Continuo i miei commenti sul secondo articolo dei due molto interessanti pubblicati su "La Civiltà Cattolica" .
L'articolo spiega come questa eresia si sia diffusa anche oltre oceano, in Nigeria, in America Latina ed addirittura nella Cina Comunista.
Quello che vorrei sottolineare è come purtroppo questa eresia si fosse diffusa negli anni 50 e primi anni 60 anche in Italia e non attraverso sette bibliche finanziate da telepredicatori, ma si sia infiltrata dentro la Chiesa Cattolica stessa.
Il milieu culturale in cui sono cresciuto è purtroppo quello.
Contesto: ceti urbani, quindi lontani dalla religiosità tradizionale contadina, con i riti delle rogazioni, culto dei santi protettori dalle calamità naturali, santuari, ecc. ma era un ceto che doveva reinventarsi una nuova identità. Ceti piccolo-borghesi, generazione che era stata bambina o molto giovane durante la guerra e si era affacciata alla vita nel dopoguerra. Il dopoguerra portava con sé due elementi: grandi opportunità economiche per la “ricostruzione” e le elezioni del 1948 con una grande divisione tra “il fronte” e la DC. Premesso che con il senno di poi è meglio che il fronte non abbia vinto, questa vittoria ha portato in quella generazione un'associazione d'idee perversa:
Cattolici = DC = anticomunismo = Scelta Atlantica = USA = vittoria, perché siamo dalla parte giusta sia contro i fascisti, poveracci, che contro i cattivi comunisti.
E poi ancora USA = American way of life = consumismo = film americani = possibilità di progredire cioè possedere la casa, la macchina, elettrodomestici, TV che ribadiva i messaggi consumisti, ferie, bei vestiti, ecc...
Essendo piccolo-borghesi erano spesso impiegati che avevano una valutazione individuale data dall'azienda, quindi erano individualmente in competizione ed assolutamente lontani dalla solidarietà di classe che era una cosa da “comunisti”.
In questo ragionamento si calava bene quanto dice l'articolo:
In alcune società in cui la meritocrazia è stata fatta coincidere con il livello socio-economico senza che si tenga conto delle enormi differenze di opportunità, questo «vangelo», che mette l’accento sulla fede come «merito» per ascendere nella scala sociale, risulta ingiusto e radicalmente anti-evangelico.
In generale, il fatto che vi siano ricchezza o benefici materiali ricade ancora una volta sull’esclusiva responsabilità del credente, e di conseguenza vi ricade anche la sua povertà o carenza di beni. La vittoria materiale colloca il credente in una posizione di superbia a causa della potenza della sua «fede». Al contrario, la povertà lo carica di una colpa doppiamente insopportabile: da una parte, egli considera che la sua fede non riesce a muovere le mani provvidenti di Dio; e, dall’altra, che la sua situazione miserabile è un’imposizione divina, una punizione inesorabile accettata con sottomissione.
Ma per ovviare a questa situazione, anche se non di povertà, ma almeno di impossibilità di correre su queste scale in salita, allora ecco le scorciatoie: raccomandazioni e piccole disonestà tollerate dalla società di allora.
Molte realtà di chiesa torinese, si erano trovate a “benedire” questa eresia, magari spaventate dai baffi di Stalin o comunque prive della sensibilità tale da coglierne l'errore.
Poi tutto questoatteggiamento è stato travolto, grazie a Dio, a partire dal Concilio.
Ci sono stati in campo cattolico molti critici, i “cattolici del dissenso” ma hanno criticato gli effetti, cioè posizioni poco etiche, come giustamente poteva fare qualsiasi agnostico, senza scavare a fondo su cosa invece fosse alla base del cristianesimo.
Ora mi sembra che la Chiesa abbia preso in mano saldamente il timone per lasciare marginali queste situazioni e d'altra parte le corsa sulle scale del consumismo ha dentro di sé delle forze di auto-distruttività che non la possono fare durare.
Penso di aver già toccato questi argomenti ed infatti ci sono anche molti link a post precedenti. Ma essermi trovato in un contesto simile è un tema che ha avuto un grande peso per la mia esistenza
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