Sabato 30 settembre presso la parrocchia di San Giovanni Bosco la Messa prefestiva è stata celebrata dal Vescovo. Alla parrocchia fanno riferimento, oltre che un certo territorio, anche delle scuole dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Ovviamente la partecipazione è stata enorme e la celebrazione si è tenuta nel cortile, molto ampio. (faceva anche bel tempo)
Io e mio figlio scherzavamo: “Eh, hanno ragione quelli che dicono che le chiese sono vuote, la gente è tutta nel cortile!!”
A parte la battuta, quando ho tempo, e da quando sono in pensione questo evento ogni tanto capita, vado a messa anche nei giorni feriali.
A San Giovanni Bosco ci sono ben due messe feriali e nella seconda messa feriale, al gesto della pace tento di contare la gente: ci sono sempre circa trenta persone, e non solo vecchiette.
Talvolta, per altri giri, vado alla messa degli universitari di CL e sono sempre stupito a vedere dei ventenni partecipare con attenzione ad una messa feriale. Le chiese sono vuote? Dal mio test personale pare di no, ma forse io cerco di frequentare chiese in cui il momento liturgico possa richiamare ad un significato per la vita: anche gli altri faranno così, quindi certe chiese non si svuotano.
Il dato statistico è però oggettivo.
Problemi sociologici: a Torino dalla metà degli anni 60 e nei primi anni 70 sono state costruite molte chiese, per lo più orrende. Da allora Torino ha perso circa 200.000 abitanti un'intera città capoluogo di provincia. E quelle chiese?
Antichissimamente in alcune zone periferiche c'erano le Pievi, chiese fuori dai borghi in cui gli abitanti andavano per le funzioni. È prevalso il metodo delle chiese in ogni borgata. Oggi sono borghi spopolati e i poveri preti girano come pazzi per celebrare in chiesette carine, ma minuscole. Si spostassero i fedeli?
Comunque molti studiosi notano nella società una perdita del sacro. Io ricordo da ragazzo le chiese piene, ma non ricordo che lì dentro ci fosse nulla di sacro, inteso come tentativo di rapportarsi al mistero, al trascendente. Una certa forma di esteriorità cattolica era un fatto sociale alla Durkeim con cui un certo ceto sociale celebrava se stesso.
In questi giorni, per altri motivi, mi torna spesso alla mente la canzone Borghesia di Claudio Lolli che descrive bene il mondo della mia fanciullezza e prima giovinezza.
Termina con
“Vecchia piccola borghesia, vecchia
gente di casa mia
Per piccina che tu sia il vento un giorno,
forse, ti spazzerà via”
Quindi, quella gente che nel dopoguerra fino agli anni 70 riempiva le chiese, è stata spazzata via?
Ragionando su quel ceto sociale, una delle sue peculiarità era l'individualismo, la competizione totale con tutti gli altri individui di quello stesso ceto. Non so bene in cosa consistesse, ma da ragazzo sentivo parlare di solidarietà operaia; invece per i commercianti di Lolli o gli impiegati dei miei ricordi, era una competizione continua il cui premio era il possesso di beni di consumo il cui uso principale era quello di status-symbol. Un'etnia che si auto-combatte.
Era come se dentro avessero già una bomba per la propria disgregazione, o almeno l'impossibilità di trasmettere ai posteri: un po' perchè tra i posteri:
- alcuni abbiamo rifiutato quel mondo,
- altri in questa corsa al “consumo” hanno dovuto superare barriere che hanno reso la “nuova borghesia” incompatibile con una Chiesa che nel frattempo aveva ritrovato se stessa.
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