martedì 2 giugno 2020

2017 - Quasi una preveggenza


Rimettendo a posto i file sul computer ho trovato una lettera che avevo scritto ad un amico che collaborava al Meeting per l'amicizia fra i popoli edizione 2017 il cui titiolo era

Quello che tu erediti dai tuoi padri, riguadagnatelo, per possederlo


Titolo che mi lasciò piuttosto di stucco. Diedi all'amico questo testo, chiedendogli di farlo avere ai responsabili del meeting

Dopo alcuni episodi, dal crollo del ponte Morandi, al Covid-19, rileggere quanto scrivevo fa uan certa impressione. 

La rendo pubblica sperando in commenti.

Cari amici,
quando ho visto il titolo del prossimo meeting sono rimasto piuttosto sconvolto. Non riporto esattamente la mia esclamazione, perchè probabilmente non capite il piemontese, ma se lo capiste non sarebbe molto fine.
Ovviamente non mi riferisco a mio padre in persona, ma ai “padri”: alla generazione precedente, con l'ovvio limite che non tutti i coetanei condividono gli stessi atteggiamenti e che fenomeni analoghi emergono spesso sfasati nel tempo.

Che cosa ci hanno lasciato, questi padri? Il dato in prima battuta più evidente è un debito pazzesco. In Italia il debito è debito pubblico, in molte altre nazioni il debito è più suddiviso tra pubblico e privati.
Dal debito pubblico io ne sono in qualche modo penalizzato: ho sessant'anni, quarantuno di contributi previdenziali, ho perso il lavoro e ciò non mi basta per andare in pensione: la generazione precedente accedeva alla pensione con molti meno anni di contributi, e soprattutto i loro contributi non incidevano tanto sulla loro paga.

In secondo luogo penso ai danni ambientali, di cui solo a partire dalla fine degli anni settanta, cioè dall'affacciarsi della mia generazione, si è preso coscienza e tra molte contraddizioni, oggi si sta pagando per rimediare a certi guasti e si evitano tecnologie particolarmente inquinanti. Con tutti i limiti e le contraddizioni, va bene, ma una maggiore sensibilità ora c'è.
Poi, non sono un architetto, ma basta sfogliare la cronaca locale, per rendersi conto di quante strutture (scuole, case popolari, ponti...) costruiti negli anni '60 e '70 ora siano gravemente malandate, mentre edifici degli inizi del novecento o forse anche prima reggano meglio gli oltraggi del tempo. Per non parlare dell'amianto: una sede dell'Università di Torino, quella costruita appunto negli anni '60 , recentemente è stata chiusa a lungo per questo motivo.

Non mi dilungo in altri dettagli prosaici. Mi sembra che quella fosse la generazione sognata da John Lennon nella canzone Imagine, sebbene lui la auspicasse per il futuro: “people living for today”. Una generazione che ha costruito molto, in tutti i sensi, ma senza porsi il problema della sostenibilità nel lungo periodo, o meglio, dell'ereditabilità di quello che andava facendo.

Personalmente la cosa che mi aveva sconvolto di più nella mia gioventù, che posso dire durò grosso modo dal 1970 al 1980, era quanto i “padri” sollecitassero ad una grande attenzione al conseguimento immediato di risultati, ma in qualche modo vietassero o almeno sostenessero l'irrilenvanza della ricerca di significati. Era la generazione che aveva vissuto la guerra quando erano ragazzini ed aveva affrontato la gioventù nel periodo della ricostruzione post-bellica. Una ricostruzione che fu per molti legata ad un lavoro di tipo fordista: andava loro benissimo essere ingranaggi di una grande macchina, fare azioni in un flusso di cui sfuggiva la logica, passare otto ore senza senso (otto perchè a loro gli straordinari venivano pagati!) perchè il senso stava nel progredire: dall'uscire dalla fame al comprasi la casa, dalla casa alla vespa dalla vespa alla cinquecento, alle vacanze al mare, allo sciare d'inverno... oppure nella carriera: nel passare vice capo-gruppo e poi a capo-guppo e poi a vice capo-settore a capo-settore ed altri microgradini della scala aziendale, che gratificavano la persona per l'insulsaggine delle otto ore e davano ancor più opportunità alla via consumista. Ma questo approccio, basato sulle cosiddette motivazioni estrinseche, è evidentemente insostenibile!

Nella mia ricerca spasmodica di senso ricordo quanto inseguissi, per usare una terminologia sentita dire dal psicoterapeuta Claudio Risè, dei “padri simbolici”: tutte le voci che in qualche modo erano dissonanti con l'ideologia dell'american way of life. Innanzitutto le letture: a quindici anni leggevo Vance Packard, a sedici Ivan Illich. Con i gruppi di ispirazione marxista - nella mia scuola era presente Lotta Continua e il bibliotecario era Marco Donat-Cattin - mi trovavano in sintonia per quanto riguarda la “pars destruens”, cioè nel riscontrare inadeguato il “sistema” ma mi sembravano scarsi nella ricerca di un significato. Insomma, per me erano troppo “moderati”, troppo poco radicalmente alternativi. Ero affascinato anche dalle religioni dell'oriente, ma la bibliteca del Liceo era poco fornita su quel tema.

Sia nel mio caso, sia per molti dei coetanei che frequentavo, la ricerca di un “significato” ed il tentativo di rischiare per seguirlo era per lo più osteggiato dalle famiglie, indipendentemente dal quale fosse questo “significato” ed indipendentemente dall'etichetta ideologica-culturale delle famiglie.
Ho letto di recente un giudizio del già citato Risè sul 68 – che come ho detto all'inizio per me è cominciato dal 1970 con il liceo.
“Il ‘68, che si è a volte autopresentato come rivolta contro il padre, è stato invece, a livello profondo, anche una sorta di grido di aiuto verso il padre, affinché questi smettesse di crogiolarsi nell’autocontemplazione narcisistica già imperante nell’Occidente secolarizzato e si facesse interprete della necessità di “liberazione” dei giovani dall’ideologia della soddisfazione del bisogno che si intuiva già imperante allora e ancor più nei decenni a venire. Questo richiamo non fu naturalmente accolto da padri già compromessi, anche moralmente e culturalmente, dall’edonismo di massa. La società dei consumi e delle pulsioni fu anzi ulteriormente rafforzata, coinvolgendovi il più possibile anche i nuovi ribelli e decapitando le loro spinte ideali e potenzialità spirituali. Capitalismo edonista e burocrazie politiche marxiste si impegnarono con successo a far naufragare nell’opulenza e nell’immagine la spinta ideale di un’intera generazione, peraltro già confusa di suo.” Quasi una mia biografia.

Salto un episodio drammatico, per non essere troppo autobiografico, ma superai l'idea del suicidio causata da quel'episodio, uccidendo mentalmente il mondo: mi buttai nella lettura di tutti i testi di futurologi catastrofisti che trovavo, che allora si chiamavano per esempio Roberto Vacca, Aurelio Peccei ed il Rapporto Meadows. Su questo ci torno più avanti.

Il caso, o meglio Dio che guida anche il caso, volle che incontrassi dei figli di un “padre simbolico” che testimoniava la presenza di un significato: conobbi persone che seguivano don Giussani. Ricordo ancora l'emozione di quando lessi che biasimava un testo di letteratura in cui si riteneva che le tematiche di Leopardi fossero “indiscriminata velleità riflessiva degli adolescenti” mentre don Giussani le riteneva fondamentali, o quando lo sentii ripetere quello che avevo già sentito citare nel Vangelo, “Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde se stesso?” ma con un accento tale che mi fece decidere “Questa è la strada da seguire!”.
Non che le scelte politiche e le analisi sociologiche di CL mi sembrassero sempre azzeccatissime (anzi!) ma il “punto fondamentale”, il “granello di senape da cui lasciare crescere l'albero” era quello giusto.

Oggi, citando Papa Francesco, si dice che “non siamo in un epoca di cambiamenti, ma in un cambiamento d'epoca”. Giustissimo, ma è come se le premesse ci fossero già state tutte. Nessuna delle previsioni dei futurologi catastrofisti che avevo letto da ragazzo si è poi verificata così come era stata predetta, ma era ovvio che la costruzione, peraltro distruttiva di quello che precedeva, fatta dai “living for today” non avrebbe potuto durare.

Paradossalmente, questi padri che si limitavano a far figli ma non eredi, che innescavano “bombe a orologeria” ci hanno involontariamente lasciato un'eredità, cioè un compito. Come in questo periodo di terremoti in Italia, ci rendiamo conto della bellezza di certi borghi, per lo più sconosciuti, solo al crollo degli edifici che manifestavano tale bellezza, così al crollo che vediamo di tutta una serie di evidenze e modalità di relazioni, occorre scoprire il granello di senape, in dotazione di “padri simbolici” che si muovevano contro-corrente, come fiumi carsici o meglio, usando l'immagine di Papa Francesco, in periferia. Mi auguro che il Meeting ci possa aiutare in questo.

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