Il periodo di Covid asintomatico, mi ha costretto a terminare la lettura di Guerra e Pace che avevo scaricato sullo smarphone.
Seguono alcuni commenti
La piacevolezza di un libro in lingua straniera, dipende molto dalla capacità del traduttore. La versione di Guerra e Pace che ho letto, l'ho scaricata da “liber-liber” - quindi “gratis”- aveva una traduzione pessima: oltre ad arcaismi e toscanismi che appesantivano la scorrevolezza il traduttore aveva avuto pure la cattiva idea di italianizzare i nomi dei personaggi: saltavano i patronimici, la flessione del cognome per le donne, e soprattutto venivano orrori come “Melaniuccia” “Demetriuccio”....
Ho notato una notevole comicità nel romanzo. La descrizione di tutti i nobili spiantati che ronzavano intorno al capezzale di uno dei pochi nobili che i soldi li aveva veramente - tanti - e stava morendo; i dialoghi dei nobili nei “salotti” degni de “La cantatrice calva” di Ionesco; le dichiarazioni di patriottismo nei momenti salienti e poi il ritorno alla banalità; i discorsi degli alti ufficiali e politici (che ricordano molto cose già sentite in certe situazioni lavorative!). Comica è la situazione di Boris Drubetskoy che frequentava, ma non era molto convinto, una ricca ereditiera un po' strana: sapendo che stava per arrivare a Mosca Kuragin, reputato un cacciatore di doti, piuttosto che gli averi della fanciulla possano andare a lui, scioglie ogni riserva e la sposa. Il vecchio bizzarro principe Bolkonskj, dopo che i servi hanno spazzato la neve dalla strada, quando ha saputo che sarebbe venuto Kuragin (il padre), fa rimettere la neve sulla strada. Anche certe scene belliche, seppur drammatiche, come la morte di Petja Rostov, hanno una loro “comicità” per la loro irrazionalità e follia.
Ho trovato molto interessante un tema che piacerebbe ad autori come Niels Pflaeging, Jurgen Appelo, Nassim Taleb, Dario Fabbri e molti altri. L'inconsistenza della figura del “leader” come motore della storia, cioè che le cose avvengano perché un essere “superiore” per qualità intrinseche “decide”, gli altri ubbidiscono e le cose accadono secondo i suoi piani, a meno che si trovi di fronte ad un leader più forte di lui. T. smonta, con il suo narrare, questa supestizione. Si lancia in una digressione bellissima sulla struttura, che noi chiameremmo ad albero, dell'esercito e la sua inadeguatezza a gestire un sistema complesso come una battaglia, dove avvengono tanti piccoli episodi scorrelati tra loro (a quei tempi non esisteva nemmeno la radio) ma la somma di questi porta l'esito, ignoto ai “capi” che si illudono di coordinare e dare ordini.
A Tolstoj stava evidentemente simpatico il generale Kutuzov: lo descrive come un uomo pieno di realismo e lealtà.
Cosa non mi è piaciuto:
1) Ha perso troppo tempo nel cercare di descrivere sensazioni e pensieri interiori dei suoi personaggi.
2) Non mi è piaciuto il finale, perché l'ho trovato troppo prolisso. I due matrimoni, tra i pochi che non sono morti, cioè tra Pierre Bezuchov e Natasha Rostova e tra Nikolaj Rostov e Mar'ja Bolkonskaja potevano essere citati senza perderci troppe pagine. Analogamente per la seconda parte dell'epilogo: tutta l'analisi che fa Tolstoj sul senso della storia, emerge già chiaramente dal romanzo. Poteva magari sottolinearle fra le righe . comunque lo ha fatto - senza scrivere un saggio filosofico che non aggiunge nulla
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