mercoledì 15 dicembre 2021

Sciopero generale o rituale Potlacth ?

 


Ho visto sui social parecchie polemiche sullo sciopero generale proclamato dai CGIL e UIL per il prossimo 16 dicembre

Polemiche del tipo “Ma dopo questa crisi causata dalla pandemia, proprio adesso che c'era una ripresa che senso ha scioperare? E' da irresponsabili!” e per contro “I costi della pandemia non sono stati pagati da tutti in modo equo, quindi occorre lottare ecc..”

Io non entro nel merito del dibattito, ma volevo farmi una domanda sull'utilità dello sciopero generale e se questa forma di lotta, scelta o osteggiata, non sia un sintomo di come la classe dirigente (politica, sindacale, finanziaria ecc...) abbia una visione del lavoro molto lontana dalla realtà.

Per tornare all'idea di David Graeber, la società maschilista ha formulato il concetto di lavoro come produzione (lascio perdere altri dettagli...) mentre il lavoro reale oggi è per lo più manutenzione, con tutti i suoi link di mappa mentale: sorveglianza, cura, pulizia, difesa... ; poi comunicazione in senso lato quindi anche insegnamento, trasporto.... insomma gran parte del lavoro non produce nulla.

Quindi: meno ore di lavoro, meno pezzi prodotti, meno guadagni marginali sul pezzo prodotto, è un'equazione che funziona solo in una piccola percentuale di attività, ma che sono diventate paradigmatiche del lavoro in se.

Prenderei tre esempi per dimostrare l'assurdità dello sciopero generale preannunciato.


Grande Distribuzione Organizzata. Capisco l'utilità di uno sciopero in una particolare catena e “ad oltranza”. Il cliente potrebbe rivolgersi alla concorrenza. Ma nello sciopero generale, siccome la quantità degli acquisti è proporzionale alla disponibilità economica e ai bisogni del cliente, questi farà esattamente gli stessi acquista anticipandoli e/o posticipandoli di qualche giorno. Se ne ottiene che per la catena gli introiti restano costanti, risparmio un giorno di paga ai dipendenti. Per i dipendenti perdo un giorno di paga e lavorerò più stressato un paio di giorni in più.


Scuola. Se quel giorno lì dovevo spiegare i prodotti notevoli, piuttosto che Kant o il quinto canto dell'inferno... non è che quell'argomento salta, ma lo farò lo stesso, ma in meno tempo, quindi con più fatica per me e la classe, e con un giorno di paga in meno.


Trasporto Pubblico Locale. L'ente preposto risparmia carburante/energia elettrica, usura dei mezzi, paga dei lavoratori. E' già passato all'incasso degli abbonamenti, non so bene i contratti con gli inserzionisti ma non credo che l'azienda abbia grosse penali in caso di sciopero, idem i contributi dal comune sono legati da trattative politiche non legate alle ore e Km effettuati... insomma perdono solo i biglietti di corsa semplice. Gli scioperi sono un guadagno per l'ente. Per i dipendenti un giorno di paga in meno.


In tutti i casi: il dipendente che sciopera non riesce ad usare di questo giorno di libertà per le sue commissioni personali perchè “c'è sciopero” anche di chi dovrebbe fornire il servizio.


Sciopero come cerimonia Potlacth


Anni fa avevo sentito dire da un sindacalista che se uno va a sedersi ad una trattativa dopo uno sciopero che ha una grande adesione allora ha più forza contrattuale ecc... Cioè, secondo costoro, lo sciopero è un rituale per cui io mi sacrifico, io butto del mio, dimostrare che sono così convinto di quello che voglio sono capace di sacrificarmi. Anzi, io ti regalo delle mie cose, per dimostrare la mia superiorità nei tuoi confronti... Ma vadano a farsi curare da uno buon psicoanalista, magari Massimo Recalcati!

mercoledì 17 novembre 2021

I migranti salveranno il nostro patrimonio immobiliare?

 

Premetto che la frase “I migranti ci pagheranno le pensioni” non mi piace per due motivi.

  • 1)      Per l’ideologia secondo cui l’utilitarismo supera le ragioni umanitarie.
  • 2)      Che se tutto quello che dagli anni 80 e prima ho versato all’INPS fosse stato investito in fondi, sapendo che non li avrei toccati fino per 40, 30 … anni, be’ penso che  nel 2018 ci sarebbe stato un bel gruzzolo. L’idea che quelli che lavorano “pagano le pensioni ai  vecchi” è un aforisma che nasconde il fatto che i contributi previdenziali non sono stati gestiti in modo corretto.

Veniamo ora al titolo del post.

Come al solito non ho i dati e lancio una sfida a coloro che li hanno per valutare il fenomeno che io posso osservare solo da un punto di vista qualitativo.

La popolazione in Italia diminuisce quindi logicamente dovrebbe diminuire anche la domanda di abitazioni. Di conseguenza, per la legge della domanda e dell'offerta, dovrebbe diminuire il prezzo/valore degli immobili

A questo si aggiungono altri elementi.

In alcuni luoghi, grandi centri, la domanda è più alta per la presenza di opportunità. Ma il recente lockdown che ha mostrato le potenzialità date dalle telecomunicazioni, dovrebbe aver abbassato il divario tra i “luoghi con opportunità” e quelli “abbandonati” (purché abbiano validi sistemi di telecomunicazioni).

Dagli anni 60 in poi andava di moda anche per la piccola borghesia e l’alto proletariato avere la seconda casa come i “signori” di un tempo che andavano “in villa”. Case al mare, case nelle stazioni sciistiche, ma anche quelle che chiamerei case del barbeque  o case con l’orto: case a pochi km dalla grande città, raggiungibili nel fine settimana, dove il piccolo impiegato si divertiva prima a (far) riadattare fienili o restaurare case abbandonate poi dedicarsi ad attività agresti e/o invitare amici al BBQ impossibile da fare nel condominio in città. In molti casi, queste case agresti erano anche vecchie case di abitazione di gente immigrata in città. In alcuni casi rimanevano allo stesso proprietario che le teneva gelosamente pensando alla pensione.

Mi sembra che questo fenomeno delle case del BBQ stia andando in declino per vari motivi.

  •  Alta tassazione sulle seconde case (soprattutto il fisso delle bollette)
  •  meno disponibilità di denaro nella “piccola borghesia – alto proletariato";
  •  pensionamento più avanzato nell’età. Il fenomeno delle case del BBQ era molto legato alla baby pensioni
  •  altri interessi nelle nuove generazioni.

Da cui consegue che ci sono molti “eredi” che vogliono vendere, ben pochi interessati a comprare. conosco purtroppo personalmente il caso due paesi che mi appresto a dettagliare


Di un paese so che alcune case del BBQ sono acquistate da immigrati dal Perù, gente senza grande disponibilità di denaro, ma che per intanto… ma questo paese permette opportunità di lavoro “manuale” e di cura.

 In un altro paese, con meno di 50 residenti, ci sono quattro case in vendita, altre tre vuote, una in comproprietà in cui un comproprietario (io) vorrebbe disfarsene, l’altro no, la considera un tempio confuciano con ritualità cristiana; molte sono  seconde case da BBQ usate “poco” e nonostante ciò, c'è una volpe sta ristrutturando un fienile per farne una casa pensando di viverci quando andrà in pensione.

Orbene, se i migranti venissero da noi legalmente, come i peruviani o slavi, portandosi dei soldi con se, invece di lasciarli ai delinquenti tagliagole, creerebbero una domanda di abitazioni che valorizzerebbe il nostro patrimonio immobiliare. 

I soldi dell’affitto integrerebbero le magre pensioni. Invece i nostri leader ci tolgono le pensioni pagare muri, droni e criminali e dittatori, per impedire che i migranti vengano a pagarci l’affitto o almeno far valere qualcosa le vecchie case.

domenica 24 ottobre 2021

Reddito di cittadinanza: la sfida

In un mio recente post avevo iniziato a spiegare che nel dibattito sul “reddito di cittadinanza” non si  tiene conto della quantità di lavori fittizi che sono a tutti gli effetti forme surrettizie del reddito di cittadinanza.

Raccontavo la mia esperienza presso la FIAT di via Caraglio (a Torino) . Era il 1997 e David Greaber non aveva ancora scritto Bullshit Jobs.

Con questo post lancio una sfida ai vari sociologi, economisti e politici…   insomma a quelli che dovrebbero avere i dati numerici relativi ai fenomeni sociali. 

A quanto ammonta la spesa per  “redditi di cittadinanza”  sostenuta in Italia?  O meglio a quanto ammonta la spesa per tutti i “Bullshit Jobs” e per tutti quei lavori che offrono un servizio sottocosto ad una percentuale della popolazione  molto piccola, che non ha particolari necessità economiche e che l’uso di questo servizio non dà un ritorno al resto della società?

Mettiamo il dito sulla piaga subito pronunciando una parola che fa piangere il portafoglio di ogni contribuente italiano Aliatalia

Secondo un libro di Marco Ponti e Francesco Ramella, le ferrovie non sono da meno. Secondo me il trasporto pubblico locale decongestiona le strade negli orari di punta (provare a muoversi quando c’è sciopero dei mezzi) permette lo spostamento di chi non può permettersi il mezzo privato e in qualche modo valorizza il patrimonio immobiliare, siccome il fatto di essere in una zona ben servita dai mezzi pubblici uno dei fattori che contribuiscono al pregio di un immobile. Ma chi prende il treno per tragitti più lunghi, soprattutto se ad alta velocità, si paga sempre il costo del biglietto? Direi di no. Anche questo è un reddito di cittadinanza.

Abito vicino ad uno Stadio in cui prima del covid si tenevano partite di calcio. Ora riprendono. Vedo la polizia sempre schierata. Le forze dell’ordine sono un costo. Costo che vale la pena pagare, perché l’ordine pubblico va rispettato. Ma quei poliziotti impegnati per sedare eventuali tafferugli tra tifosi, non sarebbe meglio se andassero ad occuparsi della microcriminalità che dilaga per tanti quartieri? O altri compiti più consoni al mantenimento dell’ordine pubblico. Il calcio crea un costo alla società che non lo paga con eventuali tasse sui biglietti e simili.

Parliamo poi del gioco d’azzardo legale? Quanto costa allo stato, soprattutto per i costi sociali che alimenta, e quanto lo stato ricava?

Io non ho i numeri. Lancio solo la sfida!

lunedì 27 settembre 2021

Metodo imposto dall'oggetto. Ma qual è l'oggetto?

 


Ho recentemente terminato la lettura del libro “Ho fatto di tutto per essere felice” di Marco Bardazzi. Racconta la storia di Eugenio “Enzo” Piccinini, un medico di cui è stata aperta la causa di beatificazione. Ma non è un’agiografia o un libro devozionale. Nel descrivere la vita di questo medico, Bardazzi dedica anche molte pagine a raccontare come Enzo fosse teso ad un miglioramento continuo nella sua professione, che lo portava ad un approccio che nel libro viene chiamato “metodo Enzo”.

In questo metodo troviamo: “imparare da chi ne sa di più” e “lavoro in team”. E’ molto interessante il racconto dei viaggi di Enzo in ospedali americani che reputava validi per imparare non solo tecniche mediche, ma anche organizzative, in primis la trasparenza con cui i medici si scambiavano le informazioni. Il lavoro in team non era un “ognuno è responsabile del suo pezzetto”  ma ognuno porta le sue competenze ed il suo punto di vista ad un impegno comune. Tralascio i dettagli e rimando ad una lettura del testo, che in molti passaggi mi ha ricordato molte cose imparate in Agile.

Anch’io - che faccio prima ad elencare i lavori che mi ispirano di meno dell’informatico di quelli che avrei preferito fare - costretto a fare questo mestiere, volevo farlo al meglio. Leggendo il libro, ho avuto un momento di quasi-invidia. Perché lui è riuscito seppur tra fatiche, a realizzare qualcosa di quello che aveva imparato, mentre io sono sempre stato bloccato nelle mie idee innovative che spesso sarebbero state anche vincenti? Una prima risposta è che forse lui era più tenace di me o che lui aveva la fortuna di essere in Emilia, una regione molto “aperta” mentre io vivo nella gretta Torino, che per certi versi è peggio del meridione perché ha gli stessi difetti (forse anche più!) ma pensa di essere nel giusto.

Verso la fine, parlando del suo modo di affrontare il lavoro cita la frase, nota a tutti quello che hanno affrontato il testo: “Il senso religioso” di don Giussani  

 “il metodo è imposto dall’oggetto”. E qui si è accesa una lampadina che ha snebbiato la mia quasi-invidia. Certo, ma allora il problema diventa  “Qual è l’oggetto?”

Qual era l’oggetto del medico Piccinini? Ovviamente la salute del paziente, intesa nel senso ampio di attanzione per la pesona malata: la guarigione quando possibile e quando non era possibile, un accompagnamento verso una fine dignitosatra (cioè non anticipata! ma sorretta dalla trasparenza, cure palliative e dalla vicinanza, quando è possibile anche verso i familiari) .

Qual era l’oggetto dell’informatico Roberto? Che il software funzionasse, cioè non avesse bug, stesse nei tempi di esecuzione… e fosse possibile mantenerlo (cioè codice leggibile). In seconda battuta, ma su questo il discorso sarebbe lungo, utile la risolvere le necessità del “cliente”.  Poi anche che io e coloro che avavamo partecipato al progetto, imparassimo. Anch’io cercavo un metodo che fosse adeguato a questo oggetto, e non capivo gli ostacoli che ho trovato, non sempre, ma in troppe situazioni.

Cosa mi era sfuggito? Qual era l’oggetto dei tanti “morti di fame” e “maschietti viziati” incontrati nel mio percorso lavorativo? Il loro ruolo personale all’interno della struttura aziendale, e il loro metodo (CYA Cover Your Ass) era proprio adeguato al loro oggetto.

A maggior ragione trovo illuminante (anche se non l’ho raccontato nel mio intervento al IAD 19) il commento dell’allora HR manager di Teoresi , alla mia presentazione di Agile Un approccio simile in azienda non può funzionare, tutt’al più nel volontariato.” Infatti l’oggetto del volontariato è il “risultato dell’azione fatta” nell’azienda gerarchica, la tua possibilità di scalare i gradini della gerarchia.

lunedì 16 agosto 2021

Redditi di cittadinanza - Introduzione


In questo periodo, prima che i notiziari e social si dedicassero a notizie più gravi, si era aperta una discussione molto animata sul tema del reddito di cittadinanza. Piccola introduzione:

Nel 1997 circa, dopo anni di lavoro su progetti “chiavi in mano” ebbi la sfortuna di finire in body rental presso la FIAT di via Caraglio / via Issiglio. Ora quegli edifici non esistono più, li hanno abbattuti per farne case ad uso abitativo.

Rimasi nell’azienda che mi aveva mandato lì, solo perché la situazione familiare al contorno era difficile, ma in un contesto diverso avrei detto “O mi cambiate incarico o rassegno le dimissioni” e poi avrei cercato qualcosa in Italia o paesi anglofoni, possibilmente Olanda.

Mi aveva stupito la quantità di tempo sprecato in quel contesto aziendale. Non che fossero fannulloni, ma non concludevano niente per 40 e spesso 50 o più ore settimanali. Non avevo ancora letto “Bullshit Jobs” di David Graeber (lui non lo aveva ancora scritto!) 

Io  avevo classificato tre categorie di nullafacenti più una

I Diluitori

Diluitori perché la loro attività pratica era diluita nel tempo. In una settimana portavano a termine attività che ad una persona normale richiedevano una giornata, max una giornata e mezza. Passavano il tempo in pettegolezzi, riunioni e post-riunioni informali, soprattutto si fermavano a sera fino a tardi o andavano al sabato mattina anche se non si facevano pagare lo straordinario, perché dovevano essere presenti quando “accadevano le cose”. Il loro skill era la dedizione al loro “ramo” nell’albero della gerarchia aziendale che non necessariamente coincideva con l’organigramma ufficiale. Dovevano essere al corrente di dimissioni, assunzioni, promozioni, ristrutturazioni e nuovi progetti che partivano, e loro si attivavano per farne parte, non perché il progetto interessasse: piaceva partecipare ai Kick-off meeting, era un bell’argomento di conversazione per cui pavoneggiarsi. Poi, a progetti avviati, si facevano togliere lasciando le rogne agli altri.

Le bestie da soma

Si beccavano ordini del tipo “per le cinque deve essere pronto XXX e datevi da fare!” Ovviamente era pronto, ma “Ah si boh, vediamo poi domani” e domani “ah non era da fare così, veramente serviva cosà…” Insomma gente che si dava anche da fare, ma per come era organizzata la baracca, quello che facevano non dava risultati adeguati allo sforzo

I Boicottatori

Cioè i capi, quelli che davano gli ordini di cui sopra. Di più: essendo in una struttura meritocratica, cioè basata sul giudizio ad personam, non favorivano il lavoro in team, facendo scoprire tante volte l’acqua calda, creando conflittualità o almeno interrompendo canali di comunicazione tra pari  che avrebbero risolto i problemi "quando erano ancora piccoli"

C’erano poi quelle che io definivo “le mamme" o "donne che lavorano” in cui mi ci mettevo anch’io, poiché se come sesso mi identifico totalmente in quello maschile, come gender, cioè inclinazioni e atteggiamenti che un certo milieu culturale in un certo periodo storico assegna ad un certo sesso, io mi considero più donna. Cercavamo di fare le otto ore giuste, perché a casa ci aspettavano altre incombenze, non un minuto di più, ma in queste ore smaniavamo per completare la to do list delle attività, in modo di aver finito tutto per la sera: ci reandevamo antipatiche.

Mi domandavo che senso avesse per un’azienda che dovrebbe badare agli utili, tenere tanta gente a non realizzare nulla. Ne parlavo con una collega e lei diceva che comunque erano stipendi, quindi famiglie che mangiavano, quindi lavoro per i negozianti ecc… Ma, visto che di fatto la FIAT (al tempo di Romiti) era puntellata dello stato, la stessa cosa poteva ottenersi pagando pensioni a tutti: magari qualcuno nel tempo liberoavrebbe potuto assistere ai vecchi, ai malati terminali o sistemare il verde pubblico spesso degradato ecc..: non è che non ci fosse nulla da fare nel mondo! Perché la società nel suo insieme è disposta a pagare per lavori inutili mentre non ha le risorse per fare quello che serve, anzi quello che serve spesso è fatto dal “volontariato”? (non avevo ancora letto Graeber che ipotizza risposte)

La metafora della buca keynesiana  non mi piaceva. Per pagare uno per scavare buche e un altro per richiuderle, tanto vale pagarli perché facciano nulla, almeno non alzano polvere, non fanno rumore.

Non amo il Reddito di cittadinanza, ma perché, secondo certi commentatori è così grave “sdraiarsi sul divano di casa”e  invece è bene  parlare per ore di Juve e Ferrari, delle corna del ragionier Vattelapesca… purchè nell’opificio?  Il problema è che il valore del lavoro, purtroppo nella società non viene valutato per l’utilità del prodotto realizzato o per il servizio erogato. Allora avevo il sospetto che il primo scopo del lavoro fosse tenere impegnate le masse: come se le elite avessero chissà che coda di paglia e temessero che se la gente avesse più tempo libero chissà quali depravazioni potrebbe compiere.

Sta di fatto che il valore del lavoro nella meritocrazia-individualista di cultura torinese, sta nel sacrificio (bruciare la risorsa tempo nel tempio-azienda): il capo si sentirà nei panni di Dio nel giorno del giudizio e saprà premiare chi avrà sofferto per la dedizione alla cordata inter-aziendale. Mi piacerebbe che costoro si recassero in un ristorante, non gli portassero nulla se non un conto salatissimo da pagare. Ad eventuali rimostranze il cuoco facesse vedere ustioni di olio bollente sugli avambracci, escoriazioni da grattugia sulle mani, dita fasciate per tagli… Ecco ho sofferto tanto, devi pagarmi per questo!

 Ma non è finita qui....

 

domenica 25 luglio 2021

Che cambino mestiere !

  In Italia abbiamo avuto già dei momenti in cui alcune categorie professionali hanno repentinamente cambiato mestiere, buttando l'investimento che avevano fatto nell'approfondimento della loro professionalità.

L'Italia (paese di Enrico Fermi e Ettore Maiorana, tanto per citare qualcuno) nel 1966 raggiunse una produzione di 3,9 miliardi di kWh  di energia elettrica di origine nucleare: era il terzo produttore al mondo. Inutile dire che per i ragazzini più grandicelli di me, quello rappresentava uno sbocco di lavoro futuro. Ma, vuoi per il “caso Ippolito”, vuoi per non so bene cosa, tutto questo know-how si svaporò ben prima di Chernobyl. Anzi, ai tempi dei referendum sul nucleare una delle frasi dei fautori del NO era “Tanto non abbiamo più il know-how necessario e dipenderemmo comunque dall'estero”

Un altro cambio di mestirere lo ricordo benissimo, perchè coinvolto. Negli anni 80 ci fu una terribile fame di persone che operassero nell'informatica. Si buttarono cani e porci: chi si era laureato, magari con tesi su tematiche che avrebbero avuto applicazioni solo più di 20 anni dopo (come chi scrive) o persone che avevano fallito in tutte le altre attività umane, si facevano un corso di COBOL e un posticino lo trovavano. A metà degli anni 90 l'Olivetti scomparve e dall'eccesso di domanda si passò ad un eccesso di offerta, soprattutto in area piemontese. Spesso la selezione darwiniana funzionò al contrario, perchè i più attivi e dinamici lavoravamo in swhouse o freelance ci trovammo fragili come tutele – e il popolino diceva che gli informatici guadagnano tanto – mentre chi si era incollato alla procedura COBOL in Fiat o grosse compagnie, restava al suo posto; anche quando poi dalle procedure COBOL l'azienda fosse passata, per dire a SAP, costoro avevano tutele maggiori.

Molti colleghi cambiarono mestiere, altri regione o nazione, altri, come lo scrivente, modo di lavorare, ma accontentandosi sempre di remunerazioni da bidello e grandi frustrazioni professionali.

Ora, nel contesto della pandemia, sento i grandi problemi degli operatori del turismo e della ristorazione. Non ricordo questa preoccuppazione da parte dei politici e media quando a “cambiare mestiere” erano gli esperti del nucleare e gli informatici.


Premesso che secondo me non esiste una gerarchia nell'importanza dei lavori; premesso che è giusto avere un mix di tutto e non buttarsi sulla monocultura, una domanda la pogno: Per una nazione è più strategico essere all'avanguardia nelle tecnologie emergenti o vivere del voluttuario delle altre nazioni?


Postilla: ho letto dei report della coldiretti che il lockdown con la chiusura dei ristoranti e delle mense aziendali, ha diminuito la richiesta di cibo e vino. Ora, a parte casi di gente caduta in povertà, che comunque l'ultima cosa che taglia è il cibo a costo di servirsi di mense per poveri o del Banco Alimentare e affini, la gente non ha smesso di mangiare. Ne consegue che l'attuale sistema della ristorazione produce scarti, non è ecosostenibile. Mi auguro quindi che i ristoratori almeno cambino il modo di fare il loro mestiere.

domenica 4 luglio 2021

La truffa della nostalgia.

 Manzoni, putroppo valutato solo come letterato, nei Promessi Sposi descrive un processo di autoregolazione, direi quasi di “omeostasi sociale”, quando racconta che alcuni tessitori particolarmente intraprendenti, tra cui il cugino Bortolo, tentavano la fortuna all'estero (che poi era spesso abbastanza vicino, essendo l'Italia frammentata in staterelli) e questa loro migrazione permetteva di non avere un eccesso di tessitori in loco.

Sappiamo che la migrazione non è sempre quella descritta qui, dove rappresenta un fattore di equilibrio per la terra da cui si emigra.

La migrazione può rappresentare un impoverimento della terra di partenza, perchè la svuota delle risorse più produttive, rendendo quei luoghi ancora più poveri, così da invogliare sempre altre partenze. Questo avviene quando il migrante lascia definitivamente il paese e si ri-inventa cittadino del luogo di arrivo, se vi riesce.

Al contrario, la migrazione stagionale o temporanea, è una fonte di ricchezza per i paesi di partenza: il migrante manda le rimesse a casa e nei momenti in cui torna spende e spande per dimostrare la riuscita dal suo progetto migratorio (oltre a portare nuove idee ma qui il discorso sarebbe lungo)

E' chiaro che la comunità di partenza voglia che i suoi migranti finiscano in questo secondo caso. Il fratellino ancora piccolo ha tutti gli interessi che il fratellone migrante mandi qualcosa ai genitori!

Per inciso questo secondo caso è stato molto frequente nella migrazione alpina della prima metà del 900, un po' prima ed un po' dopo.

Come fa la comunità di partenza a raggiungere questo scopo? Inventando la religione della nostalgia, dove per religione intendo proprio la sovrastruttura ideologica, l'oppio dei popoli, il filtro per vedere solo una faccia del reale, insomma quello che i primi martiri cristiani rifiutavano e quindi venivano uccisi perchè atei.

Ecco allora canzoni lacrimevoli, spostamenti di feste tradizionali nei giorni in cui tornava la maggior parte dei migranti stagionali, valori identitari mitizzati. Insomma, la costruzione sociale della nostalgia.

E' una truffa! Il povero migrante truffato dal legame con la terra di partenza, nel paese in cui vive si sente sempre un cittadino a metà, non crea relazioni strette con i locali, lavora come un pazzo spendendo pochissimo, cioè una vita grama, per spendere poi nel paese natio, quando tornerà. Invece la vita è adesso! Il paesaggio "sempre nel cuore" non deve impedirti di gustare la bellezza dei luoghi che stai vedendo ora!

Scrivo queste cose perchè anche mio nonno materno, carnico, è stato parzialmente truffato in tale senso. Parzialmente, perchè ha sposato una donna piemontese conosciuta a Brescia, ha avuto relazioni di amicizia a Torino dove è vissuto per più di 30 anni: addirittura quando compì 60 anni lo invitarono alla festa dei coscritti di Cigliano (VC) (paese della nonna, in cui sfollarono durante la guerra) e ne restò commosso.

Però cadde anche lui nella trappola: non seppe resistere dal costruirsi una casa nel paese in cui era nato, dando lavoro ai villici, ma rinunciando a molti spettacoli di opere liriche (da alcune cose ho capito che era un melomane!) ed altri piaceri che non so dire avendo conosciuto poco il nonno se non dai racconti della nonna.

Scrivo queste cose perchè purtroppo quest'oppio è stato interiorizzato nella sua famiglia ed ora mi sta veramente pesando.

lunedì 31 maggio 2021

Chi è il più p▓▓▓u ? Il torinese che vorrebbe essere milanese.

 

Tra i tanti personaggi deleteri conosciuti in quarant'anni di lavoro, quello più comico è sicuramente il torinese con il culto della milanesità. Premetto che non amo il milieu torinese, che la mia miglior esperienza di lavoro l'ho fatta a Parma & Val di Taro e che se avessi potuto scegliere dove nascere sarei stato in dubbio tra l'Emila e la Romagna...

Sopratutto nel periodo fine anni 80 e inizio anni 90 era tipico trovare gretti meschini pidocchiosi torinesi, spesso di origine non autoctona ma perfettamente inseriti nel contesto torinese - molto più dello scrivente! - andare in estasi davanti alla parola “MILANO”. Milano è più dinamica, Milano offre di più, a Milano si fa carriera!

Anni fa su una TV privata, andava in onda CIAU BALE, una trasmissione comica, esilarante per un torinese e difficilmente comprensibile per chi fosse forestiero, che tra le altre gag, presentava una scuola per i torinesi che volessero milanesizzarsi. Alcune cose erano carine, come la scolaresca che si esercitava a ripetere “Ue, pirla!” con la perfetta dizione “bauscia”; il kit di oggetti allora in voga come le cravatte con il nodo largo e i cellulari di grosse dimensioni... ma calcava un po' la dose forse per evitare che alcuni spettatori si riconoscessero troppo e non gradissero più la trasmissione.

A parte la comicità del personaggi (comunque non è mai piacevole aver a che fare con personaggi comici!) questo atteggiamento è un effetto imprevedibile dell'alienazione del lavoratore, visto non a livello dell'operaio della catena di montaggio, ma l'alienazione del “colletto bianco” del suo approccio al lavoro che non sto a descrivere qui in poche righe di un post, ma per coglierlo rimando alle migliaia di risorse che si trovano sul temi Agile, Kaizen Lean Scrum ecc...

Qui segnalo alcune😄😀😂

https://www.youtube.com/watch?v=oy6JdZp6ohE

 https://vimeo.com/showcase/6668137/video/380836856


Per chi volesse vedere CIAU BALE canale di Ciau Bale

 

domenica 25 aprile 2021

Chi è il più [...censura..] ? CRO

 

Questa volta cito il personaggio riferendomi precisamente a lui, indicandolo esplicitamente secondo i suoi desiderata. Questo personaggio, oltre ad entrare nella pletora di coloro che avrebbero potuti essere interpretati da Franco Volpi, aveva (vedremo poi perchè “aveva”) diversi altri difetti in qualche modo correlati.

Mentre sui vari libri e siti in cui si imparano tecniche di project management, di programmazione, di marketing... gli esempi mettono personaggi che si chiamano Sarah, Joe (immancabili) e poi Dave, Jane, Jenny, Jerry, Tim, Tom e simili nomignoli, costui per rendere l'azienda “più seria” aveva inventato una siglatura, sua e dei colleghi, da mettere nei verbali di riunioni, firme nelle mail, gantt e via discorrendo. A lui era venuto CRO.

Ecco il primo difetto: il sogno dell'azienda come struttura burocratica perfetta, come un'orologio a cui basta dare un colpo di carica e poi tutti procedere senza intoppi – gli intoppi per chi lavorava li creava lui. Procedere non solo con “tutto sotto controllo”, ma anche con delle linee ben dettagliatamente definite sui passi successivi, in modo che l'attività realizzativa diventi quasi un dettaglio di secondaria importanza.

Probabilmente non aveva mai sentito l'acronimo VUCA e se anche l'avesse sentito non si rendeva conto che quello era il mondo in cui viveva un'azienda di sotftware.

Un altro difetto era il senso del sacrificio. Il valore di quello che si fa, per lui non era dato dalla soddisfazione del cliente, ma dalla percezione che aveva del proprio prodotto. Un elemento basilare di questa percezione era “la fatica costata a farlo”. Vero che per soddisfare il cliente ci va impegno, ma un impegno diverso e tutto sommato più creativo, quindi spesso pagante. Invece concentrando su di se il valore dell'impegno, discendava un ulteriore difetto: lo spreco della risorsa tempo: più tempo ci mettevi, se stavi a sera fino a tarda sera, al sabato e domenica, magari per fare quello che nel mondo Lean è chiamato MUDA, più eri meritevole. Lo spreco del tempo, non solo suo, ma anche quello altrui era anche una forma di mancanza di rispetto: per colleghi innanzi tutto, ma anche clienti e partner a cui faceva perdere tempo e si rendeva antipatico.

Cosa divertente. La fase di testing invece lui la vedeva in modo diametralmente opposto. Mentre i test (ovviamente tracciati) dovrebbero servire innanzitutto agli sviluppatori per sapere “come stiamo andando” per non accumulare problemi e così via, per lui la tracciabilità dei test doveva essere un modo per pararsi le spalle con in clienti “Noi i test li abbiamo fatti, da noi funziona, che cavolo state a dire?”

Altro difetto correlato: la determinazione. Secondo lui, se una cosa non da i risultati sperati, non è perchè hai sbagliato metodo, ma perchè non hai applicato il metodo con abbastanza determinazione! Per carità di patria non scendo in dattagli

Altro particolare: è vero, siamo a Torino, ma nei primi anni 2000, cioè quando l'azienda fordista stava esalando gli ultimi respiri e mentre gli informatici in altre parti del mondo scrivevano l'Agile Manifesto, CRO voleva “rendere più professionale” il lavoro degli informatici assimilandolo alla vecchia morente.

A sua discolpa. La colpa è sempre della società: invece di dargli tanta corda, avrebbero dovuto imporgli una cura di “Agile”. Ma 1) assomigliava a Franco Volpi e quindi era ascoltato 2) i vertici aziendali non avevano una cultura adeguata, al punto che quando io tentai una presentazione di Agile mi fu detto che un approccio simile può essere usato nel volontariato, non in azienda (la mia slide successiva faceva vedere i loghi delle piccole multinazionaline che avevano adottato Agile 😂)

A sua discolpa. Venivo da una decennale esperienza in R&D e lavorare con il personaggio fu da incubo. Nelle notti insonni, cercai su internet come si deve procedere per evitare da un lato il Cowboy-conding e da un altro un eccesso di burocrazia. Scoprii un mondo, proprio per “difendermi” da lui. Peccato che questa scoperta nel 2011 non interessasse a nessuno.

PS: perchè ho detto aveva? Perchè penso sia in pensione e come molti personaggi aziendali, abbia avuto come sogno profondo quello di comprarsi un orticello e zapparselo. Immagino e gli auguro di stare nel suo appezzamento e godere il sacrificio di spezzarsi la schiena .

sabato 3 aprile 2021

Chi è il più [...omissis..]? E' interpretato da Franco Volpi.

 in un mio precedente articolo avevo minacciato di togliermi sassolini dalle scarpe (come si suol dire) relativi ai miei quarant'anni di frustrazioni professionali che hanno avuto solo poche eclissi di esperienze valide.

Non per recriminare, ma perchè il tempo e le capacità delle persone sono sacre. E' grave sprecarle: occorre raccontare come monito per il futuro. 

Non comincio incolpando una persona in particolare, ma un tipo umano che ho incontrato molte volte. Possiamo dire che questo personaggio sarebbe stato interpretato dall'attore Franco Volpi.

Avevo già parlato di un tipo interpretato da Alberto Sordi ma lì mi riferivo ad una persona particolare. Magari ci tornerò perchè era veramente una situazione da manuale.

 Non ho visto molte interpretazioni di Franco Volpi, ma ne ricordo quattro:

  1. Nel film Johnny Stecchino, nei panni di un “ministro” corrotto e cocainomane, ma apparentemente rispettabile che convince il Benigni autista di scuola-bus che la polverina bianca era una cura contro il diabete. Seguono conseguenti situazioni comiche quando Benigni la propone ad un vescovo ed ad un ragazzo veramente diabetici.

  2. In una vecchia pubblicità, che io ho presente più dal fatto che era quasi una barzelletta citata dagli adulti che dai mei ricordi. Vestito con spalline e galloni da ufficiale ottocentesco, con gran prosopopea faceva previsioni sul futuro totalmente errate, per esempio che l'invenzione della fotografia non avrebbe avuto alcuna rilevanza pratica.

  3. Nel film televisivo“Il giudice ed il suo boia” tratto dal romanzo di Friedrich Dürrenmatt , interpretava il capitano Lutz. Un capo tonto, capace solo di rilasciare dichiarazioni ufficiali e ripetere banalità mainstream, ignaro delle cose terribili che stavano combinando i suoi “collaboratori” 

    Ed infini il giudice Comeliau, nella serie televisiva del Commissario Maigret, interpretato da Gino Cervi. Sembrava spesso un complice dei criminali, per come rompeva le scatole al commissario. Per esempio, quando Maigret cercava di tendere trappole e aspettava i “passi falsi” del sospettato, lui faceva domande del tipo “commissario, entro quanti giorni risolverà il caso?” proprio come i manager che mi avevano affidato la scoperta di un bug in un software non mio (una volta non esisteva il TDD) e mi chiedevano “quanto tempo ti serve per correggere il bug?” Ah, prima occorre trovarlo, poi un bug può essere una semplice svista  (nel 2010 ho ancora trovato in un programma C/C++ o C#, una istruzione del tipo if (a=b) … invece di if (a==b) … ) oppure richiedere un cambiamento sostanziale nella struttura dei moduli....

     

    Quanti personaggi di Franco Volpi ho incontrato nella mia carriera! La domanda era: come uno così cretino può aver raggiunto simili posizioni? Nella finzione, beh, è una fiction, ma come accade in un'azienda privata che mira all'utile e teoricamente si regge sulla meritocrazia?

    Mi do una spiegazione notando che l'intersezione tra l'insieme dei cretini altolocati e quelli che somigliano a Franco Volpi era abbastanza alta. I personaggi di quel tipo fanno una “buona impressione” alle/ai recruiter, alle/ai HR *ager, ai loro simili che in azienda coprono già un certo tipo di posizione.

    A questo punto mi permetto di segnalare questo articolo 

    Paradossalmente, se fossero trasparenti e corretti, le carriere per concorsi sarebbero una chance in più per il settore pubblico, da cui il privato dovrebbe imparare. Non solo si supererebbe il gender-gap ma anche il gap dovuto al fisico: piccoletto, barilotto, spilungone ciondonante..., voce in falsetto e simili amenità che in molti casi inibiscono carriere a persone capaci.