Premesso che, a partire dal fatto di essere ex-allievo di don Marco Bonardello, sono assolutamente lontano da ogni retaggio positivista che vede incompatibilità tra scienza e fede. Una visione stantia secondo la quale i popoli in uno stadio arretrato si rapportano con la natura tramite la magia, poi fanno un passo avanti nella capacità di formalizzare il pensiero e passano così alla religione. Raggiunta la maturità dello sviluppo storico, che coincide con l'epoca di chi sostiene tali teorie, si volgono alla scienza che permette un rapporto con il reale finalmente adeguato e sgombro da ogni falsità.
Ovviamente questa descrizione che ho riassunto in modo superficiale, descrive essa stessa una visione superficiale.
Ma vorrei fare una domanda. Un europeo colto dei giorni nostri (assonanza dostoevskiana!), che crede nell'esistenza di Dio, spesso interpreta l'Ente Supremo su un modello aristotelico. “Causa Prima” Se così fosse allora
Dio nella sua immensità, nei suoi pensieri che non sono i nostri pensieri, le nostre vie non sono le sue vie, quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le sue vie sovrastano le nostre vie, i suoi pensieri sovrastano i nostri pensieri, è Dio di tutti i modelli di universo che noi abbiamo creato e creeremo, quindi anche il Signore dei paradossi logici, della ricorsività, del multiverso, e di tutti i possibili modelli fisici, filosofici, matematici a venire.
Altrimenti il rapporto con la Trascendenza non sarebbe che una costruzione filosofica raffinata - non certo arretrata nel processo evolutivo secondo i positivisti colonialisti, nè creata dal potere politico, nè da contorsioni psicologiche - una cosa seria, ma pur sempre una costruzione limitata dal pensiero dell'epoca dei suoi costruttori. Invece per la sua stessa natura, l'essenza di quel che chiamiamo Dio, non può essere limitata dai limiti del nostro sapere.
(spero di non essere accusato di eresia!)