giovedì 10 aprile 2025

Il Guazzabuglio del cuore. - Mia ultima lettura

 


Per la seconda volta mi accingo a fare una specie di recensione ad un libro scritto da una persona amica. L'altra recensione è qui.

Oltre la curiosità di leggere quanto Gian Mario Veneziano ha scritto, ero interessato anche per il fatto che qualche anno fa mi ero messo a rileggere “I Promessi Sposi” e a tirarne fuori un mio commento. La differenza sostanziale col mio commento è che rifacendomi a quanto dice Manzoni stesso nel capitolo 27, [...]ma siccome, per un giusto sentimento di noi medesimi, dobbiam supporre che quest’opera non possa esser letta se non da ignoranti, [...] io ho fatto una lettura sostanzialmente da “ignorante” - da un punto di vista letterario - per finire, tra una battuta cretina e aneddoti vari, in una lettura sostanzialmente in linea a quello che Luigi Einaudi diceva del romanzo. Peccato non aver letto Einaudi prima, o forse meglio così, sono stato più “dësgenà”

Per tornare al libro di Veneziano, invece l'autore è tutt'altro che ignorante, perché Manzoni deve averlo spiegato alle scolaresche non so quante volte in tanti anni di insegnamento.

Il libro è composto di tre capitoli, ma il primo, quello dedicato ai Promessi Sposi, occupa all'incirca il 70% del testo. Inoltre torna al romanzo nel terzo capitolo, quanto parla della madre di Cecilia e di padre Felice Casati. Molto interessante l'analisi della storia, molto interessanti ed istruttivi i collegamenti filosofici e quelli relativi alla biografia del Manzoni, che a me mancavano o almeno non mi erano così noti.

Convengo con l'autore a proposito della figura paterna, positiva nel padre simbolico interpretato da padre Cristoforo nei confronti dei due giovani, ma io ci metterei anche Federico Borromeo nei confronti dell'Innominato, anche se per certi versi coetanei; per lo più negativa nei padri carnali, padre di Ludovico, padre di Gertrude e io ho notato un altro personaggio positivo, ma goffo nel ruolo di padre.

Belle le spiegazioni della notte dell'Innominato e di Renzo che perdona don Rodrigo dopo l'incontro con padre Cristoforo. Chissà quante volte le avrà spiegate in classe! Spero che gli allievi fossero attenti. Io, ai tempi dei Promessi Sposi avevo una professoressa che non valeva una cicca.

Nella mia disamina, quelle due scene topiche le ho saltate, ci sono già troppi commenti e spiegazioni a cui non avrei saputo cosa aggiungere, soffermandomi sulle scene successive, cioè l'Innominato ormai buono, diventa manager del progetto “minimizzare i danni della calata dei lanzichenecchi” e per la seconda ho focalizzato l'attenzione su cui purtroppo spesso si sorvola -Veneziano l'ha solo posticipata - perché incuneata tra due scene chiave, cioè quella del discorso di Felice Casati, personaggio storicamente vissuto, come Federico Borromeo.

Condivido abbastanza con l'autore che Manzoni non ha una lettura ideologica con i buoni di qua ed i cattivi di là ed happy end finale, ma le persone hanno la loro complessità e dinamica. (Nel mio sottotitolo parlo anche di Complex Systems tra le pagine del romanzo)

Non condivido però il titolo scelto da Veneziano, a meno del fatto che possa essere esteso a tutti i personaggi manzoniani, in primo luogo Renzo e Lucia, e anche a Manzoni stesso. Perché insieme a donna Prassede e al conte Attilio (personaggio che Veneziano non cita) il padre di Gertrude è uno dei pochi staticamente cattivi. Il suo attimo di affetto nei confronti della figlia mi sembra quello del padrone del cagnolino quando capisce che il cagnolino ha imparato a non pisciare più in casa o gli riporta il bastoncino lanciato, non certo perché ne riconosca il mistero del suo destino di essere umano.

Gli altri capitoli sono dedicati ad altre opere, di cui alcune ho una conoscenza scarsa o nulla, quindi per me novità. Qualcosa da imparare.

L'altra opera che conoscevo di cui Veneziano parla è “Cinque maggio”. Un'opera in cui mi riconosco. Grave dirlo perché pensare di essere Napoleone è un topos abbastanza frusto del pazzo. Ma io mi riconosco solo in due punti. Ne riparlerò in seguito. Su uno però Veneziano offre un'interpretazione mai sentita a scuola.

“Cadde la stanca man” viene interpretato

“Il non saper scrivere le proprie memorie è simbolo dell'incapacità di Napoleone di cogliere il significato ultimo della sua esperienza di uomo e di condottiero...”

Per me invece, quando mi sono trovato quasi sessantenne in cerca di altre occupazioni, nello scrivere il CV a volte mi cadeva la stanca man. Ma di questo ne riparlerò spero entro il 5 maggio.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ok, Roby. Per scrivere le proprie memorie, mi pare, ci vanno coraggio, decisione e sfrontatezza.
Io non posso parlare
, perché sono anni che vorrei scrivere la storia della mia famiglia ma non mi decido.
Tornando al libro di Mario, è veramente argomentato e ricco, ma, a volte, un po' tortuoso in certe riflessioni, se mi posso permettere.

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