mercoledì 30 maggio 2012

Lettera pubblicata il 18 Maggio.


Il 18 Aprile scorso è stata pubblicata su Avvenire una mia lettera in risposta ad un'altra pubblicata da un lettore, che mi aveva lasciato piuttosto perplesso.
Ho chiesto al giornale se potevo pubblicarla sul mio blog, ma non ho avuto risposta. Siccome "chi tace acconsente" la copio. Se poi dal giornale si lamentassero la leverò.


Egregio direttore,
scrivo, con un po' di ritardo, stimolato dalla lettera del signor Luigi nella rubrica scripta manent di venerdì scorso.
Non per polemizzare, ma mi pare che vi siano invece sostanziali affinità tra il lavoro nella PA e nel settore privato.
Innanizitutto il lavoro è risposta ad un bisogno, sia diretto (es. medico che cura) sia indiretto (es. amministrazione dell'ospedale). In caso contrario non ha ragione d'essere.
Non ci possono essere “tutt'altri criteri” per il lavoro dei privati rispetto a quello della PA.
La PA stessa deve spesso rispondere al bisogno di privati, e spesso le Aziende private rispondono  ai bisogni della PA.
Non condivido l'idea che la legalità e la trasparenza siano peculiari della PA. E' finito il tempo della “Milano da bere” e trasparenza e legalità sono sempre più patrimonio delle aziende (che vogliono durare). Sempre più metodologie di Project management rendono “trasparenti” le fasi dei progetti, tendono a coinvolgere gli interessati al progetto (stakeholders), si attendono a precise normative, indipendentemente se i progetti sono eseguiti per la PA o clienti privati.

Per quanto riguarda eventuali disoccupati, noi privati non abbiamo le garanzie dei dipendenti pubblici. Non capisco perchè per un eventuale licenziato PA sarebbe particolarmente dura: è dura per tutti (lo lasci dire ad un licenziato a 55 anni!). Ma questo è dovuto a pregiudizi:
- dei “recruiter” che invece di considerare le differenze culturali un motivo di ricchezza e resilienza per l'azienda, partono con un immagine astratta di impiegato ideale (ancora spesso legata agli anni '80)
 - dei manager, che psicologicamente si sentono a disagio con “inferiori” laureati più anziani.

Ma tornando alla PA, la domanda che mi pongo è: visto che costa, che  “licenziare” genererebbe problemi che non piacciono a nessuno, perchè non la facciamo “rendere”?
Perchè un popolo di artigiani geniali, diventa un popolo di “fannulloni”?
La PA, come purtroppo molte aziende, è strutturata in gerarchie e mansionari, il vecchio modello “comando-controllo”. Modelli che con la pretesa di prevedere ed organizzare tutto, rendono il lavoro individualista, noioso e frustrante (“non c'è cosa più amara dell'alba di un giorno in cui nulla accadrà” diceva il  poeta Pavese)
Ora sarebbe interessante che qualche PA volesse implementare per qualche funzione, un modello mediato dai vari kanban, Scrum, Lean... etc, dimostrandosi in questo più “avanti” di molte aziende private.
La motivazione è una cosa più profonda e personale delle “tecniche” adottate, ma è come per i monasteri: la regola non può sostituire la fede del singolo, ma aiuta a fare sì che si manifesti e si alimenti.
Distinti saluti

A proposito di pubblicazioni, non ho segnato su questo post che è stata pubblicata sulla rivista "il Project Manager" della Franco Angeli,  la mia recensione di Management 3.0
Quella non posso pubblicarla qui, ma almeno ci metto il link

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