Ho sentito recentemente da qualche liberale-liberista-crescitista dire "non facciamo dell'Italia un paese per vecchi!" Ebbene, la locuzione "paese per vecchi" viene dal titolo del best-seller di Cormac McCarthy "Non è un paese per vecchi" . Evidentemente chi l'ha detto non ha letto il libro, fatto di due livelli di scrittura: i commenti del poliziotto "vecchio" e la descrizione dei fatti. Il poliziotto, abituato per anni a lottare contro malfattori, che pure avevano una certa logica ed una loro "dignità" si sente a disagio, non capisce più la nuova criminalità che uccide "a tappeto" al di sopra del necessario per il delitto progettato. Ora se l'Italia non deve essere un paese per vecchi, significa che i rapporti devono essere di estrema ed inutile violenza?
L'Italia deve essere un paese per tutti, quindi anche per i vecchi. La ricchezza di una nazione sta nella capacità di valorizzare il diverso. Valorizzare ho detto, non solo accogliere, cioè accogliere il valore che può dare. Anche il lavoro dei vecchi.
Sul tema delle "pensioni" ci ritorno, ma ora vorrei citare un fatto che appartiene alla storia della famiglia.
Una sorella di mio nonno (la già citata suor M. Fortunata) divenne suora e visse fino a 97 anni. Ma gli ultimi anni della vita li trascorse praticamente inferma, impossibilitata a camminare, quasi sorda... Ebbene chiedeva alle consorelle di poter cucire, rammendare... insomma tutti lavori che riusciva ancora a svolgere. Inoltre nella congregazione vi erano suore addette all'assistenza delle consorelle anziane. Una suora di queste ci disse che lei, stando con suor Fortunata aveva "imparato molto" (e suor Fortunata era assistita da lei).
Ma la società in cui viviamo è disposta ad accettare il lavoro dei "diversi"?
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