lunedì 25 settembre 2023

Maestri del sospetto – 3) Émile Durkheim

 Ma come!!!?? I maestri del sospetto non erano Marx Freud e Nietzsche? Perché non parlo ora di lui? Che c'entra Durkheim?

Innanzitutto a parte quel poco studiato a scuola – ma poco perché ai miei tempi per la maturità “uscivano” le materie e filosofia nel 1975 non era uscita - di Nietzsche non ne so molto. I suoi commentatori dicono cose che fatico a seguire. I suoi testi, a parte qualche bella frase qua è là, mi sembrano piuttosto scuciti. Non solo, ma se ai suoi tempi avessero già inventato il magnetofono, Nietzsche avrebbe fatto meglio a recitare che scrivere, perché certe frasi non riesco a capire se sono da intendersi con sarcasmo o entusiasmo.

Émile Durkheim, con tutti i suoi epigoni, per me è l'osso più duro. Qui avevo indicato come Harvey Cox mi aveva fatto superare le obiezioni marxiane e valorizzare alcuni incontri fatti. Qui come don Giussani mi aveva fatto superare il modello freudiano. L'obiezione portata dalla visione di Durkheim è più ostica da superare. Ma non è da censurare, altrimenti rimane – Freud insegna – nell'inconscio, magari per emergere in punto di morte. Anzi, certe obiezioni sono una grazia di Dio per andare a fondo su certi temi e scoprire nuovi orizzonti.

Secondo la visione “antropologica” la religione è un fatto sociale. Miti fondativi e rituali su cui un certo “gruppo” basa la propria identità e di conseguenza la propria coesione e distinzione da altri gruppi. Vera quindi come fatto in se con tutte le sue conseguenze – ahimè spesso tragiche – e falsa perché una costruzione autoreferenziale sorretta da una “finzione”.

Purtroppo la “religione” legata alla mia cosiddetta educazione cattolica è proprio di quel tipo e ben descritta dalla canzone “Borghesia” di Claudio Lolli. Su tale tema però devo tornarci.

L'immagine di una religione immanente, solo vincoli sociali dove il rapporto con il trascendente è irrilevante, è molto presente. Esempi sono il totemismo da racconti di antropologi positivisti; il confucianesimo; il cattolicesimo “american way of life” - “Vecchia piccola borghesia” di Lolli come quello della mia infanzia e prima giovinezza; l'identarismo salafita o alla Meloni-Salvini o della “Terza Roma” degli slavofili o altre situazioni analoghe. Purtroppo...

A volte, chiacchierando con amici con cui penso di condividere tratti di cammino, mi sorge il dubbio che la religione sia solo a questo livello. Ok, mi pare ovvio che la religione si esplichi anche come “fatto sociale”. Ma in che misura l'insieme dei credenti, il “Popolo di Dio” non è il gruppo che implementa la sua coesione e distinzione dagli altri? Veramente “questa entità etnica sui generis” (S. Paolo VI), la “nuvola di testimoni” di cui parlava Padre Lepori, è una comunità di “testimoni” di qualcos' Altro ?

La chiave per me sta nella parola stessa di “cattolico” cioè universale, per tutti. “Quando eravamo ancora peccatori, Cristo morì per tutti” (S. Paolo ai Romani). E se è per tutti, la “distinzione” non preclude nessuno. Ogni riduzione identitaria, salta.

Nel racconto della Pentecoste è bellissimo che tutti si capiscono pur parlando lingue diverse, nessuno deve dimenticare la propria per adeguarsi a quella degli altri. A volte quando sono in chiesa mi piace vedere la persone, gente di tutte le età, vestite con fogge diverse, probabilmente con situazione sociale e culturale molto diversa, come anticipo della Pentecoste futura.

La sfida, comunque, continua.


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