sabato 26 marzo 2011

un progenitore comune

Precarietà nel lavoro, meno matrimoni. Alcuni sostengono che i giovani rimandino il matrimonio, apppunto a causa del lavoro precario. Ho qualche dubbio: il posto sicuro è una fissazione della generazione che si è sposata negli anni '50 e '60. I nostri nonni e le nostre nonne (le fantastiche ragazze del 99!) non la pensavano così, e nemmeno le generazioni precedenti. (per fortuna, altrimenti ora noi non ci saremmo!)
Purtroppo il benessere degli anni 60 ha forzato dei paradigmi che stentano a morire, nonostante sia morto il benessere : quindi forse un legame di causa effetto tra la crisi del lavoro e la crisi dei legami matrimoniali esiste.
Ma sono più convinto che entrambe le crisi siano legate da un progenitore comune: l'incapacità di dare fiducia.
“Vorrei vedere, dare fiducia, con la gente che c'è in giro adesso!”
Di personaggi di tutti i tipi ci sono sempre stati, ma mella civiltà passata tutto era più semplice. Il lavoro prevalentemente forniva servizi e prodotti noti e definiti, che implicavano conoscenze e mansioni stabili e definite. Anche tra i coniugi vigevano ruoli noti e definiti
Ora è tutto più complesso. Ma alla complessità si aggiunge il peso che coniuge o datore di lavoro - capo si fanno delle aspettative sul partner o dipendente.
Nel matrimonio ci si aspetta dal coniuge una "soddisfazione" una "felicità" che non è contemplata nè nel rito civile italiano nè nel rito cattolico. Il “capo” tende a vedere nel “collaboratore” uno che fa quello che non riesce a fare lui: una protesi di se stesso, così come un coniuge guarda l'altro coniuge come la sua metà (brrr!).
Invece gli altri sono proprio altri, e da questo fatto nascono grandi delusioni (o possono verificarsi piacevoli sorprese!).

Ho finalmente quasi finito di leggere Management 3.0 di Jurgen Appelo. Ci sono considerazioni piuttosto interessanti su come collaborare in con persone che sono veramente “altro” da te.
In molti punti si evince che l'autore non è in sintonia con quelle che è la dottrina cattolica. Peccato, altrimenti i parroci lo coinvolgerebbero molto volentieri a tenere corsi ai fidanzati per prepararli al matrimonio!

martedì 15 marzo 2011

Agili senza saperlo 2 - don Milani

Il nuovo personaggio agile "senza saperlo" è don Milani, e non mi riferisco nella sua opera ai valori e principi dell'agile manifesto, ma quanto al "framework" Scrum.
Devo fare una premessa, che si rifà ad una citazione di don Milani che ho letto quando avevo quattordici anni ed ha segnato la mia vita.  Ad un amico comunista che lo elogiava, risponde di fare attenzione perchè un giorno l'avrebbe tradito. Infatti quando il comunismo avrebbe avuto il potere e gli emarginati di oggi avrebbero avuto una vita dignitose etc... siccome nessun sistema umano risolve tutti i problemi, ci sarebbero stati altri poveri, altri reietti, e lui sarebbe stato dalla loro parte. Oltre al fascino di questa posizione, che dopo un lungo corso continua a contribuire a rendermi affacinate l'esperienza cristiana, mi ha colpito e segnato la certezza della non esistenza di un "silver bullet", di un sitema comunque risolutivo...
In ciò si rifa a Scrum che, come afferma uno dei sui coautori in questa intervista , non vuole essere una metodologia che da una risposta a tutte le domande, ma un "framework adattativo".
Poi nel legame don Milani - Scrum mi piace pensare come è stata fatta la "lettera ad una professoressa" (tra l'altro uno dei testi più incompresi della storia, ma tralascio questa polemica) E' stata scritta dall'intera classe con un metodo di lavoro collettivo, molto interessante. Di Scrum mi piace molto la pratica del poker-plannig,
in cui tutti sono obbligati a dare il loro contributi. Se le valutazioni convergono hanno buone possibilità di essere corrette, se divergono allora vuol dire che a qualcuno sta sfuggendo qualcosa . Ma attenzione, non c'è un primo che parla ed influenza gli altri, tutti fanno la loro valutazione ed insieme scoprono le carte.

domenica 6 marzo 2011

La nascita della tecnologia

Avevo in mente di proseguire con i post sugli "agili senza saperlo", ma un fatto molto triste mi  ha costretto ad andare a ripescare dal solito manufatto testuale che non andrà mai alla fine, questo brano.

Delle trasmissioni televisive che guadavo da piccolo, quello che ricordo meglio sono le sigle. C'era un programma per i ragazzi con una sigla che mi pare si intitolasse Archimede Pitagorico. La melodia era simpatica, il ritmo molto frizzante e il testo descriveva tutte le cose eccezionali che Archimede Pitagorico realizzava "...mentre noi stiamo qua, tutto il giorno a ballar".
Era evidente: la tecnologia è una cosa per sfigati. I tecnici al lavoro, da soli; gli altri,"noi" cioè in compagnia, a divertirsi, allegramente.
 
Probabilmente avevo indovinato. Risalgo nella notte dei tempi e in fondo alla valle scorgo un gruppo dei nostri pelosi ciondolanti progenitori. Insieme stan cacciando carni vive: bocche affamate, braccia forti scagliano selci aguzze con furore. Improvvisamente la belva braccata, prima di cedere ha un impeto e colpisce il prode Ühhüö (che nomi strani avevano i nostri progenitori!). Non lo uccide, ma lo rende sciancato. Un cacciatore in meno, una bocca da sfamare in più, la legge di sopravvivenza del clan è ferrea. Ma dallo scimmione emerge quel quid che lo fa balzare di un gradino sulla scala dell'evoluzione. Parla il saggio Höühö.
"Non priviamoci del nostro amico Ühhüö! Pensate: di solito quando noi terminiamo la caccia, tornati al villaggio ci aspetta un altro compito: procurarci le armi per la prossima battuta. Invece da domani questo lavoro lo farà lui per tutti, mentre noi siamo a caccia."
Dovendo preparare non solo un'arma, ma molte ogni giorno e con un giorno di anticipo, Ühhüö perfezionò sempre il suo lavoro ed il prodotto del suo lavoro. Si ebbero così armi migliori. I cacciatori inoltre, svincolati dalla necessità di procurarsi loro stessi le armi, potevano affrontare battute di caccia più lunghe e lontane. Quando nel clan ci si accorse che il giovane Ëühüö era gracile, Ühhüö ormai vecchio, se lo prese con se e gli rivelò i trucchi del mestiere.
Mi piace pensare che questa sia la storia della tecnica. Quando una società per includere degli individui che altrimenti sarebbero reietti, si ristruttura ampliando il campo di interessi, progredisce. Quando si fissa su pochi modelli vincenti ed esclude il diverso, decade. Sparta per migliorare la potenza militare eliminava i ragazzini gracili, ma di potenze militari ne sono passate tante nella storia: dimenticate. Oggi, direttamente o tramite il geometra l'idraulico e lo psicanalista incontriamo ancora Euclide Archimede e Sofocle: greci, ma non Spartani.

domenica 20 febbraio 2011

Agile senza saperlo: 1 - Don Giussani

Avevo in mente una serie di post dedicati a personaggi esterni al mondo dello sviluppo software, ma che in qualche modo hanno seguito i valori e principi dell' agile manifesto. Mi interessa raccontare che esiste una saggezza umana, una "sapientia cordis" con cui affrontare la realtà, anche lo sviluppo del software. 
Contravvenendo alla scaletta che mi ero fatto ho pensato di cominciare con don Giussani, per farlo quasi coincidere con l'anniversario della sua scomparsa (come sul dirsi, perchè è più che mai presente!).

Non starò a dilungarmi sul "Responding to change over following a plan" : sono molte le citazioni di don Giussani in cui lui afferma di non aver mai voluto "fondare" nulla, ma di aver obbedito al Carisma. Ancor più citazioni sull' "aderire alle circostanze".
Invece per quanto riguarda il principio "The most efficient and effective method of  conveying information .... is face-to-face conversation" vorrei citare un episodio personale. Don Giussani l'avevo visto alcune volte mentre parlava da un palco, ma a pochi metri di distanza, a faccia a faccia, mi capitò di incontrarlo a New York.
Sapevo che sarebbe andato lì, ad incontrare le comunità di CL allora nascenti e di cui facevano parte soprattutto ragazzi italiani andati in USA a fare dei Master o vari corsi si specializzazione. Io avevo appena finito una parte della mia attività lavorativa in Pennsylvania (vedi post) Presi qualche giorno di ferie prima del ritorno in Italia e mi fermai a New York. 
Per farla breve, ad uno dei tanti incontri che don Giussani tenne in città,  un tale chiese la ragione del trovarsi per la "Scuola di comunità". Non bastava, diceva questo ragazzo, assegnarsi un testo e studiarselo singolarmente? Cosa serviva trovarsi in gruppo ad intervalli regolari per approfondire la comprensione ed il confronto su quanto stiamo vivendo? 
La risposta di don Giussani non la ricordo nei minimi dettagli, ma un discorso simile al suo l'ho letto in seguito, in The Scrum Primer di Pete Deemer, Gabrielle Benefield, Craig Larman, Bas Vodde, quando viene criticato l'approccio waterfall. La stesura di un documento scritto prevede un passaggio di astrazione rispetto alla realtà e la sua lettura aggiunge un altro passo di astrazione. Quindi non si ha nessuna garanzia che il messaggio sia capito e compreso senza essere frainteso.  Occorre (anche) parlarsi. Inoltre, secondo altri autori, la miglior forma di comunicazione è quella verbale supportata da schizzi/ schemi... e l'immagine di don Gius più famosa è sicuramente questa. 
(e poi il cristianesimo è un incontro!)

domenica 13 febbraio 2011

Varie ed eventuali

Sono stato un po' lontano dal blog e riassumo velocemente alcuni punti degli eventi di questi giorni (con qualche nesso con il tema che vorrei emergesse dal blog).
Management 3.0
Mi è arrivato il libro Management 3.0 di J.Appelo (che ringrazio ancora) e mi accingo a leggere.
Decimo anniversario dell'Agile Manifesto.
Sono già passati 10 anni, ed in Italia continua ad essere una novità o una stranezza per hobbisti, senza impatto sulle grandi aziende. Povera Italia!
Anniversario delle morte di Eluana.
Che c'entra con questo blog? C'entra con il post Project management esistenziale. Un incidente così grave, secondo la definizione  classica, porterebbe a considerare il "progetto esistenza" = fallito . Ma secondo una definizione più "complessa"? Per quanto riguarda "la soddifazione personale e l'eccellenza tecnica" è un mistero che conosce solo lei e su cui nessuno può dire nulla. Ma per quanto riguarda il beneficio che apporta all'organizzazione, (il ROI) questo episodio ha messo a dura prova, anzi ha fatto affrontare la massima prova, che una qualsiasi organizzazione può affrontare "La capacità di accogliere ed integrare il diverso" e l'ha fatto nel modo più duro che si possa immaginare. Siccome secondo me l'integrazione del diverso è la chiave di sopravvivenza di una civiltà,  tornerò su questo tema. Da questo test, la vicenda di Eluana , la società italiana, non mi pare uscita bene.
Berlusconi.
A parte le varie considerazioni che vorrei fare (Ha ragione Violante!) ce n'è una correlata con questo blog. Possibile che un uomo potente, ricco etc... si diverta peggio che un marinaio sbarcato in un porto dopo mesi di navigazione? Forse conviene ridefinire il concetto di successo.
Egitto e Tunisia.
Mi sento fraternamente legato al popolo tunisino ed egiziano in questi loro giorni pieni di difficoltà speranze e paure. Ero stato per lavoro in Tunisia nel 1996 e ne avevo avuto un impressione ottima. La gente, soprattutto i giovani e i cittadini, parlano normalmente francese e arabo, in più molti imparavano l'inglese e l'italiano. Gente sveglia e istruita. Anche dalle statistiche si vede che è una generazione ad una scolarità molto alta in assoluto, ed in particolare nel mondo arabo. Eppure le prospettive di lavoro sono bassissime, inadeguate allo studio. In questo mi sento loro fratello: anch'io laureato, 30 e più anni di lavoro di discreto livello, oggi  ho uno status sociale minore di quello di un bidello.
Dell'Egitto: ho avuto l'onore di ascoltare alcuni anni fa una "lezione" del prof. Wael Farouq . Mi ha fatto cadere molti pregiudizi che avevo nei confronti degli islamici. Pensavo che, "bloccati" dal Corano, gli islamici fossero magari anche persone pie e guidate ad una vita onesta, ma non "colte", come i maestri Zen o i vari "dottori della Chiesa" e loro discepoli. Mi ha fatto ricredere. Ora ho letto avidamente le sue interviste che sono riuscito a trovare sui fatti di questi giorni. Immancabilmente redarguisce l'occidente per la sua doppiezza, ambiguità, calcolo degli interessi di bottega sulla pelle dei popoli. (Lo fa in modo molto elegante, me è così).
Ha ragione Pagheremo caro, pagheremo tutto!

martedì 25 gennaio 2011

Dalla fabbrica senza operai all'azienda senza capi?

In due miei post precedenti (1 e 2) avevo raccontato delle mie esperienze nella factory automation (e in quegli anni era anche trandy la voce office automation).
Abbiamo visto, e magari ci tornerò, che la factory automation, non ha dato i risultati che allora ipotizzavo: ancora morti sul lavoro, i nuovi lavori nel terziario non così qualificanti, la globalizzazione...

E ecco al titolo del post, volutamente provocatorio: in relatà io non ho nulla di social-proletario rivoluzionario velleitario che direbbe "licenziando un manager si salverebbe il posto a tanti operai..." e imitando baffone "quanta sensoristica serve per sostituire un manager?"   
Mi metto nei panni di un investitore: vorrei il massimo del ritorno dei miei investimenti. Mi accorgerei che probabilmente dovrei intervenire sul modello organizzativo, e questo non costerebbe nulla in termini di hardware (se non qualche libro o partecipazione a corsi). 
Un modello che mi pare interessante è  Martie the management model riportato nel libro  management3 0 di Jurgen Applelo, anche se devo ammettere, il libro non l'ho ancora letto.

Ritengo che il modello comando-controllo, possa andar bene per prodotti assodati ed immutabili o, forse, per gestire brevi emergenze. Ma si può produrre innovazione con un modello aziendale che si ispira all'esercito napoleonico?
Vi sono imprenditori che si appellano al principio di sussidiarietà nei confronti dello stato e della sua invadente burocrazia: è corretto, ma all'interno della loro realtà produttiva questo principio è implementato?


I manager rimarranno sempre, ma il loro ruolo sarà notevolmente diverso e, spero per loro, più interessante

domenica 16 gennaio 2011

Animali anni '80

Avevo in mente un altro post, ma non ho il tempo di prepararlo. Per lasciare comunque sempre vivo il blog prendo questo stralcio da un altro manufatto testuale. Siccome prevedo che questo manufatto testuale non arriverà alla fine, almeno nel breve, ritaglio quanto segue, (ricordando che ho saltato tutta la digressione su individuo-branco, doverosa visto che non sono un seguace di Marvin Minsky):


Negli anni 80 andava di moda un testo che vidi affisso in alcuni uffici. Sostanzialmente diceva
 
“In Africa ogni mattina un leone sa che se vuole mangiare, deve catturare una gazzella e per farlo deve correre. Una gazzella sa che se vuole salvarsi dal leone deve correre, quindi che tu sia leone o che tu sia gazzella, se vuoi sopravvivere comincia a correre”. 
 
Non ho mai avuto un buon rapporto con gli animali. Quei cosi semoventi, di cui non capisco chi tenga il telecomando, mi hanno sempre ispirato poco. La mia cultura zoologica si ferma agli “strano ma vero” e “...forse non tutti sanno che” de La Settimana Enigmistica. Eppure quella storia mi sembrava scientificamente sbagliata e quindi sbagliata anche nella morale.
I grandi predatori prima di lanciarsi nella corsa se ne stanno bene acquattati a scrutare il branco per selezionare la preda, che non é quella più grande e florida, ma al contrario, quella che presumibilmente lo farà correre di meno: la caccia deve concludersi massimizzando il guadagno energetico.
 Il branco invece, con il dispiacere per la perdita del singolo erbivoro, da un lato tende a proteggere i piccoli e le madri gravide, dal altro può avere un vantaggio a perdere un elemento che potenzialmente malato e quindi infetto. Un amico zoofilo mi ha spiegato che nei ripopolamenti di animali delle nostre aree protette, dove la catena alimentare non é completa, la mancanza di predatori ha come conseguenza una maggior diffusione di epidemie nei branchi.
 
Quel testo va così riscritto.
 
E' mattino presto: Un leone, nascosto, sta scrutando un branco per scegliere quale individuo sarà più facile raggiungere, senza dover sfiancarsi a correre. Un branco di gazzelle, sentendo la presenza di un leone, cerca di proteggere i piccoli lasciando isolati gli individui meno sani.
Se sei leone: osserva bene e rifletti prima di correre.
Se sei un branco, non puoi tenere tutto: devi concentrarti solo sull'essenziale, lasciando perdere quello che potrebbe diventare per te una zavorra.
Ma sei un essere umano. L'Umanità ha ideato le Tecnologie affinché quello che sprecheresti oggi diventi una risorsa domani. L'Umanità ha inventato la Cultura affinché i tuoi talenti siano utili a tutti e le tue lacune siano colmante dal talento altrui. Rassegnati, non siamo fatti per correre, ma per camminare insieme.

domenica 9 gennaio 2011

La fabbrica senza operai

Ritorno all'argomento di un mio post precedente, di quando negli anni '80 mi occupavo di Computer-integrated manufacturing (CIM). Allora si parlava di "fabbrica senza operai". 
Il nostro senso etico si ribellava a masse di disoccupati sostituiti da CNC, Robot,  trasloelevatori, PLC e sensoristica varia,  tutti guidati da un computer collegato ad un mainframe... 
Sapevamo che i lavori facilmente eliminabili dall'automazione erano di per se lavori ripetitivi, alienanti e talvolta posti in ambienti malsani. Il valore aggiunto di una produzione "capital intensive" anzichè "labour intensive" avrebbe creato possibilità di nuovi impieghi nel terziario.
Allora pensavamo che "terziario" avesse voluto dire assistenza agli anziani e disabili, valorizzazione del patrimonio artistico... e non pensavamo di certo che i posti creati nel terziario fossero da risponditori di call center! 
Ma mai e poi mai ci sarebbe passato per la testa che più dell'automazione avrebbe potuto la globalizzazione: la riduzione dei costi si sarebbe ottenuta portando il lavoro in luoghi dove il lavoro era meno oneroso e la nocività della produzione, portando il lavoro dove non esistono o non vengono rispettati regolamenti in merito.
Ma mai e poi mai mi sarebbe venuto in mente un altro argomento che, almeno qui in Italia, non è venuto in mente pare a nessuno. Quale? Altra puntata.

martedì 28 dicembre 2010

Project management esistenziale

Secondo il PMBOK un progetto deve avere le seguenti caratteristiche:
- essere delimitato nel tempo: non importa quanto, ma deve avere un inizio ed una fine (cap 1.2.1)
- deve avere un carattere di unicità. (cap 1.2.2)

Anche l'esistenza di ognuno di noi ha queste caratteristiche.

Secondo il PMBOK un progetto è riuscito se:
1)realizza i requisiti 
2)nei tempi previsti 
3)con il budget previsto.
Sempre nell'ambito del Project management, alcuni autori ( vedi The Art of Agile Development James Shore and Shane Warde) contestano questo approccio che sa tanto di “l'operazione è riuscita ma il paziente è morto".

Il successo di un progetto è dato da un mix di fattori, non incompatibili fra loro: soddisfazione personale, eccellenza tecnica, valore aggiunto per l'organizzazione.

Se, come abbiamo appena detto, la nostra esistenza ha le caratteristiche di un progetto, quale potrebbe essere la definizione di successo? Quella classica del PMBOK (diploma a 19 anni con la votazione di almeno xxx, laurea a ... con la votazione di almeno ..., lavoro entro ... mesi, promozione entro .... e via discorrendo)? Se avessi adottato questa metrica avrei già dovuto spararmi un colpo diverse volte. Purtroppo a molta gente tale balzana idea viene in mente.
Più interessante è tentare di applicare la seconda metrica. Applicare questi indicatori alla vita personale (soddisfazione personale, eccellenza nelle attività quotidiane e valore aggiunto per le persone che ci stanno intorno) non è affatto impossibile in qualsiasi situazione umana, anzi rende la vita più avvincente.

Se di quest'anno non invio altri post, buon anno!

lunedì 20 dicembre 2010

Perchè ho votato John Lasseter, Pixar.

Nella classifica promossa da ilsole24ore su dieci migliori innovatori del decennio ho votato, per John Lasseter, Pixar.
E' molto difficile valutare il peso delle innovazioni. Nella storia della scienza vi sono fuochi di paglia e scoperte "carsiche". Pensiamo alla storia dell'algebra di Boole o degli esperimenti di Mendel, e rivediamoci tra cent'anni.
Inoltre, il Cigno Nero insegna che esiste una buona dose di casualità nell'eccezionalità di certi risultati. 
La genialità della Pixar è nell'innovazione delle trame delle storie a lieto fine. In tali storie veniva abitualmente premiato l'individuo che  si impegna a fondo con correttezza, quindi la sua caparbietà, tenacia, intelligenza, audacia ... mentre con sue storie la Pixar sottolinea l'importanza di avere delle relazioni positive, a volte ottenute con fatica e rinuncia della propria istintività.
Riconoscere questa interdipendenza è vitale anche nella ricerca scientifica e tecnologica. Questo mi pare il punto in cui la serva Italia ha le maggiori carenze, prima ancora che dei finanziamenti.
Nel film Cars poi c'è un richiamo esplicito all'approccio agile nei progetti. L'obiettivo era vincere la Piston Cup, ma siccome succede "altro" (cioè la scena principale del film) tutti gli spettatori, giornalisti, cameramen... si spostano altrove e il vincitore si trova da solo senza nessuno che lo consideri. Occore "agilità" nel  ritarare rapidamente gli obiettivi all'evolvere del contesto, anche questa è una lezione data dalla Pixar.

domenica 12 dicembre 2010

Bon Natal!


J bërgé, ciamà da j angej, a son davzin a la balma 'd Betlem andoa a-j è ël Bambin con la Madona e San Giusép.
Antant che a son ën contemplassion, ringrassiand l'Altissim, quaicadun a comenta:
“Che bela masnà! A smija tut a soa mare!”,
“Për fòrsa, a lo dis ël proverbi : j fieuj a matriso e le fije a patriso”
“Për boneur ch' a l'è naje 'n cit, a fussa staita 'na cita a s-podria gnanca vëdde!"