentre il cambiamento non può venire dai giovani (abbiamo visto - Gelmini, Carfagna, Capezzone....) che per emergere sono yes-men oltranzisti quindi il massimo della conservazione. Il cambiamento viene dai vecchi-perdente, cioè dai vecchi le cui idee sono state sconfitte un tempo: da questi, può venire una visione diversa della realtà. 
b) La mancata volontà di cambiare la legge Fornero. Invece va cambiata. Perchè chi come me ha messo per anni il 33% e rotti in contributi previdenziali (cosa che non esiste in alcun altro stato) quindi ha avuto uno stipendio basso, e questo perchè in Italia c'è la pensione di anzianità, ora che toccherebbe prenderla si sente dire "non ci sono i soldi".Questo genera una totale mancanza di fiducia nello stato. Se mancano i soldi, li si prendano da altre parti, o si può dire che i contributi messi da domani in poi, maturano di meno quindi... ma non si può dire i sodi che hai messo non esistono!
c) Occorre sottolineare una netta invesione di tendenza rispetto la linea Monti: SMontare l'Italia! Monti ha fallito non solo ecomicamente, (dal previsto lieve incremento del PIL quando è andato al governo al -2,3% realizzati, è un fallimento) ma soprattutto nell'ottica del famoso discorso di Robert Kennedy del 18/3/1968.
La vera forza di una stato sta nell'orgoglio dei suoi cittadini di appartenere a quello stato. Ebbene, Monti e la Fornero da quel punto di vista invece ci fanno sentire sempre di più in sitonia con Ciccio Tumeo l'organista de "Il Gattopardo"

CONTRO 3: date le mie esperienze pregresse, il mio voto porta sfortuna.

martedì 13 novembre 2012

Zavorre : la superstizione della fame.

Circa un anno fa avevo partecipato ad un incontro sul tema della crisi, relatore tra gli altri Mario Calabresi, che disse una serie di castronerie molto pesanti.
Lascio perdere i dettagli, ma volevo soffermarmi sull'inizio. Secondo il direttore Calabresi, persona per altri versi molto interessante, siamo in crisi perchè “non abbiamo abbastanza fame” e poi partì con l'equazione: dalla fame nasce l'impegno, dall'impegno il benessere e così via. Gli esempi piuttosto squinternati che faceva, tra l'altro raccontati benissimo, sostenevano quella tesi.
Per la mia esperienza è vero l'opposto: siamo in crisi perchè abbiamo troppa paura di aver fame.
Non sto a fare la mia autobiografia, a spiegare che se avessi seguito i miei irrazionali sogni da giovane “che non ha mai provato la fame” oggi guadagneri come minimo 200 euro mensili in più e con prospettive migliori, mentre sono stato costretto a seguire strade “più serie” ed ora sono nel guano...
Ragiono in termini più generali.
Il “benessere” degli anni cinquanta segnò la “fine della fame” sia per le popolazioni che erano sostanzialmente uscite dalla fame negli anni '30 e vi erano rientrate di brutto durante la seconda guarra mondiale, sia per i “contadini poveri” che non vi erano mai usciti.
Questo fatto ha creato una supersizione, cioè un certo paradigma nel giudacare e di conseguenza di agire che si è mantenuto anche in seguito, quando le condizioni sono cambiate. Ma criteri di giudizio e comportamento inadeguati al contesto sono causa di azioni sbagliate.
Torniamo alla fame: nella storia l'uomo spinto dalla fame,  non ha mai fatto nulla di grande. Se Giuseppe Verdi avesse avuto fame, avrebbe continuato a gestire l'albergo dei genitori; Cezanne avrebbe continuato gli affari paterni o avrebbe venduto quadri più consoni alla moda del tempo; Keplero si sarebbe dedicato esclusivamente a fare oroscopi, fregandosene dei formulare le leggi del moto dei pianeti; Mendel non scoprì la genetica per fame, ma per la  curiosità. Potrei andare avanti così per pagine.
Ricordo un tale che raccontava che aveva un compagno di classe eccezionalmente bravo nelle materie tecniche e scientifiche. Si aspettava che sarebbe diventato premio Nobel per la fisica o giù di lì.  Lo rivide anni dopo: aveva avuto un contratto vantaggiosissimo per progettare elettrodomestici che si rompessero non prima, ma esattamente poche ore dopo la scadenza della garanzia. Aveva guadagnato un bel po' di soldi, ma non era diventato un celebre luminare! Aveva avuto fame.
La “paura di aver fame” ci attanaglia. Non è necessario essere dei Van Goog, che soffri la fame pur di seguire il suo genio: basterebbe essere degli Henry Ford, che vedeva nella ricchezza non il fine delle sue attività, ma il sintomo che le sue attività rispondevano ai bisogni della popolazione.
Non voglio ridurre Gesù Cristo ad “esperto di marketing” (l'hanno già fatto “il primo socialista” e chissà quanti ruoli ancora) ma quando dice “Non di solo pane vive l'uomo” denota di conoscere bene come è fatto l'uomo.
Nel 1954, tal Abrham Maslow ha tentato di formulare una gerarchia di valori che “motivano” il comportamento umano. Pur criticabile, è abbastanza sensata.
La “fame” è al livello più basso.
E' superstizione rispondere sempre a bisogni di un certo livello della “piramide di Maslow” quando, occorrerebbe passare ad un altro. Eppure il consumismo è proprio inventarsi “fami” inesistenti per motivare l'impegno, quando invece le motivazioni dovrebbero essere cercate tra quelle relative a livelli più alti.

lunedì 29 ottobre 2012

Decrescita felice o crescita delle motivazioni intrinseche?

Cerco di fare una sintesi di due miei post precedenti.
Parto con la citazione di un personaggio che non ho messo nel mio pantheon, perchè è ancora vivo e non lo conosco bene, ma per molte cose mi sento in sintonia, soprattutto estetica, con lui: Josè Alberto Mujica, presidente dell'Uruguay. Costui oltre essere bruttino di natura, ha uno stile di vita molto dimesso, non certo da capo di stato. E' considerato il presidente più povero del mondo, ma lui dice:

Yo no soy pobre, pobres son los que creen que yo soy pobre.Tengo pocas cosas, es cierto, las mínimas, pero sólo para poder ser rico. Quiero tener tiempo para dedicarlo a las cosas que me motivan.

Quindi un esempio di “baratto” ben riuscito, nell'ottica di quanto sostenevo in quest'altro intervento.

Un piccolo problema teologico. Nel Vangelo (Matteo 19, 24) Gesù dice “è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli”. La cosa sconvolgente è che i discepoli, che notoriamente non erano dei nababbi, ma gente che viveva del proprio lavoro, rimangono “costernati e dicono «Chi si potrà dunque salvare?». E Gesù, fissando su di loro lo sguardo, disse: «Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile». -
Siccome non credo al “vangelo” come un testo sacro o escatologico, ma Cristo è capace di provocare la realta quotidiana, mi colpisce questo “spaventarsi” dei discepoli: avevano forse in mente la “ricchezza motivazionale”? Quindi  anche la ricchezza motivazionale potrebbe essere di ostacolo ad una piena realizzazione di sé (metafora un po' più laica ma coincidente con “regno dei cieli”). ? 

Per intanto ritengo un buon passo avanti se si passasse dalla crescita consumista dovuta ad un lavoro alienato che trova solo motivazioni estrinseche (consumo) ad un lavoro che da motivazioni intrinseche e non necessita il consumismo come motivazione.
Questo episodio del Vangelo ricorda che neppure questo passaggio basta... ci vuole ancora un salto in più. Allora “adelante, Don Pepe!”


sabato 13 ottobre 2012

Il mio pantheon laico (e virtuale)

Non ho molto tempo in questo periodo e quindi non riesco a fare un post molto "ragionato" e documentato.
Quindi faccio un post un po' estemporaneo: il mio pantheon, cioè un elenco di personaggi che in qualche modo mi affascinano.
Ovviamente, data la mia cultura cattolica e piemontese doc, al primo posto ci sarebbe don Bosco, che fin da piccolo, e anche nei momenti in cui mi sono sentito più lontano dalla tradizione cattolica, l'ho sempre considerato un "tipo tosto". Poi don Giussani e Giovanni Paolo II, ma lascierei perdere le persone che in qualche modo hanno contribuito a farmi conoscere il cristianesimo, per evitare un discorso complicato e ... per scherzare con i fanti lasciando stare i santi....
Pantheon laico:
Al primo posto ci metto, come si è gia potuto intuire in questo blog Vaclav Havel, un uomo colto, mitteleuropeo, affascinante ma nello stesso tempo semplice e alla mano. Un uomo che ha saputo rischiare personalmente per la verità e la libertà.
Un altro personaggio che mi ha sempre affascinato era Alexander Langer. Anche lui una persona sensibile, intelligente capace di buttarsi di pesona, con una visione della politica di cui oggi sentiamo la mancanza. A volte penso i suoi ultimi momenti... credo nella misericordia di Dio.
Al terzo posto metto Bulat Okudzhava, un cantautore russo un De Andrè e che però ricorda in certe canzoni il nostro Sergio Endrigo. Uno che ebbe una vita molto difficile: figlio di dirigenti del partito comunista caduti in disgrazia ai tempi di Stalin. Faceva canzoni molto "intime" ed aveva un discreto successo, anche se sempre "border-line" rispetto al regime. Non era un dissidente, ma "evocava" le componenti "ufficialmente rimosse" della psiche umana: la nostalgia, il rimpianto per le occasioni mancate, la paura... evocava "l'umano" ed questo fa sempre insospettire il potere. Col regime andava con i piedi di piombo. Diceva che la sua musa era Ironia.
Vi sono due personaggi nei cui panni mi piacerebbe essere stato. Anche se "lucidamente" considero la loro azione se non eticamente riprovevole,  almento lontana dalla mia scala di valori, ma mi sarebbe piaciuto essere al posto loro:
Lorenzo il Magnifico e l'assessore Giorgio Balmas.
Mi piacerebbe tantissimo "comandare de facto" senza mai "comandare de iure": sono altri quelli che decidono, ma decidono sempre quello che voglio io, come di fatto fu per Lorenzo il Magnifico.
Invece per l'assessore Balmas, ritengo che sarebbe fantastico, come riuscì a fare lui, poter fare il mecenate con il denaro altrui! Lucidamente ritengo la politica della giunta Novelli una schifezza, uno spreco di denaro pubblico, una miopia destinata alla carriera di Novelli all'interno del PCI (carriera che di fatto non fece). Ma soldi buttati per soldi buttati, la competenza musicale di Balmas era notevole ed i sui gusti musicali ottimi.

Pantheon virtuale
Tra tutti i romanzi letti, quale personaggio ho amato di più?  Il Capitan Grekov, difensore del 6/1 nell'assedio di Stalingrado, nel romanzo Vita e Destino.
Tra tutti i film visti che personaggio avrei voluto essere ? Victor, il simpatico zingaro falsario ricettatore e virtuoso del violino nel film Il concerto di Radu Mihăileanu

domenica 23 settembre 2012

Il grande baratto

Talvolta capita di sentir dire.
"Ah! la generazione dei nostri figli sarà la prima che vedrà diminuire il proprio benessere dopo diverse generazioni in cui era sempre aumentato."
Questo luogo comune, degno di essere citato nelle raccolta che compare ogni tanto su "Il Foglio", nel mio caso è errato, perchè per quanto riguarda le condizioni di vita, io, laureato, sto molto peggio di mio padre, diplomato. Non mi dilungo su questo. Ricordo che una volta, una delle prime che sentii dire questo luogo comune, dissi: "No, io li ritengo più fortunati: non dovranno assecondare le ambizioni piccolo-borghesi dei nostri genitori". Mentre dicevo questo pensavo alla mia situazione personale, non pensavo di dire una cosa molto più seria che ora mi accingo ad analizzare.
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Riferendomi al libro "Intrinsic Motivation at Work" di Kenneth W Thomas, mia lettura estiva, il lavoro della precedente generazione era un lavoro sostanzialmente alienante: una piccola elite di lavoratori (dirigenza)  aveva un visione del business, definiva le attività specifiche in modo dettaglio, le assegnava ai lavoratori il cui compito era quello realizzare quanto previsto minimizzando “l’errore umano”. Questo era una forma di alienazione, ma per molti della generazione torinese negli anni 60 non era un problema. Il lavoro era il sostentamento per “il tempo libero”, che per loro veniva considerata la “vera vita”. Il tempo di questa vera vita era abbastanza alto (considerando anche che sono andati in pensione presto) e le retribuzioni piuttosto consistenti, grazie anche alle lotte sindacali.

Le motivazioni erano del tutto estrinseche, ed anche il maggior impegno sul lavoro era legato a motivazioni estrinseche. Le piramidi aziendali erano lunghissime per permettere tante piccole promozioni. Esisteva una spece di tabella non scritta, ma evidente nella mente del torinese medio, che legava il modello di auto (ovviamente FIAT) al grado aziendale: chi sceglieva un’auto di livello maggiore era considerato uno sbruffone (blagoeur), chi di livello minore un tirchio (rancin).
Così era Torino, ma al di là del folclore locale, questo era il modello dell’occidente industrializzato. Facevano eccezione i professionisti, artisti, artigiani... poca gente.

Oggi la “globalizzazione” ha fatto saltare questo paradigma attaccandolo su due fronti.
  • Primo: la sostenibilità economica che è sotto gli occhi di tutti (ma ci torno).
  • Secondo: la complessità, su cui vorrei soffermarmi.
E’ sempre più difficile che un “capo” riesca a pianificare, dettagliare, specificare tutte le operazioni, e questo non solo nei contesti dove vi sono tecnologie in continua evoluzione e “germinazione” per cui chi non è operativo (capo) tende ad essere obsoleto (es: informatica) Questo vale anche per contesti meno “colti”. Immaginiamo la commessa del centro comerciale: non si può avere un tabellario a con le risposte da dare alle possibili domande dei clienti, moltiplicate per il loro stato d’animo, contesto culturale... eppure la sensazione che la commessa ti consideri, vale più di una scheda punti per fidelizzare il cliente!
I “posti di lavoro” di questo genere, a tutti i livelli, stanno diventando maggioritari rispetto ai posti di lavoro “fordisti”.
Il lavoratore quindi deve essere orientato, piuttosto che da una se di operazioni da svolgere, da degli scopi da raggiungere: la sua cultura, quella dei colleghi, le best-pratices... determinano le azioni. Le capacità non saranno solo più quelle di applicarsi alle attività che qualcun'altro ha definito, ma anche “scegliere” le attività che avvicinano allo scopo pre-definito.

Il grande baratto  di cui parlavo nel titolo sarebbe mettere insieme queste due sfide per (ah! che frase trita!) trasformare il problema in opportunità.


Ora nel modello “fordista” o, per dirla con Kenneth W.Thomas della compliance era c’erano solo motivazioni estrinseche. Queste producono un’escalation: 
Il giorno X ti compravi la 500 vedevi questo fatto come un dato positivo (motivazione estrinseca data dal lavoro). Se dopo un po’ di tempo, tu non avessi potuto ricomprarla, vedevi la mancanza dell’auto come una negatività; cambiarla con un’altra uguale non ti avrebbe dato lo stesso senso di positività di quando l’avevi presa la prima volta, ma di normalità: per sentire una motivazione positiva, dovevi prenderti almeno un 850! Come nelle dipendenze da droghe o farmaci, che non solo si deve prendere la dose giornaliera, ma aumentare sempre la dose.

Questa “escalation” ha generato:
  • Il cosiddetto consumismo, strettamente correlato con una società delle motivazioni estrinseche.
  • la superstizione del progresso o sviluppo o crescita, dipende dagli autori, e la credenza che le generazioni future dovrebbero “stare meglio” delle passate.
Quando Serge Latouche (personaggio di cui non condivido il pensiero, ma di cui alcuni spunti non dovrebbero essere sottovalutati) parla di una decrescita felice ho molti dubbi.
Ma se si passasse ad un paradigma di motivazioni intriseche, la "felicità" sarebbe possibile anche in assenza di un escalation consumista. Escalation che nel tempo si è dimostrata non sostenibile.

Obiezione: ma senza consumismo non ci sarebbe crescita quindi neanche lavoro quindi neanche motivazioni intrinseche. Contro-obiezione: la crescita potrebbe benissimo essere non-consumista: meglio avere uno screening preventivo sulla salute, meglio avere cure adeguate, meglio poter conoscere lingue, fare sport... che comprare l'ultimo modello dell'ultimo gadget di moda?



martedì 28 agosto 2012

Agile senza saperlo 10 - Stefano I re d'Ungheria

Parecchi anni fa avevo letto una citazione di Stefano d'Ungheria che mi piacque molto. Cercai il libro da cui era stata tratta e dopo un discreta ricerca lo trovai: un libro piccolo, ma in latino con traduzione italiana a fronte.
Non avevo ancora vissuto la sgradevole esperienza in T***, che "per trattar del ben che vi trovai" mi diede, per reazione, l'interesse per l'approccio agile, da cui la lettura di Management 3.0... forse era un presentimento... ma veniamo a Stefano.
Stefano era un capo tribù dei magiari che intorno all'anno 1000 capì che se volevano sopravvivere avrebbero dovuto organizzarsi in uno stato, come erano organizzati gli stati del XI secolo. Il testo è una serie di consigli che Stefano impartisce al figlio Imre, immaginando che sarebbe stato il suo successore. Non fu così, ma per noi ora non ha importanza.
I consigli sono soprattutto legati al rapporto con la Chiesa. Stefano faceva grandi dichiarazioni di rispetto, ma  è evidente che desiderava strumentalizzare l' unica altra oraganizzazione sul suo territorio, capace di raggiungere il popolo, renderlo più civile etc. Oggi questi consigli sarebbero inaccettabili sia per un laico sia per la Chiesa stessa. Ma come dice il  manifesto della complessità in Management 3.0 "Solutions depend on the problem’s context" e "Each strange solution is the best one somewhere" in quel contesto quel deficit di separazione tra stato e chiesa poteva essere utile, tant'è che la Chiesa ricorda Stefano come Santo.
C'è però un punto che mi piace moltissimo e sento una grande affinità con Management 3.0. In Management 3.0 si ricorda che nell'alveare le api quando fa "troppo caldo" battono le ali per raffreddare le arnie. Ma ogni ape è diversa: considera il "troppo caldo" in modo diverso perciò c'è chi comincia prima, chi dopo: grazie a questa diversità la temperatura è ben controllata, senza "scalini" che comprometterebbero la qualità del miele. Segue un più dettagliato esame del valore della diversità in un ambiente lavorativo.
Ma ecco cosa dice Stefano:
La presenza di stranieri e di uomini che vengono da fuori, è di tale vantaggio che merita a ragione di essere annoverata al sesto posto nella dignità regale. L'impero di Roma crebbe ed i re Romani divennero illustri e gloriosi soprattutto perchè a Roma confluirono da diverse regioni molti uomini insigni e sapienti.... Un regno che abbia una sola lingua ed una sola consuetudine di condotta è infermo e fragile...

OK?

mercoledì 1 agosto 2012

Zavorre - Superstizione : lavorare di più.

Superstizione: sono più di 30 anni che nessuno pensa di fare passare un cavallo da li!

Ho intitolato un mio post "Son pà fòl!" perchè avevo notato di aver fatto un post il cui  contenuto sarebbe poi stato ripreso dal Wall Street Journal (mica dalla gazzetta di Vallumida!)
Se avessi pubblicato quello che avevo in mente l'avrei potuto ribadire oggi, perchè tramite un commento su linkedin pubblicato da Jurgen Appelo, l'autore di Management 3.0, ho visto un post sull' Harvard Businnes Review (mica il Corriere di Ligosullo!) che esprime un concetto che ho in mente. 
Dice l'articolo che come "ore lavorate" la Grecia supera la Germania. Eppure sappiamo tutti come stanno le economie dei due paesi! L'immagine del mediterraneo sdraiato al sole e il nordico al lavoro è falsa. Il problema è il peso "burocratico" che rende improduttivo il lavoro.
Diceva Tom De Marco, anche se non ricordo bene dove, che il ricorso ordinario allo straordinario è il modo migliore per rendere meno produttiva ogni ora di lavoro.
Invece i nostri "vicerè" che pensano ancora alla "catena di montaggio" in un contesto economico dove pezzo prodotto = pezzo venduto, hanno in mente di aumentare le ore di lavoro.
1) Aumento dell'orario di apertura dei negozi: Solo un cretino va a comprare il latte più volte perchè trova il negozio aperto più spesso. Uno compra quello che gli serve, se ha i soldi per pagarlo. 
Ma su questo tema potrei obiettare che chi ha fatto questa pensata non era uno scemo, persegue lucidamente un fine: tenere di più aperto un negozio vuol dire aumentare i costi. Fare questo in un periodo in cui è difficile accedere al credito vuol dire fare chiudere le piccole realtà per permettere la concentrazione in pochi grandi gruppi. 
2) Sempre qualche "ç@#! ha proposto di togliere qualche festività per fare aumentare il PIL. La cosa è rientrata, ma era assudo che qualcuno l'abbia detta in un contesto diverso che il WC di un'osteria!  Si sa benissimo che picchi di produzione in piccole realtà sono sempre gestiti, mentre vi sono grandi realtà che elemosinano cassa integrazione e altri ammortizzatori sociali! Togliamo le feste per avere più giorni di cassa integrazione!
3) Quello che però è più drammatico è che la squola ha deciso di portare a 60 minuti le ore delle lezioni.
In qualsiasi corso di management o di chi deve parlare in pubblico si dice l'attenzione dopo 20 minuti svanisce... Ricordo uno schetch di Paolo Cevoli, comico ma non cretino, che parlava della tombola del manager: quando un direttore doveva tenere un discorso distribuiva cartelle tipo tombola con il luoghi comuni come "core businnes" "valore aggiunto"... e la gente per stare attenta si segnava quando "uscivano".... Invece i padroni della squola non se ne rendono conto?
Quei 10 minuti si potevano ben recuperare in altro modo! Inoltre così i ragazzi in classe saranno ancor più dirstratti, e a casa non avranno il tempo per studiare!
Che ci sia un disegno lucido come per la chiusura dei piccoli negozi o è solo superstizione?
Accetto ipotesi.

mercoledì 4 luglio 2012

Zavorre: Superstizione: i sacrifici.

Come ho già detto in un mio precedente post, definisco la superstizione nel seguente modo: Un gruppo organizzato, in certo ambiente, impara che alcuni atteggiamenti, azioni, accorgimenti, sono efficaci per fronteggiare certi problemi ed ottenere certi risultati. Il contesto cambia, ma le procedure rimangono in vigore e si rivelano inefficaci quando non dannose. La superstizione è l'intervallo di tempo trascorso dal cambiamento del contesto che inficia l'utilità delle procedure.
Una superstizione che sempre i politici o le classi al potere usano, da che io mi ricordi è "fare sacrifici". Oggi in particolare, questa metafora viene usata molto spesso.
Premesso: come ho anche esplicitato in questo post, e si può evincere dalla lettura di molti altri, io attribuisco una grande importanza al fattore religioso; ritengo che le azioni e gli atteggiamenti della vita pratica siano molto connesse con la propria posizione religiosa. Appunto per questo l' uso di un termine religioso (sacrificio) a sproposito, ha per me un sapore molto sgradevole.
Al tempo del paganesimo per ottenere la prosperità dei campi e la fecondità degli armenti si facevano sacrifici agli dei. Allo stesso modo nell'antica Roma si facevano sacrifici agli dei per la salus della patria.
Ma questo legame politica-sacrificio pensavo che la cultura europea lo avesse definitivamente rigettato nel 426 d.C. Cioè non si esclude che i credenti possano invocare l'aiuto del divino, ma appunto chiederlo, non attuare delle procedure (sacrifici) per fare sì di ottenerlo.
Nel 426 d.C. fu formalizzata l'inutilità dei sacrifici. L'episodio fu l'invasione dei Goti che arrivarono a distruggere Roma. La vecchia classe dirigente pagana, accusava gli "atei" cristiani di aver lasciato perdere l'abitudine di sacrificare agli dei e con questo attirarsi tali sciagure. Sorsero diverse diatribe su questo argomento, in particolare mi piace citare Agostino che risponde in modo razionale a tali obiezioni. In particolare nella "Città di Dio" cap V par 12, analizza l'ascesa di Roma che dipende dalla forma mentis del popolo romano (amore per la propria libertà, desiderio di gloria,...) e non dalla protezione di qualche nume.
Invece oggi si parla ancora di "fare sacrifici" invece di "coltivare le virtù". Più di 1500 anni sprecati?
(II parte)
Non necessariamente. Sarebbe un'idiozia fare il "bilancio della storia" in poche righe di un post, ma sta di fatto che da un po' di tempo sembra essere tornati a prima del 426 d.C.
Ma qual è la differenza tra "fare sacrifici" e "coltivare la virtù" ? Nel fare sacrifici il popolo "delega" ad una casta ristretta (quella sacerdotale, oggi i "tecnici" o "esperti" ) le sue funzioni e si aliena, come se dovesse dipendere da circostanze esterne che non dipendono da lui. Nel coltivare la virtù invece ognuno deve guardare se stesso, capire cosa fa, giocarsi nelle circostanze della vita: la cosa richiederà sicuramente un impegno maggiore, privazioni, fatica (chiamiamoli anche questi, se vogliamo, sacrifici) ma diventa protagonista della sua vita. Insomma, "la libertà è partecipazione"!
Che cosa servirà di più per "uscire dalla crisi"? La risposta mi sembra facile, ma probabilmente la "casta del tempio" in questo periodo è molto potente.


mercoledì 27 giugno 2012

Son pà fòl !

Il 25 gennaio 2011 avevo pubblicato questo post che mi ha permesso di ottenere una copia autografata di Management 3.0
Ora, il 19 giugno 2012 sul sito del Wall Street Journal (mica la gazzetta di vallumida!) trovo questo articolo.

Who's the Boss? There Isn't One 

Son Pà fòl !

giovedì 14 giugno 2012

7 habits of highly shot people

Qualche tempo fa lessi il libro di Steven Covey "7 habits of highly effective people" nella sua traduzione italiana che suona "le 7 regole per avere successo". Già sulla traduzione non letterale del titolo ci sarebbe da fare qualche commento.
Infatti il testo non dà assolutamente le regole per "avere" successo, cioè per prevaricare gli altri, costringere gli altri a fare ciò che vuoi tu; insegna ad "essere" efficaci .
Non sto a recensire il testo, che, proprio perchè è attinente con il titolo originale e non con la traduzione italiana, risulta essere interessante e sostanzialmente condivisibile.
Leggendolo e pensando a persone che potevano essere come quelle ipotizzate da Covey, ho pensato a Giovanni Paolo II ed anche a don Bosco. Di Giovanni Paolo II in particolare ho letto un'intervista del generale Jaruzelski che si diceva colpito non tanto di quello che il Papa dicesse o facesse, ma di come sapesse ascoltare. Mi pare proprio che dicesse "Ho avuto la possibilità di verderlo ascoltare". Ora la capacità di ascoltare è una dote particolarmente importante per Covey.
L'autore cita spesso Gandhi e Sadat . Quest'ultimo come capacità cambio di prospettiva e di arrivare ad un compromesso.
Che cos'hanno in comune queste quattro persone? Gandhi e Sadat morirono in attentati. A Giovanni Paolo II l'attentato fallì per pochissimo e comunque lui rimase ferito. Si racconta che anche a don Bosco prepararono un attentato, ma quel giorno il suo cane Gris, gli abbaiava e ringhiava contro ogni volta che stava per in camminarsi nella direzione dove lo attendevano gli attentatori: lui cambiò programma e l'attentato fallì.
Insomma a seguire le regole di Covey finisce che qualcuno ti sparerà.