Rimettendo a posto i file sul computer ho trovato una lettera che avevo scritto ad un amico che collaborava al Meeting per l'amicizia fra i popoli edizione 2017 il cui titiolo era
Quello che tu erediti dai tuoi padri, riguadagnatelo, per possederlo
Titolo che mi lasciò piuttosto di stucco. Diedi all'amico questo testo, chiedendogli di farlo avere ai responsabili del meeting
Dopo alcuni episodi, dal crollo del ponte Morandi, al Covid-19, rileggere quanto scrivevo fa uan certa impressione.
La rendo pubblica sperando in commenti.
Cari amici,
quando ho visto il titolo
del prossimo meeting sono rimasto piuttosto sconvolto. Non riporto
esattamente la mia esclamazione, perchè probabilmente non capite il
piemontese, ma se lo capiste non sarebbe molto fine.
Ovviamente non mi
riferisco a mio padre in persona, ma ai “padri”: alla generazione
precedente, con l'ovvio limite che non tutti i coetanei condividono
gli stessi atteggiamenti e che fenomeni analoghi emergono spesso
sfasati nel tempo.
Che cosa ci hanno
lasciato, questi padri? Il dato in prima battuta più evidente è un
debito pazzesco. In Italia il debito è debito pubblico, in molte
altre nazioni il debito è più suddiviso tra pubblico e privati.
Dal debito pubblico io ne
sono in qualche modo penalizzato: ho sessant'anni, quarantuno di
contributi previdenziali, ho perso il lavoro e ciò non mi basta per
andare in pensione: la generazione precedente accedeva alla pensione
con molti meno anni di contributi, e soprattutto i loro contributi
non incidevano tanto sulla loro paga.
In secondo luogo penso ai
danni ambientali, di cui solo a partire dalla fine degli anni
settanta, cioè dall'affacciarsi della mia generazione, si è preso
coscienza e tra molte contraddizioni, oggi si sta pagando per
rimediare a certi guasti e si evitano tecnologie particolarmente
inquinanti. Con tutti i limiti e le contraddizioni, va bene, ma una
maggiore sensibilità ora c'è.
Poi, non sono un
architetto, ma basta sfogliare la cronaca locale, per rendersi conto
di quante strutture (scuole, case popolari, ponti...) costruiti negli
anni '60 e '70 ora siano gravemente malandate, mentre edifici degli
inizi del novecento o forse anche prima reggano meglio gli oltraggi
del tempo. Per non parlare dell'amianto: una sede dell'Università di
Torino, quella costruita appunto negli anni '60 , recentemente è
stata chiusa a lungo per questo motivo.
Non mi dilungo in altri
dettagli prosaici. Mi sembra che quella fosse la generazione sognata
da John Lennon nella canzone Imagine, sebbene lui la auspicasse per
il futuro: “people living for today”. Una generazione che ha
costruito molto, in tutti i sensi, ma senza porsi il problema della
sostenibilità nel lungo periodo, o meglio, dell'ereditabilità di
quello che andava facendo.
Personalmente la cosa che
mi aveva sconvolto di più nella mia gioventù, che posso dire durò
grosso modo dal 1970 al 1980, era quanto i “padri” sollecitassero
ad una grande attenzione al conseguimento immediato di risultati, ma
in qualche modo vietassero o almeno sostenessero l'irrilenvanza della
ricerca di significati. Era la generazione che aveva vissuto la
guerra quando erano ragazzini ed aveva affrontato la gioventù nel
periodo della ricostruzione post-bellica. Una ricostruzione che fu
per molti legata ad un lavoro di tipo fordista: andava loro benissimo
essere ingranaggi di una grande macchina, fare azioni in un flusso di
cui sfuggiva la logica, passare otto ore senza senso (otto perchè a
loro gli straordinari venivano pagati!) perchè il senso stava nel
progredire: dall'uscire dalla fame al comprasi la casa, dalla casa
alla vespa dalla vespa alla cinquecento, alle vacanze al mare, allo
sciare d'inverno... oppure nella carriera: nel passare vice
capo-gruppo e poi a capo-guppo e poi a vice capo-settore a
capo-settore ed altri microgradini della scala aziendale, che
gratificavano la persona per l'insulsaggine delle otto ore e davano
ancor più opportunità alla via consumista. Ma questo approccio,
basato sulle cosiddette motivazioni estrinseche, è evidentemente
insostenibile!
Nella mia ricerca
spasmodica di senso ricordo quanto inseguissi, per usare una
terminologia sentita dire dal psicoterapeuta Claudio Risè, dei
“padri simbolici”: tutte le voci che in qualche modo erano
dissonanti con l'ideologia dell'american way of life.
Innanzitutto le letture: a quindici anni leggevo Vance Packard, a
sedici Ivan Illich. Con i gruppi di ispirazione marxista - nella mia
scuola era presente Lotta Continua e il bibliotecario era Marco
Donat-Cattin - mi trovavano in sintonia per quanto riguarda la “pars
destruens”, cioè nel riscontrare inadeguato il “sistema” ma mi
sembravano scarsi nella ricerca di un significato. Insomma, per me
erano troppo “moderati”, troppo poco radicalmente alternativi.
Ero affascinato anche dalle religioni dell'oriente, ma la bibliteca
del Liceo era poco fornita su quel tema.
Sia nel mio caso, sia per
molti dei coetanei che frequentavo, la ricerca di un “significato”
ed il tentativo di rischiare per seguirlo era per lo più osteggiato
dalle famiglie, indipendentemente dal quale fosse questo
“significato” ed indipendentemente dall'etichetta
ideologica-culturale delle famiglie.
Ho letto di recente un
giudizio del già citato Risè sul 68 – che come ho detto
all'inizio per me è cominciato dal 1970 con il liceo.
“Il ‘68, che si è
a volte autopresentato come rivolta contro il padre, è stato invece,
a livello profondo, anche una sorta di grido di aiuto verso il padre,
affinché questi smettesse di crogiolarsi nell’autocontemplazione
narcisistica già imperante nell’Occidente secolarizzato e si
facesse interprete della necessità di “liberazione” dei giovani
dall’ideologia della soddisfazione del bisogno che si intuiva già
imperante allora e ancor più nei decenni a venire. Questo richiamo
non fu naturalmente accolto da padri già compromessi, anche
moralmente e culturalmente, dall’edonismo di massa. La società dei
consumi e delle pulsioni fu anzi ulteriormente rafforzata,
coinvolgendovi il più possibile anche i nuovi ribelli e decapitando
le loro spinte ideali e potenzialità spirituali. Capitalismo
edonista e burocrazie politiche marxiste si impegnarono con successo
a far naufragare nell’opulenza e nell’immagine la spinta ideale
di un’intera generazione, peraltro già confusa di suo.”
Quasi una mia biografia.
Salto un episodio
drammatico, per non essere troppo autobiografico, ma superai l'idea
del suicidio causata da quel'episodio, uccidendo mentalmente il
mondo: mi buttai nella lettura di tutti i testi di futurologi
catastrofisti che trovavo, che allora si chiamavano per esempio
Roberto Vacca, Aurelio Peccei ed il Rapporto Meadows. Su questo ci
torno più avanti.
Il caso, o meglio Dio che
guida anche il caso, volle che incontrassi dei figli di un “padre
simbolico” che testimoniava la presenza di un significato: conobbi
persone che seguivano don Giussani. Ricordo ancora l'emozione di
quando lessi che biasimava un testo di letteratura in cui si riteneva
che le tematiche di Leopardi fossero “indiscriminata velleità
riflessiva degli adolescenti” mentre don Giussani le riteneva
fondamentali, o quando lo sentii ripetere quello che avevo già
sentito citare nel Vangelo, “Che giova all’uomo guadagnare il
mondo intero, se poi perde se stesso?” ma con un accento tale che
mi fece decidere “Questa è la strada da seguire!”.
Non che le scelte
politiche e le analisi sociologiche di CL mi sembrassero sempre
azzeccatissime (anzi!) ma il “punto fondamentale”, il “granello
di senape da cui lasciare crescere l'albero” era quello giusto.
Oggi, citando Papa
Francesco, si dice che “non siamo in un epoca di cambiamenti, ma in
un cambiamento d'epoca”. Giustissimo, ma è come se le premesse ci
fossero già state tutte. Nessuna delle previsioni dei futurologi
catastrofisti che avevo letto da ragazzo si è poi verificata così
come era stata predetta, ma era ovvio che la costruzione, peraltro
distruttiva di quello che precedeva, fatta dai “living for today”
non avrebbe potuto durare.
Paradossalmente, questi
padri che si limitavano a far figli ma non eredi, che innescavano
“bombe a orologeria” ci hanno involontariamente lasciato
un'eredità, cioè un compito. Come in questo periodo di terremoti in
Italia, ci rendiamo conto della bellezza di certi borghi, per lo più
sconosciuti, solo al crollo degli edifici che manifestavano tale
bellezza, così al crollo che vediamo di tutta una serie di evidenze
e modalità di relazioni, occorre scoprire il granello di senape, in
dotazione di “padri simbolici” che si muovevano contro-corrente,
come fiumi carsici o meglio, usando l'immagine di Papa Francesco, in
periferia. Mi auguro che il Meeting ci possa aiutare in questo.
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