domenica 16 dicembre 2012

Babbo Natale è il colpevole del declino. Bruciamolo!

Alcuni anni fa, l'allora vescovo di Torino, Mons. Poletto, scriveva in una sua lettera omelia, Nessuno ci rubi il Natale cristiano! - volendo appunto sottolinare che la festa di Natale o era una festa cristiana o non aveva senso. 
Per un cristiano il ragionamento non fa una grinza. 
Ma sta di fatto che questo è un perido di festeggiamenti a cui partecipa tutta la società cosiddetta occidentale, anche chi non ritiene possibile che la "Causa Prima", il "Motore Immobile", la Verità, l"Eterno Senza Tempo"... etc abbia voluto condividere la condizione delle sue creature e fare loro compagnia fino a quel modo.
Ma per costoro ritengo che sarebbe comunque un atto di igene mentale cacciare l'idea "laica" di Babbo Natale e accogliere quella del "Bambino Divino".
Tutte le immagini sono polisemiche, ma vediamo il significato che il contesto suggerisce. Come si legge spesso nel sito di Claudio Risè ed anche in altri testi (divulgativi, purtroppo non posso permettermi di più)  di autori di scuola junghiana, il bambino significa "rinnovamento", "nuova energia", "cambiamento in positivo" etc. Essendo poi il bambino "uno" e al centro del presepe non c'è il rischio che possa significare "dispersione di energia" o "pensiero confuso" come se ci fosse una frotta di bambini. 
Inoltre è da cancellarsi l'interpretazione di una regresione all'infanzia: tutto ciò che circonda il Bambino Gesù ricorda la sua missione adulta. Un esempio per tutti, i Magi regalano "Oro, Incenso e Mirra", regali da adulti, mica orsacchiotti! 
Che cosa simboleggia invece Babbo Natale? L'immagne del vecchio può anche avere una valenza positiva, quella del vecchio saggio. Ma il vecchio dovrebbe essere appunto saggio: dare consigli di non immediata compresione, fare dei doni sì, ma sufficientemente strani, che il ricevente capirà poco a poco e troverà utilissimi: questo perchè il vecchio non deve "tarpare le ali" al ricevente, ma offrire la sua esperienza: il riecevente deve fare lo sforzo di comprendere il dono e farlo suo, solo così diventerà utile. Ma Babbo Natale non è Gandalf (che tra l'altro lui stesso si trasforma). Babbo Natale è un conservatore del peggior tipo, quello apparentemente buono, che da il "contentino", che vuole tutto in quiete.
Inoltre Babbo Natale rappresenta anche l'immagine del gelo, della natura che dorme...
Quindi cosa c'è di più recessivo che allontanarsi dalla figura del Bambino (con la potenza di un adulto) e connettersi con l'immagine del vecchio conservatore-gelo?

Nelle culture contadine, verso la fine dell'inverno di questo personaggio "vecchio-gelo" veniva fatto un fantoccio e bruciato come rito apotropaico. Questo può essere un buon uso di Babbo Natale.

Auguro Buon Natale a tutti i miei eventuali lettori che per sbaglio finiscono su questo blog. Auguro che possano bruciare Babbo Natale e che si lascino coinvolgere dal bambino. 
Se poi per loro il Bambino significa anche che l'"Alfa e Omega", la"Sorgente della Vita che non muore" ... si è mescolato alla umanità, l'augurio è che l'eccezionalità di questo fatto possa essere spesso presente nei pensieri quotidiani (augurio che faccio innanzitutto a me stesso).

PS: fin da piccolo ho sempre avuto istinti tra il politically scorrect ed il blasfemo: ricordo queste rime:
Babbo Natal
Vecchio Maial
Pesi un quintal
Finirai dentro a un fossal 
(fossal è la storpiatura piemontese di "fossato") 

domenica 25 novembre 2012

GdLC endorses Matteo Renzi

Sebbene il nome del mio blog si rifaccia ad una battuta dell'on. Bersani e l'on.Bersani stesso sia una persona "simpatica" ritengo che Matteo Renzi sia portatore di "aria nuova" nella politica italiana. 
Purtroppo solo ora ho avuto il tempo materiale di pubblicare questo post, scritto su carta con matita dell'IKEA venerdi 23 novembre. Lo pubblico così com'è.

Non ho ancora deciso se domenica andrò a votare alla primarie del PD. Ovviamente per votare Matteo Renzi.
PRO: ho trovato molto interessante il programma di Renzi, in paticolare nel fatto che si rende conto che la società è complessa, i cambiamenti devono avvenire dal basso, da cui l'attenzione alla sussidiarietà etc.... Nell'attuale panorama italiano è l'unica alternativa anti-depressiva al fatto deprimente di vivere nella serva italia.

CONTRO 1: occorre aderire al documento del partito democratico in cui vi sono due parole che assolutamente non condivido.
a) Occorre definirsi come "progressisti"  A me la parola progresso evoca, nelle migliori ipotesi baffuti gentiluomini con il cilidro o bombetta, sul velocipede che osservano le scoppiettanti vetture automobili, poesie marinettianiane ed immagini di Balla e Depero; nella peggiore delle ipotesi "progresso" evoca il genocidio dei pellerossa e delle culture antiche, disatri ecologici, lavoratori sfruttati... Progresso mi piace solo se accompagnato dall'aggettivo "sostenibile". Non era meglio "riformisti"? 
b)Tra i vari pricipi si parla del riconoscimento del merito. Ora ammetto che può essere una concessione al politically correct, ma ho troppo anni di lavoro alle spalle per sapere come si ottiene il merito in certe aziende...(anche private!) sono stato in URSS ed ho visto fabbriche improduttive con addirittura le foto dei migliori lavoratori affisse sulla strada presso l'ingresso principale .... l'URSS era una società altamente meritocratica e sappiamo come è andata a finire. Ma bando alle considerazioni personali, sappiamo che riconoscere il merito è una cosa molto difficile e rischiosa, soggetta alla legge di Goodhart . Interessante e seguire il tema sul blog NOOP.NL dello spesso citato J. Appelo

CONTRO 2: anche sul programma di Renzi ho alcuni dubbi 
a) Un certo giovanilismo, mentre il cambiamento non può venire dai giovani (abbiamo visto - Gelmini, Carfagna, Capezzone....) che per emergere sono yes-men oltranzisti quindi il massimo della conservazione. Il cambiamento viene dai vecchi-perdente, cioè dai vecchi le cui idee sono state sconfitte un tempo: da questi, può venire una visione diversa della realtà. 
b) La mancata volontà di cambiare la legge Fornero. Invece va cambiata. Perchè chi come me ha messo per anni il 33% e rotti in contributi previdenziali (cosa che non esiste in alcun altro stato) quindi ha avuto uno stipendio basso, e questo perchè in Italia c'è la pensione di anzianità, ora che toccherebbe prenderla si sente dire "non ci sono i soldi".Questo genera una totale mancanza di fiducia nello stato. Se mancano i soldi, li si prendano da altre parti, o si può dire che i contributi messi da domani in poi, maturano di meno quindi... ma non si può dire i sodi che hai messo non esistono!
c) Occorre sottolineare una netta invesione di tendenza rispetto la linea Monti: SMontare l'Italia! Monti ha fallito non solo ecomicamente, (dal previsto lieve incremento del PIL quando è andato al governo al -2,3% realizzati, è un fallimento) ma soprattutto nell'ottica del famoso discorso di Robert Kennedy del 18/3/1968.
La vera forza di una stato sta nell'orgoglio dei suoi cittadini di appartenere a quello stato. Ebbene, Monti e la Fornero da quel punto di vista invece ci fanno sentire sempre di più in sitonia con Ciccio Tumeo l'organista de "Il Gattopardo"

CONTRO 3: date le mie esperienze pregresse, il mio voto porta sfortuna.

martedì 13 novembre 2012

Zavorre : la superstizione della fame.

Circa un anno fa avevo partecipato ad un incontro sul tema della crisi, relatore tra gli altri Mario Calabresi, che disse una serie di castronerie molto pesanti.
Lascio perdere i dettagli, ma volevo soffermarmi sull'inizio. Secondo il direttore Calabresi, persona per altri versi molto interessante, siamo in crisi perchè “non abbiamo abbastanza fame” e poi partì con l'equazione: dalla fame nasce l'impegno, dall'impegno il benessere e così via. Gli esempi piuttosto squinternati che faceva, tra l'altro raccontati benissimo, sostenevano quella tesi.
Per la mia esperienza è vero l'opposto: siamo in crisi perchè abbiamo troppa paura di aver fame.
Non sto a fare la mia autobiografia, a spiegare che se avessi seguito i miei irrazionali sogni da giovane “che non ha mai provato la fame” oggi guadagneri come minimo 200 euro mensili in più e con prospettive migliori, mentre sono stato costretto a seguire strade “più serie” ed ora sono nel guano...
Ragiono in termini più generali.
Il “benessere” degli anni cinquanta segnò la “fine della fame” sia per le popolazioni che erano sostanzialmente uscite dalla fame negli anni '30 e vi erano rientrate di brutto durante la seconda guarra mondiale, sia per i “contadini poveri” che non vi erano mai usciti.
Questo fatto ha creato una supersizione, cioè un certo paradigma nel giudacare e di conseguenza di agire che si è mantenuto anche in seguito, quando le condizioni sono cambiate. Ma criteri di giudizio e comportamento inadeguati al contesto sono causa di azioni sbagliate.
Torniamo alla fame: nella storia l'uomo spinto dalla fame,  non ha mai fatto nulla di grande. Se Giuseppe Verdi avesse avuto fame, avrebbe continuato a gestire l'albergo dei genitori; Cezanne avrebbe continuato gli affari paterni o avrebbe venduto quadri più consoni alla moda del tempo; Keplero si sarebbe dedicato esclusivamente a fare oroscopi, fregandosene dei formulare le leggi del moto dei pianeti; Mendel non scoprì la genetica per fame, ma per la  curiosità. Potrei andare avanti così per pagine.
Ricordo un tale che raccontava che aveva un compagno di classe eccezionalmente bravo nelle materie tecniche e scientifiche. Si aspettava che sarebbe diventato premio Nobel per la fisica o giù di lì.  Lo rivide anni dopo: aveva avuto un contratto vantaggiosissimo per progettare elettrodomestici che si rompessero non prima, ma esattamente poche ore dopo la scadenza della garanzia. Aveva guadagnato un bel po' di soldi, ma non era diventato un celebre luminare! Aveva avuto fame.
La “paura di aver fame” ci attanaglia. Non è necessario essere dei Van Goog, che soffri la fame pur di seguire il suo genio: basterebbe essere degli Henry Ford, che vedeva nella ricchezza non il fine delle sue attività, ma il sintomo che le sue attività rispondevano ai bisogni della popolazione.
Non voglio ridurre Gesù Cristo ad “esperto di marketing” (l'hanno già fatto “il primo socialista” e chissà quanti ruoli ancora) ma quando dice “Non di solo pane vive l'uomo” denota di conoscere bene come è fatto l'uomo.
Nel 1954, tal Abrham Maslow ha tentato di formulare una gerarchia di valori che “motivano” il comportamento umano. Pur criticabile, è abbastanza sensata.
La “fame” è al livello più basso.
E' superstizione rispondere sempre a bisogni di un certo livello della “piramide di Maslow” quando, occorrerebbe passare ad un altro. Eppure il consumismo è proprio inventarsi “fami” inesistenti per motivare l'impegno, quando invece le motivazioni dovrebbero essere cercate tra quelle relative a livelli più alti.

lunedì 29 ottobre 2012

Decrescita felice o crescita delle motivazioni intrinseche?

Cerco di fare una sintesi di due miei post precedenti.
Parto con la citazione di un personaggio che non ho messo nel mio pantheon, perchè è ancora vivo e non lo conosco bene, ma per molte cose mi sento in sintonia, soprattutto estetica, con lui: Josè Alberto Mujica, presidente dell'Uruguay. Costui oltre essere bruttino di natura, ha uno stile di vita molto dimesso, non certo da capo di stato. E' considerato il presidente più povero del mondo, ma lui dice:

Yo no soy pobre, pobres son los que creen que yo soy pobre.Tengo pocas cosas, es cierto, las mínimas, pero sólo para poder ser rico. Quiero tener tiempo para dedicarlo a las cosas que me motivan.

Quindi un esempio di “baratto” ben riuscito, nell'ottica di quanto sostenevo in quest'altro intervento.

Un piccolo problema teologico. Nel Vangelo (Matteo 19, 24) Gesù dice “è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli”. La cosa sconvolgente è che i discepoli, che notoriamente non erano dei nababbi, ma gente che viveva del proprio lavoro, rimangono “costernati e dicono «Chi si potrà dunque salvare?». E Gesù, fissando su di loro lo sguardo, disse: «Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile». -
Siccome non credo al “vangelo” come un testo sacro o escatologico, ma Cristo è capace di provocare la realta quotidiana, mi colpisce questo “spaventarsi” dei discepoli: avevano forse in mente la “ricchezza motivazionale”? Quindi  anche la ricchezza motivazionale potrebbe essere di ostacolo ad una piena realizzazione di sé (metafora un po' più laica ma coincidente con “regno dei cieli”). ? 

Per intanto ritengo un buon passo avanti se si passasse dalla crescita consumista dovuta ad un lavoro alienato che trova solo motivazioni estrinseche (consumo) ad un lavoro che da motivazioni intrinseche e non necessita il consumismo come motivazione.
Questo episodio del Vangelo ricorda che neppure questo passaggio basta... ci vuole ancora un salto in più. Allora “adelante, Don Pepe!”


sabato 13 ottobre 2012

Il mio pantheon laico (e virtuale)

Non ho molto tempo in questo periodo e quindi non riesco a fare un post molto "ragionato" e documentato.
Quindi faccio un post un po' estemporaneo: il mio pantheon, cioè un elenco di personaggi che in qualche modo mi affascinano.
Ovviamente, data la mia cultura cattolica e piemontese doc, al primo posto ci sarebbe don Bosco, che fin da piccolo, e anche nei momenti in cui mi sono sentito più lontano dalla tradizione cattolica, l'ho sempre considerato un "tipo tosto". Poi don Giussani e Giovanni Paolo II, ma lascierei perdere le persone che in qualche modo hanno contribuito a farmi conoscere il cristianesimo, per evitare un discorso complicato e ... per scherzare con i fanti lasciando stare i santi....
Pantheon laico:
Al primo posto ci metto, come si è gia potuto intuire in questo blog Vaclav Havel, un uomo colto, mitteleuropeo, affascinante ma nello stesso tempo semplice e alla mano. Un uomo che ha saputo rischiare personalmente per la verità e la libertà.
Un altro personaggio che mi ha sempre affascinato era Alexander Langer. Anche lui una persona sensibile, intelligente capace di buttarsi di pesona, con una visione della politica di cui oggi sentiamo la mancanza. A volte penso i suoi ultimi momenti... credo nella misericordia di Dio.
Al terzo posto metto Bulat Okudzhava, un cantautore russo un De Andrè e che però ricorda in certe canzoni il nostro Sergio Endrigo. Uno che ebbe una vita molto difficile: figlio di dirigenti del partito comunista caduti in disgrazia ai tempi di Stalin. Faceva canzoni molto "intime" ed aveva un discreto successo, anche se sempre "border-line" rispetto al regime. Non era un dissidente, ma "evocava" le componenti "ufficialmente rimosse" della psiche umana: la nostalgia, il rimpianto per le occasioni mancate, la paura... evocava "l'umano" ed questo fa sempre insospettire il potere. Col regime andava con i piedi di piombo. Diceva che la sua musa era Ironia.
Vi sono due personaggi nei cui panni mi piacerebbe essere stato. Anche se "lucidamente" considero la loro azione se non eticamente riprovevole,  almento lontana dalla mia scala di valori, ma mi sarebbe piaciuto essere al posto loro:
Lorenzo il Magnifico e l'assessore Giorgio Balmas.
Mi piacerebbe tantissimo "comandare de facto" senza mai "comandare de iure": sono altri quelli che decidono, ma decidono sempre quello che voglio io, come di fatto fu per Lorenzo il Magnifico.
Invece per l'assessore Balmas, ritengo che sarebbe fantastico, come riuscì a fare lui, poter fare il mecenate con il denaro altrui! Lucidamente ritengo la politica della giunta Novelli una schifezza, uno spreco di denaro pubblico, una miopia destinata alla carriera di Novelli all'interno del PCI (carriera che di fatto non fece). Ma soldi buttati per soldi buttati, la competenza musicale di Balmas era notevole ed i sui gusti musicali ottimi.

Pantheon virtuale
Tra tutti i romanzi letti, quale personaggio ho amato di più?  Il Capitan Grekov, difensore del 6/1 nell'assedio di Stalingrado, nel romanzo Vita e Destino.
Tra tutti i film visti che personaggio avrei voluto essere ? Victor, il simpatico zingaro falsario ricettatore e virtuoso del violino nel film Il concerto di Radu Mihăileanu

domenica 23 settembre 2012

Il grande baratto

Talvolta capita di sentir dire.
"Ah! la generazione dei nostri figli sarà la prima che vedrà diminuire il proprio benessere dopo diverse generazioni in cui era sempre aumentato."
Questo luogo comune, degno di essere citato nelle raccolta che compare ogni tanto su "Il Foglio", nel mio caso è errato, perchè per quanto riguarda le condizioni di vita, io, laureato, sto molto peggio di mio padre, diplomato. Non mi dilungo su questo. Ricordo che una volta, una delle prime che sentii dire questo luogo comune, dissi: "No, io li ritengo più fortunati: non dovranno assecondare le ambizioni piccolo-borghesi dei nostri genitori". Mentre dicevo questo pensavo alla mia situazione personale, non pensavo di dire una cosa molto più seria che ora mi accingo ad analizzare.
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Riferendomi al libro "Intrinsic Motivation at Work" di Kenneth W Thomas, mia lettura estiva, il lavoro della precedente generazione era un lavoro sostanzialmente alienante: una piccola elite di lavoratori (dirigenza)  aveva un visione del business, definiva le attività specifiche in modo dettaglio, le assegnava ai lavoratori il cui compito era quello realizzare quanto previsto minimizzando “l’errore umano”. Questo era una forma di alienazione, ma per molti della generazione torinese negli anni 60 non era un problema. Il lavoro era il sostentamento per “il tempo libero”, che per loro veniva considerata la “vera vita”. Il tempo di questa vera vita era abbastanza alto (considerando anche che sono andati in pensione presto) e le retribuzioni piuttosto consistenti, grazie anche alle lotte sindacali.

Le motivazioni erano del tutto estrinseche, ed anche il maggior impegno sul lavoro era legato a motivazioni estrinseche. Le piramidi aziendali erano lunghissime per permettere tante piccole promozioni. Esisteva una spece di tabella non scritta, ma evidente nella mente del torinese medio, che legava il modello di auto (ovviamente FIAT) al grado aziendale: chi sceglieva un’auto di livello maggiore era considerato uno sbruffone (blagoeur), chi di livello minore un tirchio (rancin).
Così era Torino, ma al di là del folclore locale, questo era il modello dell’occidente industrializzato. Facevano eccezione i professionisti, artisti, artigiani... poca gente.

Oggi la “globalizzazione” ha fatto saltare questo paradigma attaccandolo su due fronti.
  • Primo: la sostenibilità economica che è sotto gli occhi di tutti (ma ci torno).
  • Secondo: la complessità, su cui vorrei soffermarmi.
E’ sempre più difficile che un “capo” riesca a pianificare, dettagliare, specificare tutte le operazioni, e questo non solo nei contesti dove vi sono tecnologie in continua evoluzione e “germinazione” per cui chi non è operativo (capo) tende ad essere obsoleto (es: informatica) Questo vale anche per contesti meno “colti”. Immaginiamo la commessa del centro comerciale: non si può avere un tabellario a con le risposte da dare alle possibili domande dei clienti, moltiplicate per il loro stato d’animo, contesto culturale... eppure la sensazione che la commessa ti consideri, vale più di una scheda punti per fidelizzare il cliente!
I “posti di lavoro” di questo genere, a tutti i livelli, stanno diventando maggioritari rispetto ai posti di lavoro “fordisti”.
Il lavoratore quindi deve essere orientato, piuttosto che da una se di operazioni da svolgere, da degli scopi da raggiungere: la sua cultura, quella dei colleghi, le best-pratices... determinano le azioni. Le capacità non saranno solo più quelle di applicarsi alle attività che qualcun'altro ha definito, ma anche “scegliere” le attività che avvicinano allo scopo pre-definito.

Il grande baratto  di cui parlavo nel titolo sarebbe mettere insieme queste due sfide per (ah! che frase trita!) trasformare il problema in opportunità.


Ora nel modello “fordista” o, per dirla con Kenneth W.Thomas della compliance era c’erano solo motivazioni estrinseche. Queste producono un’escalation: 
Il giorno X ti compravi la 500 vedevi questo fatto come un dato positivo (motivazione estrinseca data dal lavoro). Se dopo un po’ di tempo, tu non avessi potuto ricomprarla, vedevi la mancanza dell’auto come una negatività; cambiarla con un’altra uguale non ti avrebbe dato lo stesso senso di positività di quando l’avevi presa la prima volta, ma di normalità: per sentire una motivazione positiva, dovevi prenderti almeno un 850! Come nelle dipendenze da droghe o farmaci, che non solo si deve prendere la dose giornaliera, ma aumentare sempre la dose.

Questa “escalation” ha generato:
  • Il cosiddetto consumismo, strettamente correlato con una società delle motivazioni estrinseche.
  • la superstizione del progresso o sviluppo o crescita, dipende dagli autori, e la credenza che le generazioni future dovrebbero “stare meglio” delle passate.
Quando Serge Latouche (personaggio di cui non condivido il pensiero, ma di cui alcuni spunti non dovrebbero essere sottovalutati) parla di una decrescita felice ho molti dubbi.
Ma se si passasse ad un paradigma di motivazioni intriseche, la "felicità" sarebbe possibile anche in assenza di un escalation consumista. Escalation che nel tempo si è dimostrata non sostenibile.

Obiezione: ma senza consumismo non ci sarebbe crescita quindi neanche lavoro quindi neanche motivazioni intrinseche. Contro-obiezione: la crescita potrebbe benissimo essere non-consumista: meglio avere uno screening preventivo sulla salute, meglio avere cure adeguate, meglio poter conoscere lingue, fare sport... che comprare l'ultimo modello dell'ultimo gadget di moda?



martedì 28 agosto 2012

Agile senza saperlo 10 - Stefano I re d'Ungheria

Parecchi anni fa avevo letto una citazione di Stefano d'Ungheria che mi piacque molto. Cercai il libro da cui era stata tratta e dopo un discreta ricerca lo trovai: un libro piccolo, ma in latino con traduzione italiana a fronte.
Non avevo ancora vissuto la sgradevole esperienza in T***, che "per trattar del ben che vi trovai" mi diede, per reazione, l'interesse per l'approccio agile, da cui la lettura di Management 3.0... forse era un presentimento... ma veniamo a Stefano.
Stefano era un capo tribù dei magiari che intorno all'anno 1000 capì che se volevano sopravvivere avrebbero dovuto organizzarsi in uno stato, come erano organizzati gli stati del XI secolo. Il testo è una serie di consigli che Stefano impartisce al figlio Imre, immaginando che sarebbe stato il suo successore. Non fu così, ma per noi ora non ha importanza.
I consigli sono soprattutto legati al rapporto con la Chiesa. Stefano faceva grandi dichiarazioni di rispetto, ma  è evidente che desiderava strumentalizzare l' unica altra oraganizzazione sul suo territorio, capace di raggiungere il popolo, renderlo più civile etc. Oggi questi consigli sarebbero inaccettabili sia per un laico sia per la Chiesa stessa. Ma come dice il  manifesto della complessità in Management 3.0 "Solutions depend on the problem’s context" e "Each strange solution is the best one somewhere" in quel contesto quel deficit di separazione tra stato e chiesa poteva essere utile, tant'è che la Chiesa ricorda Stefano come Santo.
C'è però un punto che mi piace moltissimo e sento una grande affinità con Management 3.0. In Management 3.0 si ricorda che nell'alveare le api quando fa "troppo caldo" battono le ali per raffreddare le arnie. Ma ogni ape è diversa: considera il "troppo caldo" in modo diverso perciò c'è chi comincia prima, chi dopo: grazie a questa diversità la temperatura è ben controllata, senza "scalini" che comprometterebbero la qualità del miele. Segue un più dettagliato esame del valore della diversità in un ambiente lavorativo.
Ma ecco cosa dice Stefano:
La presenza di stranieri e di uomini che vengono da fuori, è di tale vantaggio che merita a ragione di essere annoverata al sesto posto nella dignità regale. L'impero di Roma crebbe ed i re Romani divennero illustri e gloriosi soprattutto perchè a Roma confluirono da diverse regioni molti uomini insigni e sapienti.... Un regno che abbia una sola lingua ed una sola consuetudine di condotta è infermo e fragile...

OK?

mercoledì 1 agosto 2012

Zavorre - Superstizione : lavorare di più.

Superstizione: sono più di 30 anni che nessuno pensa di fare passare un cavallo da li!

Ho intitolato un mio post "Son pà fòl!" perchè avevo notato di aver fatto un post il cui  contenuto sarebbe poi stato ripreso dal Wall Street Journal (mica dalla gazzetta di Vallumida!)
Se avessi pubblicato quello che avevo in mente l'avrei potuto ribadire oggi, perchè tramite un commento su linkedin pubblicato da Jurgen Appelo, l'autore di Management 3.0, ho visto un post sull' Harvard Businnes Review (mica il Corriere di Ligosullo!) che esprime un concetto che ho in mente. 
Dice l'articolo che come "ore lavorate" la Grecia supera la Germania. Eppure sappiamo tutti come stanno le economie dei due paesi! L'immagine del mediterraneo sdraiato al sole e il nordico al lavoro è falsa. Il problema è il peso "burocratico" che rende improduttivo il lavoro.
Diceva Tom De Marco, anche se non ricordo bene dove, che il ricorso ordinario allo straordinario è il modo migliore per rendere meno produttiva ogni ora di lavoro.
Invece i nostri "vicerè" che pensano ancora alla "catena di montaggio" in un contesto economico dove pezzo prodotto = pezzo venduto, hanno in mente di aumentare le ore di lavoro.
1) Aumento dell'orario di apertura dei negozi: Solo un cretino va a comprare il latte più volte perchè trova il negozio aperto più spesso. Uno compra quello che gli serve, se ha i soldi per pagarlo. 
Ma su questo tema potrei obiettare che chi ha fatto questa pensata non era uno scemo, persegue lucidamente un fine: tenere di più aperto un negozio vuol dire aumentare i costi. Fare questo in un periodo in cui è difficile accedere al credito vuol dire fare chiudere le piccole realtà per permettere la concentrazione in pochi grandi gruppi. 
2) Sempre qualche "ç@#! ha proposto di togliere qualche festività per fare aumentare il PIL. La cosa è rientrata, ma era assudo che qualcuno l'abbia detta in un contesto diverso che il WC di un'osteria!  Si sa benissimo che picchi di produzione in piccole realtà sono sempre gestiti, mentre vi sono grandi realtà che elemosinano cassa integrazione e altri ammortizzatori sociali! Togliamo le feste per avere più giorni di cassa integrazione!
3) Quello che però è più drammatico è che la squola ha deciso di portare a 60 minuti le ore delle lezioni.
In qualsiasi corso di management o di chi deve parlare in pubblico si dice l'attenzione dopo 20 minuti svanisce... Ricordo uno schetch di Paolo Cevoli, comico ma non cretino, che parlava della tombola del manager: quando un direttore doveva tenere un discorso distribuiva cartelle tipo tombola con il luoghi comuni come "core businnes" "valore aggiunto"... e la gente per stare attenta si segnava quando "uscivano".... Invece i padroni della squola non se ne rendono conto?
Quei 10 minuti si potevano ben recuperare in altro modo! Inoltre così i ragazzi in classe saranno ancor più dirstratti, e a casa non avranno il tempo per studiare!
Che ci sia un disegno lucido come per la chiusura dei piccoli negozi o è solo superstizione?
Accetto ipotesi.

mercoledì 4 luglio 2012

Zavorre: Superstizione: i sacrifici.

Come ho già detto in un mio precedente post, definisco la superstizione nel seguente modo: Un gruppo organizzato, in certo ambiente, impara che alcuni atteggiamenti, azioni, accorgimenti, sono efficaci per fronteggiare certi problemi ed ottenere certi risultati. Il contesto cambia, ma le procedure rimangono in vigore e si rivelano inefficaci quando non dannose. La superstizione è l'intervallo di tempo trascorso dal cambiamento del contesto che inficia l'utilità delle procedure.
Una superstizione che sempre i politici o le classi al potere usano, da che io mi ricordi è "fare sacrifici". Oggi in particolare, questa metafora viene usata molto spesso.
Premesso: come ho anche esplicitato in questo post, e si può evincere dalla lettura di molti altri, io attribuisco una grande importanza al fattore religioso; ritengo che le azioni e gli atteggiamenti della vita pratica siano molto connesse con la propria posizione religiosa. Appunto per questo l' uso di un termine religioso (sacrificio) a sproposito, ha per me un sapore molto sgradevole.
Al tempo del paganesimo per ottenere la prosperità dei campi e la fecondità degli armenti si facevano sacrifici agli dei. Allo stesso modo nell'antica Roma si facevano sacrifici agli dei per la salus della patria.
Ma questo legame politica-sacrificio pensavo che la cultura europea lo avesse definitivamente rigettato nel 426 d.C. Cioè non si esclude che i credenti possano invocare l'aiuto del divino, ma appunto chiederlo, non attuare delle procedure (sacrifici) per fare sì di ottenerlo.
Nel 426 d.C. fu formalizzata l'inutilità dei sacrifici. L'episodio fu l'invasione dei Goti che arrivarono a distruggere Roma. La vecchia classe dirigente pagana, accusava gli "atei" cristiani di aver lasciato perdere l'abitudine di sacrificare agli dei e con questo attirarsi tali sciagure. Sorsero diverse diatribe su questo argomento, in particolare mi piace citare Agostino che risponde in modo razionale a tali obiezioni. In particolare nella "Città di Dio" cap V par 12, analizza l'ascesa di Roma che dipende dalla forma mentis del popolo romano (amore per la propria libertà, desiderio di gloria,...) e non dalla protezione di qualche nume.
Invece oggi si parla ancora di "fare sacrifici" invece di "coltivare le virtù". Più di 1500 anni sprecati?
(II parte)
Non necessariamente. Sarebbe un'idiozia fare il "bilancio della storia" in poche righe di un post, ma sta di fatto che da un po' di tempo sembra essere tornati a prima del 426 d.C.
Ma qual è la differenza tra "fare sacrifici" e "coltivare la virtù" ? Nel fare sacrifici il popolo "delega" ad una casta ristretta (quella sacerdotale, oggi i "tecnici" o "esperti" ) le sue funzioni e si aliena, come se dovesse dipendere da circostanze esterne che non dipendono da lui. Nel coltivare la virtù invece ognuno deve guardare se stesso, capire cosa fa, giocarsi nelle circostanze della vita: la cosa richiederà sicuramente un impegno maggiore, privazioni, fatica (chiamiamoli anche questi, se vogliamo, sacrifici) ma diventa protagonista della sua vita. Insomma, "la libertà è partecipazione"!
Che cosa servirà di più per "uscire dalla crisi"? La risposta mi sembra facile, ma probabilmente la "casta del tempio" in questo periodo è molto potente.


mercoledì 27 giugno 2012

Son pà fòl !

Il 25 gennaio 2011 avevo pubblicato questo post che mi ha permesso di ottenere una copia autografata di Management 3.0
Ora, il 19 giugno 2012 sul sito del Wall Street Journal (mica la gazzetta di vallumida!) trovo questo articolo.

Who's the Boss? There Isn't One 

Son Pà fòl !

giovedì 14 giugno 2012

7 habits of highly shot people

Qualche tempo fa lessi il libro di Steven Covey "7 habits of highly effective people" nella sua traduzione italiana che suona "le 7 regole per avere successo". Già sulla traduzione non letterale del titolo ci sarebbe da fare qualche commento.
Infatti il testo non dà assolutamente le regole per "avere" successo, cioè per prevaricare gli altri, costringere gli altri a fare ciò che vuoi tu; insegna ad "essere" efficaci .
Non sto a recensire il testo, che, proprio perchè è attinente con il titolo originale e non con la traduzione italiana, risulta essere interessante e sostanzialmente condivisibile.
Leggendolo e pensando a persone che potevano essere come quelle ipotizzate da Covey, ho pensato a Giovanni Paolo II ed anche a don Bosco. Di Giovanni Paolo II in particolare ho letto un'intervista del generale Jaruzelski che si diceva colpito non tanto di quello che il Papa dicesse o facesse, ma di come sapesse ascoltare. Mi pare proprio che dicesse "Ho avuto la possibilità di verderlo ascoltare". Ora la capacità di ascoltare è una dote particolarmente importante per Covey.
L'autore cita spesso Gandhi e Sadat . Quest'ultimo come capacità cambio di prospettiva e di arrivare ad un compromesso.
Che cos'hanno in comune queste quattro persone? Gandhi e Sadat morirono in attentati. A Giovanni Paolo II l'attentato fallì per pochissimo e comunque lui rimase ferito. Si racconta che anche a don Bosco prepararono un attentato, ma quel giorno il suo cane Gris, gli abbaiava e ringhiava contro ogni volta che stava per in camminarsi nella direzione dove lo attendevano gli attentatori: lui cambiò programma e l'attentato fallì.
Insomma a seguire le regole di Covey finisce che qualcuno ti sparerà.

mercoledì 30 maggio 2012

Lettera pubblicata il 18 Maggio.


Il 18 Aprile scorso è stata pubblicata su Avvenire una mia lettera in risposta ad un'altra pubblicata da un lettore, che mi aveva lasciato piuttosto perplesso.
Ho chiesto al giornale se potevo pubblicarla sul mio blog, ma non ho avuto risposta. Siccome "chi tace acconsente" la copio. Se poi dal giornale si lamentassero la leverò.


Egregio direttore,
scrivo, con un po' di ritardo, stimolato dalla lettera del signor Luigi nella rubrica scripta manent di venerdì scorso.
Non per polemizzare, ma mi pare che vi siano invece sostanziali affinità tra il lavoro nella PA e nel settore privato.
Innanizitutto il lavoro è risposta ad un bisogno, sia diretto (es. medico che cura) sia indiretto (es. amministrazione dell'ospedale). In caso contrario non ha ragione d'essere.
Non ci possono essere “tutt'altri criteri” per il lavoro dei privati rispetto a quello della PA.
La PA stessa deve spesso rispondere al bisogno di privati, e spesso le Aziende private rispondono  ai bisogni della PA.
Non condivido l'idea che la legalità e la trasparenza siano peculiari della PA. E' finito il tempo della “Milano da bere” e trasparenza e legalità sono sempre più patrimonio delle aziende (che vogliono durare). Sempre più metodologie di Project management rendono “trasparenti” le fasi dei progetti, tendono a coinvolgere gli interessati al progetto (stakeholders), si attendono a precise normative, indipendentemente se i progetti sono eseguiti per la PA o clienti privati.

Per quanto riguarda eventuali disoccupati, noi privati non abbiamo le garanzie dei dipendenti pubblici. Non capisco perchè per un eventuale licenziato PA sarebbe particolarmente dura: è dura per tutti (lo lasci dire ad un licenziato a 55 anni!). Ma questo è dovuto a pregiudizi:
- dei “recruiter” che invece di considerare le differenze culturali un motivo di ricchezza e resilienza per l'azienda, partono con un immagine astratta di impiegato ideale (ancora spesso legata agli anni '80)
 - dei manager, che psicologicamente si sentono a disagio con “inferiori” laureati più anziani.

Ma tornando alla PA, la domanda che mi pongo è: visto che costa, che  “licenziare” genererebbe problemi che non piacciono a nessuno, perchè non la facciamo “rendere”?
Perchè un popolo di artigiani geniali, diventa un popolo di “fannulloni”?
La PA, come purtroppo molte aziende, è strutturata in gerarchie e mansionari, il vecchio modello “comando-controllo”. Modelli che con la pretesa di prevedere ed organizzare tutto, rendono il lavoro individualista, noioso e frustrante (“non c'è cosa più amara dell'alba di un giorno in cui nulla accadrà” diceva il  poeta Pavese)
Ora sarebbe interessante che qualche PA volesse implementare per qualche funzione, un modello mediato dai vari kanban, Scrum, Lean... etc, dimostrandosi in questo più “avanti” di molte aziende private.
La motivazione è una cosa più profonda e personale delle “tecniche” adottate, ma è come per i monasteri: la regola non può sostituire la fede del singolo, ma aiuta a fare sì che si manifesti e si alimenti.
Distinti saluti

A proposito di pubblicazioni, non ho segnato su questo post che è stata pubblicata sulla rivista "il Project Manager" della Franco Angeli,  la mia recensione di Management 3.0
Quella non posso pubblicarla qui, ma almeno ci metto il link

lunedì 14 maggio 2012

Agile senza saperlo 9 - Donne americane anni '50

Quando ero ragazzo lessi "I persuasori occulti" di Vance Packard. Non ho più preso in mano quel testo. Chissà che effetto farebbe oggi?
Ricordo pochissimo ma mi è rimasto impresso un espisodio.
Si racconta che i primi preparati per torte furono un flop commerciale: non ebbero minimamente successo. Le massaie che li compravano una volta non li compravano più e sconsigliavano il loro acquisto, perché le torte non venivano.
La causa è facilmente spiegata. I preparati per torte avevano un'unica busta con un miscuglio già dosato di farina, zucchero, sale, lievito e altri ingredienti. Bastava diluirli nella misura indicata sulla confezione, infornarli e la torta sarebbe venuta. Ma donna americana anni '50 non era d'accordo. Va bene un cibo già preparato per le situazioni di urgenza, quando rincaso più tardi del solito la sera, che belle invezioni sono le scatolette, ma se faccio una torta, cioè un cibo "della festa". allora non ho più l'urgenza e voglio metterci qualcosa di mio.
Le acquirenti di tale prodotto quindi aggiungevano ingredienti, diluivano in modo diverso, inventavano tempi di cottura diversi ... combinando pasticci!
Le ditte produttrici di tali preparati per torte capirono che, anche se per loro era più facile mettere tutto in un unica busta, avrebbero dovuto mettere lievito e farina in buste diverse, magari suggerire possibilità alternative ("potete aggiungere cacao...) e non "chiudendo" più la creatività delle potenziali acquirenti, riuscirono a vendere.

martedì 1 maggio 2012

Zavorre - Manzoni libero !!!

Alla serie dei miei post Agile senza saperlo volevo affiancare Zavorre : casi che esprimono esattamente il contrario.
Sebbene sia convinto che la prima zavorra sia la superstizione, secondo la definizione che ho dato in questo post, e sebbene in questo periodo gli esempi di macro-zavorre non manchino, parto da un erlebins magari di piccolo valore, ma molto significativo.
Mia moglie insegna ed in questo periodo le case editrici mandano ai docenti i campioni dei loro testi sperando che vengano adottati. Ogni anno i testi sono sempre più voluminosi. Ricordo quando ero studente il Disegno storico della letteratura latina di Concetto Marchesi, un libro piccolissimo ma saturo di contenuto. Aveva il record per la densità di contenuti, ma anche gli altri testi quasi erano allo stesso livello.
I libri che porta a casa mia moglie invece,  per me sono soltanto un ingombro in casa e mia moglie dopo un po', per lo più li getta via. Pare un assurdità buttare via testi scolastici, ma realmente non valgono lo spazio che occupano.
Qualche giorno fa ho avuto la malaugurata idea di aprire un'edizione attuale dei "Promessi Sposi". Roba da vomitare!
Non pretendo che fosse l'edizione proposta da don Milani! Ho già scritto un post in cui parlo di come sia bello il romanzo e quanti piani di lettura possa avere, a tal punto che don Milani auspicava una "edizione popolare".
Già da ragazzo vedevo lo iato tra la bellezza del romanzo e la pesantezza della sua "scolasticità" per cui avevo fatto l'acronimo
Ai Lettori E' Simpatico Sebbene Alcuni Nefasti Docenti Resero Odioso:
Monumento Alla Nazione, Zio Ossequiato, Nume Imbalsamato

Ma quell'edizione raggiunge apici impensabili:  è una porcata!
Pochissime le note esplicative dal punto di vista lessicale o di riferimento storico.  In compenso:
- Un riassunto del capitolo che si sta per leggere.
- Una serie di domandine indisponenti alla fine di ogni capitolo.
-Ogni tanto (esempio incipit, scena del duello...) confronti con altri testi, di contesti del tutto diversi che trattano lo stesso argomento con mitragliata di domandine indisponenti sulla differenza tra i testi.
-Mirabilia: lo scopo per cui esiste la squola itagliana: la preparazione alle prove INVALSI !!!

Rimando a tra qualche riga la schifezza somma, ma mi domando: come può una persona affascinarsi alla lettura con un libro così? Non ha lo spazio per "fare suo" quanto legge, perchè la lettura sia un'esperienza!
Magari i ragazzi diventeranno bravissimi a superare i test a risposta chiusa, ma poi diventeranno dei "tecnici", come le nostre attuali "autorità" che si comportano come le autorità milanesi nel cap 28!!

Il peggio di quel testo consite nel fatto che ogni tanto vi sono delle righe sottolineate e al loro fianco il curatore mette un suo commento, un nota-bene che:
1) soffoca la lettura
2) questi nota bene, in modo discreto, dovrebbe farli l'insegnante in base alla sua sensibilità ed al feed-back della classe.
Ricordo un racconto di Starnone che descriveva un prof che aveva deciso di fare le pulci al Manzoni e, arrivato alla bambina di forse nov'anni,  faceva notare che si arrotonda alla decina, quindi Manzoni avrebbe dovuto scrivere o bambina di nov'anni o bambina di forse dieci anni.Quello è un racconto comico, ma era comunque un insegnante con la sua umanità e la sua responsabilità. Qui invece l'insegnante diventa un manovale del testo.
Ecco la zavorra delle zavorre. La "manovalizzazione" del lavoro. Rimando al testo Intrinsic motivation at work per maggiori dettagli. Qui si sta andando nella direzione opposta a quella indicata da Kenneth W. Thomas . Vi sono "decisori" che organizzano il lavoro in modo da togliere ogni margine decisionale a chi deve eseguirlo, e questo non solo nel settore informatico (la grande diffidenza nel confronti dell'approccio agile), ma anche nella scuola. Questa "manovalizzazione" cosa porta se non ad una perdita di motivazione? (non c'è cosa più amara dell'alba di un giorno in cui nulla accadrà etc..)

Mia moglie mi ha detto che - regola non scritta - visto che i Promessi Sposi è scritto in italiano, quindi non ha bisogno di traduzione, va bene qualsiasi edizioni che i ragazzi portino (del nonno, del vicino, dell'hard-discount, rilegata in pelle...) , basta che la portino!!!!

lunedì 9 aprile 2012

L'Italia sprofonderà: il mito della cicala.

Disclaimer: non condivido affatto la visione di Benedetto Croce ed epigoni sulle due culture: la cultura umanistica  e la cultura tecnica. Personalmente amo la scienza, che non è la tecnica: è ricerca della verità. E' adaequatio rei et intellectum, permette alla cultura umanistica di non essere stantia ripetizione di flatus vocis e permette alla tecnica di non scadere nella ripetizione di pratiche che diventano magia o superstizione, come descrive Asimov in un racconto dove erano rimasti i tecnici senza gli scienziati.

Premesso questo, da che mondo e mondo la classe politca viene scelta tra gli "umanisti" perchè capaci di comprendere gli scenari ed immaginarsene nuovi, perchè detentori di una visione filosofica del mondo o anche semplicemente perchè capaci di comunicare. Il fatto di affidarsi ai tecnici per il "salvataggio" dell'Italia mi sembra uno dei tanti sintomi di follia verso cui stiamo andando incontro.
Sono assolutamente favorevole a valorizzare il lavoro delle persone anziane, la mia storia lo dimostra ed ho già fatto un post a questo proposito. Ma ritengo che la "coraggiosa" riforma delle pensioni sia una porcata per vari motivi e qui ed ora cito quello "umanistico"- il mito della cicala.
No, non la favoletta della formica e la cicala, a cui i simpatico Gianni Rodari rispondeva di preferice la cicala/ che il suo canto non vende: regala! - non apro questo ampio dibattito!
Si tratta del tempo degli dei falsi e bugiardi. La ninfa Eos si innamorò di Titone, un mortale. Siccome voleva superare questo piccolo problema, chiese a Zeus il dono dell'immortalià per l'amato. Zeus concesse tale dono, ma la svampita ninfa Eos non si accorse che insieme al dono dell'immortalità avrebbe dovuto anche chiedere il dono dell'eterna giovinezza. Cosa successe? che il povero Titone non moriva mai, ma invecchiava sempre, in modo terribile... in un modo dove un settantenne era vecchio ed un ottuagenario una rarità, chissà come si immaginavano un vecchio di duecento trecento mille anni!!! Una versione del mito dice che Titone fu poi tramutato in cicala. 
I nostri tecnici probabilmente avranno letto da qualche parte che l'età media della vita aumenta, ma forse non sanno che i vecchi non hanno le stesse condizioni fisiche e quidni gli stessi ritmi dei giovani. Parlano di "lavori usuranti" ma chi fa più lo scaricatore di porto? La vista e l'udito calano, e l'artrosi viene anche ad impiegati ed insegnanti (tanto per esemplificare, seppur superficialmente)
 Quanto costerà questa loro astrazione? Be' il fatto che si parli di cicale, per altri versi il simbolo dello sperpero dei beni, è sintomatico dell'impossibilità che avremo di sollavarci.

lunedì 5 marzo 2012

Le inserzioni di lavoro sono "sbagliate".

... mi misi alla ricerca di un lavoro e dovetti quindi affrontare il tema "inserzioni"
Non mi soffermo a dire di quelle che specificano l'età (tipicamente età max 35 anni)  che mi pare siano vietate dalla legge e squalificano l'azienda che le pubblica.
Sono stato invece colpito dal fatto che nel settore informatico è pieno di inserzioni del tipo "esperto Java j2ee ","esperto silverlight per android" e via discorrendo. Orbene il primo punto dell'agile manifesto dice
Individuals and interactions over processes and tools
mentre le inserzioni partono proprio dal tool. D'altra parte in 30 anni di lavoro il tool non è mai stato l'impedimento. In poco tempo lo si imparava facilmente e l'assembler (del PDP11) era ben più difficile di python !!!
Cosa sta dietro a questo approccio (oltre l'ignoranza dell'agile manifesto) ?

(...2 parte) 
Finalmente ho il tempo per completare il post. Rispondo alla domanda: I progetti sono di breve respiro, i budget si approvano tardi, i margini sono scarsi quindi non c'è tempo/denaro per imparare, si deve essere produttivi subito. Il tool si deve "già" conoscere. Questa situazione è un dato di fatto, che però lascia intravvedere una pessima realtà del mondo dell'imprenditoria nel settore informatico. 
L'utilità di essere "azienda", di essere "squadra" è proprio nel 1) completare vicendevolmente le lacune 2) fare fluire meglio le competenze - insegnare/imparare l'uno dall'altro, in modo più rapido di quanto si impari da soli 3) avere la visione per sapere cosa è prioritario imparare nei "momenti" buchi. Ma purtroppo vige un individualismo esasperato per cui troppe software-house sono in realtà agenzie di "caporalato" per professionisti (sic!) informatici.
Sull' utilità del team, spero di spiegarmi meglio rimandado a questo post di Jurgen Appelo.

PS. per quanto riguarda la mia situazione lavorativa ora sono in un'azienda di cui sono l'unico dipendente!
In due mesi ho affrontato LabView (ero CLAD, ma scaduta del 2009) Il C++ con wxWidgets, il BPMN (mai conosciuto prima) di cui ho valutato diversi tools ed altro...

sabato 25 febbraio 2012

Personale & Politico (continua)

Non ho molto tempo in questo periodo e non avevo voglia di analizzare le cause dei miei problemi aziendali, ma devo continuare un post interrotto   (continua)
... Davanti a questa incapacità a gestire i progetti, da parte dalle persone incaricate in azieda a farlo, invece limitarmi a mugugnare, mi venne voglia di studiare ed approfondire le tematiche di Project Management. Da qui la mia passione per il mondo "agile". Inutile dire che in azienda questo non interessò, a parte concedermi un paio d'ore per una presentazione di Scrum.
Siccome ovviamente i progetti andavano male, la soluzione aziendale fu "Basta progetti", solo consulenza. Ma anche le consulenze necessitano un rischio, almeno secondo me, perchè occorre approfondire tematiche e/o tecnologie, certificarsi ove possibile, e proporsi sul mercato come esperto di certi settori. Occorre quindi investire e rischiare sulle tematiche su cui ci si vuole buttare. Non si può essere tuttologhi dilettanti allo sbaraglio. Un rischio che un imprenditore deve affrontare.
La soluzione azindale invece fu: si va in giro, si chiede al (poteziale) cliente che cosa serve, si va su monster a vedere i CV, si assume dall'esterno. In particolare, certi lavori ... in cui va benissimo un neolaureato che costa poco.. una persona con più di 50 anni è difficile da presentare in consulenza...
Non essendo dirigente, non è stato immediato licenziarmi, ma nonostante il famoso articolo 18 che secondo la supestizione costringe l'italia alla fame, ci sono riusciti lo stesso. Ma prima di farlo ho trascorso qualche mese di inattività... giornate orribili: andavo al lavoro pensando a cosa avrei fatto nelle 8 ore. E di cose da fare ne avrei avute, ad esempio avrei potuto studiare per certificarmi in quello che l'azienda scommetteva.... ma non volevano scommettere su nulla se non sulla "riduzione dei costi".
In un momento in cui avevo bisogno di "gratificarmi" mi sono certifiacato ISIPM (a mie spese e prendendo ferie). E quando lo dissi in azienda "ma tu saresti in grado si spezzare i compiti ed assegnarli alle varie risorse?" (Io veramente riterreri più importante e più difficile e sui cui vorrei cimentarmi questo:  formare un team collaborativo) "Ma tu saresti in grado di prendere una presona e motivarla quando si trova in difficoltà o cazziarla quando serve??" Inutile dire che alle pacche sulle spalle non ci credo io stesso, ricordo sempre Gaber che canta "Vedrai che guarirai"... per me la motivazione è fatta di due frasi "Mi fido di te" e "non sei da solo". Frasi che devono essere solo il commento esplicito di un modo di comportarsi. Invece la "cazziata del capo" ha il seguente effetto. Il capo parla magari correttamente dal suo punto di vista, diverso da quello del dipendente, il quale tra se dice "ma che scemo, non vede che..." e si radica ancor più nelle sue posizioni.
Ma a certi quarantenni che credono ancora in un rampantismo anni 80, ormai residuato bellico, che dire?!?
Inutile parlare poi del fan della PNL, del meccanicismo di certi personaggi (l'azienda ha deciso, l'azienda è disponibile a, l'azienda non può permettersi di...)
Mi spiace per certe persone, in fondo brava gente, che potevano tenersi i soldi accumulati negli anni d'oro e goderseli invece di mettere su un'azienda che non sanno gestire. E sopratto mi spiace che non abbiano saputo a farsi aiutare dalle persone giuste. Paradossalmente persone serie e sobrie sono stati affascinati da imbonitori reduci della milano da bere....

Finto di raccontare come si è arrivati alla crisi con l'azienda che mi ha licenziato. Ora racconterò di una difficoltà nel trovare un lavoro, anche questa "personale e politica" perchè secondo me sta lì un grosso limite dell'imprenditoria nel settore ITC

domenica 12 febbraio 2012

Personale & Politico

Da quasi due mesi avevo accennato ad un problema personale, ma non avevo voglia di scriverne. Ora che per certi versi è "tamponato", ne parlerei, perchè è apparentemente un problema mio, ma analogo a quello di moltissime persone: ha quindi anche un significato politico.
Nel giro di due settimane mi sono trovato senza lavoro, perchè la ditta di cui ero dipendente mi ha licenziato. Mi sarei "consolato" sapendo che avrei avuto la pensione "a breve". Invece in quegli stessi giorni, il governo De La Rua, che ha sostituito Menem, con il decreto serva Italia ha tolto le pensioni di anzianità, per le quali la mia generazione aveva pagato il 33% dei contributi previdenziali (in europa mai nessuno aveva messo tanto!). Situazione veramente orribile, che mescola un gran senso di ingiustizia subita per il licenziamento, ingiustizia subìta per gli esosi contributi previdenziali "fumati", insieme alla paura per il futuro.
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Questo tema apre molti argomenti.
1) Su "media" si parla tanto dell' art.18, della mancanza di flessibilità in uscita... ma come??? L'azienda da cui dipendevo (che non cito per non fare pubblicità) aveva ben più di 15 dipendenti e sono riusciti a farmi fuori lo stesso. E' vero che la cosa è costata non poco, ma una bazzeccola rispetto a quanto è costato loro non aver saputo valorizzarmi e valorizzare molti colleghi. Quindi ecco la prima superstizione:  in Italia non c'è flessibilità in uscita.
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2) La ditta che mi ha licenziato. Ero stato assunto nel 2005. Lavoravo presso un cliente per conto di una grande multinazionale. Ma quel cliente non era nel "core businnes" della multinazionale che, invece di continuare ad espandersi anche nei confronti di clienti "anomali", decise di perderli. Per continuare a lavorare mi feci assumere da una ditta suggerita dal cliente, che è appunto al ditta da cui sono stato recentemente licenziato. Fui assunto portando in dote più di 3 anni uomo di lavoro: situazione ottimale per loro no? Invece no. Lo capii più tardi leggendo Management 3.0. Jurgen Appelo spiega che nel processo di assunzione si ha lo stesso effetto della moltiplicazione delle cellule con il RNA etc... cioè un'azienda tende ad assumere "con lo stampino". Il diverso sarebbe una ricchezza per l'azienda, se ben ineserito, ma il recruiter tende ad assumere sempre lo stesso tipo umano. Io non ero quel tipo. Mi avevano assunto per non rinunciare ad un affare nel breve, ma non piacevo.

Aneddoto che seppi dopo. Avevo faticato non poco per fare stare il mio CV in due pagine. D'altra parte nel 2005 a chi poteva interessare che nel 1983/84 avevo lavorato con il PDP11 .... invece fuorono offesi di un CV simile. Dicevano "30 anni di lavoro dovevano essere di almeno 6 pagine.... un CV così corto voleva dire che in fondo non avevo intenzione di lavorare con loro..." Ah Leonardo Sciascia! che ne "il giorno della civetta" si scusa se il libro è troppo lungo, ma dice di non aver avuto il tempo per farlo più breve... io invece il tempo per limare e non stufare l'avevo trovato....

Così, quando finì il lavoro presso quel cliente divenni un problema, sebbene avessi dimostrato una notevole versatilità (Mi ero anche preso un certificazione CLAD, ovviamente studiano extra orario e non pagato: una sciocchezzuola in fondo, ma prima non sapevo nemmeno cosa fosse LabView). Ma la cosa che mi sconvolse di più fu il loro modo di affrontare i progetti.
1) Posizione giansenista: come se quello che conta fosse la "fatica" e non il "valore aggiunto" per il cliente. Mi spiego: quando vado dal macellaio, non me ne frega nulla sapere quanto ha faticato Beppe a tagliare il quarto di bovino o se l'ha fatto cantanticchiando, mi interessa solo sapere se la carne è buona. Analogamente, sarà pur vero che senza fatica non si ottiene nulla, ma si può fare tutta la fatica che si vuole, lavorare 25ore al giorno... ma se non fai cosa "serve" al cliente hai specato tempo. Invece per quei "primi della classe" era importante "dare evidenza di essere bravi" .
2) Posizione positivista-meccanicista.Una cosa a me sempre più ovvia che in ogni progetto IT si affronta l'ignoto: ignote le tecnologie perchè anche usando sempre le stesse (mai capitato) tra un progetto e l'altro sono sempre di almeno la versione successiva; ignote o per lo meno instabili le richieste del... cliente, ovvero le necessità reali che si scoprono strada facendo; ignote le "componenti" che fanno gli altri. Invece di gestire questo ignoto, incaponirsi in pianificazioni di dettaglio come se si dovesse "asfaltare la via Emilia".
3) posizione taylorista al limite del ridocolo. Il ridicolo è che mentre leggendo qualsiasi manuale di Project managemet pratico, le risorse si chiamanto Sarah, Laura, David, Joe, Steve .... in xxxxx si arrivava a nomine le persone per "codice". Ma sul taylorismo torno dopo.
4) Posizione ... che rimando all'articolo di Massimo Beltotto uscito sul numero 8 della rivista "Il Project Manager" al paragrafo "l'ansia del project manager" .
NO, Non si può lavorare cosi!!! allora nelle notti insonni, invece di vegliare al lume del rancore, preparai gli esami.... non ancora, mi appassionai alle metodologie agili  (XP, Scrum...) che rispondevano ai problemi che emergevano in azienda.
 (continua)

domenica 29 gennaio 2012

Agile senza saperlo 8 - Cesare Pavese

Non c'è cosa più amara che l'alba di un giorno
in cui nulla accadrà.  Non c'è cosa più amara
che l'inutilità.  (Lo steddazzu)
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È bello vivere perché vivere è cominciare, sempre, ad ogni istante. (Il mestiere di vivere)
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Cosa c'entrano queste citazioni di Pavese con l'approccio agile? E invece non avevo promesso di raccontare le vicende di questi ultimi mesi, che mi avevano tenuto lontano dal blog?
Veniamo alla prima. Il lavoro strettamente pianificato, definito e "sminuzzato", dove agli esecutori non resta che il noioso compito di eseguire quanto definito... insomma il sogno che dal settecento in poi pervade la civiltà occidentale, "domani non accadrà nulla -  nulla fuori dal prestabilito", qui è definita come la cosa più amara. Allora hanno forse ragione i detrattori dell'approccio agile che "agile non pianifica" ? NO, ma la pianificazione agile è una pianificazione dinamica, che a diversi livelli di dettaglio coinvolge i diversi  stakeholders (maiali), sempre aperta, anzi, tesa al fatto che domani accadrà un piccolo miglioramento (kaizen).
Per quanto riguada il cominciare, ho in mente il mio ottimismo con cui inizio la settimana, ed immagino l'ottimismo (non emozionale, ma razionale) che potrebbe pervadere un team al termine di uno standup-meeting.

E cosa c'entra tutto questo con la mia situazione personale? Be' un altro post.

giovedì 12 gennaio 2012

Il debito pubblico aumenterà - Lo dice lo spot dell'agenzia delle entrate

In questi giorni, come ho detto, avrei cose gravi e dense da raccontare, ma proprio perchè gravi e dense, non riesco a farlo. Forse, fra una settimana.
Mi "distraggo" con una facezia.
Per Natale sono stato a casa dei miei genitori e lì ho  visto la TV[ io oltre che NoTAV sono anche NoTV: non ho avuto il tempo-voglia di mettere il decoder alla TV.  La usiamo solo come lettore di CD (non ci mancano nè la Rai, nè Merda-set, nè Santpiombo...)]
E' passato lo spot "Se tutti pagano le tasse, le tasse ripagano tutti: con i servizi". I cartone animato era molto carino, ma era evidente che così il debito pubblico sarebbe aumentato "fisiologicamente", anche se tutti avessero pagato le tasse.
La spiegazione, che a me pare evidente, potrebbe essere un po' lunga.

Occorre una premessa, per scansare equivoci. Se devo scegliere tra socialdemocratico e liberale, io mi reputo più socialdemocratico, nella tradizione della socialdemocrazia europea di Saragat, Olaf Palme, Willy Brandt e dei cattolici Fanfani, FranzJosef Strauss...
Nel coniugare "il merito e il  bisogno", secondo me, la cosa principale è che il bisogno non scenda sotto certi limiti. Il "merito" può attendere, anche perchè, essendo un amante della cultura classica (Seneca e Macchiavelli), e scientifica (Teleb Nassim) : La fortuna esite!

Allora facciamo un po di storia e geografia delle medie inferiori.
1) Tanto tempo fa l'uomo fu cacciatore, poi agricoltore e pastore (settore primario) .... poi con i profitti dell'agricoltura potè permettersi di "pagare" l'artigiano (secondario) e con i profitti del primario e secondario pagarsi il mercante, il saltimbanco ed i primi abbozzi di medico, maestro .... (terziario - servizi)
2) Se leggiamo la composizione del PIL vediamo che negli stati più avanzati il primario tende ad essere sotto il 5%,  il secondario è intorno al 25% e il terziario sopra il 70%. Nel tempo che c'è stata una tendenza a diminuire il peso del primario; Il secondario è dapprima salito, poi ha iniziato a diminuire, il terziario ha un peso sempre in crescita.
Quindi: a tendere, se lo spot fosse vero, meno del 30% del PIL (che tendenzialmente diminuisce) dovrebbe pagare il 70% del PIL (che tende a crescere).
Ma peggio! Abbiamo visto che l'innovazione tecnologica permette all'agricoltura e all'industria prodotti maggiori a prezzi minori per unità di prodotto, mentre la spesa medica etc. continua a crescere...
Ovviamente non ha senso, ma c'è ancora un set di complicazioni.

Per fortuna non tutti i servizi sono a carico dello stato! 
Bisogna definire quali devono essere a carico dello stato e quali no. Ritengo che lo stato non possa abdicare dalla difesa e dalla giustizia, ma lo spot faceva vedere Scuola, Medico e Parco.
Lo so che è più bello vedere il cartone animato di quel genere di servizi, piuttosto che il cartone animato di un carabiniere che porta un prigioniero davanti al giudice... ma proprio su Scuola, Assistenza e Difesa del Territorio, i soggetti pubblici non statali possono essere di grande aiuto.
Un esempio: Circa cinque anni fa una vettura della linea tramviaria 4 era rivestita esternamente con la pubblicità di una scuola salesiana (il 4 ferma proprio davanti a quella scuola) che diceva pressapoco "La retta è di 2500 euro, il costo di una vancaza: l'educazione di tuo figlio vale una vacanza? "
Mi soffermo sul costo 2500 euro di retta: sappiamo che i salesiani tendono a mettere presidi che anno  fatto voto di povertà castità e obbedienza (i prof sono ormai quasi tutti esterni), supponiamo che lo stato per ispezioni, controlli ed esami spenda 500 euro ad alunno, ma 2500 euro sono meno dalla metà di quanto lo stato spende per ogni alunno!!!

La soluzione: le tasse non si ripagano con tutti i servizi, ma solo con alcuni. Gli altri servizi,  li possono gestire i privati in modo più efficiente, originale, creativo.  Poi certificato dallo stato . E per i privati non sono necessariamente le multinazionali avide di profitto o avventurieri, ma anche associazioni, cooperative, realtà no-profit legate al territorio, dove possono lavorare persone più motivate e attente ai bisogni.

Le tasse servono, e qui sono socialdemocratico, anche come ri-distribuzione del reddito, per permettere a tutti di accedere ai servizi. Ma l'erogazione dei servizi, in particolare assistenza scuola e territorio, non può necessariamente in mano allo stato.