Le mie letture di questo periodo:
- La conversione al Cristiamesimo nei primi secoli - G. Bardy. Finito, è stata una rilettura, molto interesante, ma non sarà il tema di questo post.
Poi, in parallelo: Hannah Arendt - La banalità del male e Stefanie Iris Weiss - EcoSex.
Partiamo dal secondo. Un libro demenziale, tenendo conto che chi l'ha scritto non scherzava, quasi un esempio di umorismo involontario. Analizza le azioni legate alla vita sessuale ed affettiva di una persona e si domanda se ogni azione è eco-compatibile. La rosa che regali alla fidanzata: è stata coltivata con pesticidi? si è fatto ricorso al lavoro infantile? come posso saperlo?...e va avanti così per il letto che usi, come prepari la cena etc...
Vi sono alcuni giudizi che condivido sostanzialmente: 1) i preservativi sono sacchetti si plastica, quindi inquinano (a meno che etc...) 2) Il ragazzo che passa a prendere la ragazza in auto è roba demodè, da anni '50 - per loro americani, per noi da anni '60. Oggi è meglio trovarsi a metà strada in luoghi raggiungibili in autobus o farsi un giro in bici.
Comunque fa troppe concessioni al politically correct (esempio sul tema dell'aborto) e certi passaggi mi sembrano scritti per ciamporgne paranoiche.
Però, e qui interviene Hannah Arendt, che mi fa spezzare una lancia in favore della ciamporgna Stefanie.
La mostruosità di Eichmann consiste nel fatto che Eichmann non fosse un mostro, un sadico, un assatanato. Era "soltanto" un carrierista, uno che voleva farsi una posizione, e per fare ciò doveva fare bene i compiti che gli venivano affidati. Tra l'altro Hannah Arendt subì forti pressioni ed incomprensioni per questo, infatti il "pubblico" voleva un Eichmann violento, sanguinario, accecato dall'ideologia; invece è solo un burocrate efficiente. Ma un alienato. Uno che isolava le sue azioni con i nessi che queste avevano. Come tanti bravi pardri di famiglia nel mondo che fanno carriera nelle fabbriche di armi con cui oggi si stanno uccidondo Siriani, Iraqeni, Yemeniti, Nigeriani, Sudanesi, Ucraini, Ucraini-Russofoni, Messicani...
Invece la ciamporgna Stefanie tende a trovare nessi tra le sue azioni .
Ricordo il famoso episodio di don Giussani che, in una notte stellata in una via poco illuminata s'imbattè involontariamente in una coppia che amoraggiava. “Cosa c’entra quello che state facendocon le stelle?” Esclamò don Giussani.
Il problema della ciamporgna Stefanie è che forse le sue stelle sono un po' troppo basse. Le auguro di poterle alzare.
"Giovane di lungo corso" si riferisce ad una battuta che pare abbia fatto l'on. Bersani. A chi gli diceva di fare spazio ai giovani nel partito lui rispose "Ci vogliono sì giovani, ma giovani di lungo corso!" Non è un blog di politica in senso stretto. Seguendolo si capirà perchè io mi sento un giovane di lungo corso.
mercoledì 15 aprile 2015
La filosofa e la ciamporgna
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mercoledì 8 aprile 2015
Piazza Juventus a Torino -Toponomastica esoterica
Facevo prima elementare. Ero appena uscito di scuola e sulla porta c'erano varie mamme e nonne in attesa dei loro discendenti. Nel tratto che facevamo tornando a casa a piedi, si chiacchierava, saltellava, ci si rincorreva .... insomma non finivamo sbattuti nell'abitacolo, magari saturo di fumo e arbre magique, comunque di stress e fretta. Una volta la mamma del mio compagno Guido (evito il cognome per la privacy) - e Guido era un nome che mi pareva orrendo, guido voleva dire guido la macchina cioè impedisco di gironzolare per la strada, faccio rumore incidenti puzza ...- insomma sta donna mi chiese dove abitassi e io dissi il mio indirizzo, poi spiegai bene dove fosse il luogo e lei esclamò "Ah sì, ho capito, abiti in piazza Juventus!"
Rimasi di stucco, non avevo mai sentito chiamare quel luogo.
Ho scoperto poi che vi sono ragioni storiche che giustificano le toponomastica di quella signora.
Se fossi la Juventus, invece di inventare strane forme di autocelebrazione, darei una congrua mancia al comune di Torino per dedicare quella piazza (o una via che non ha nome e si trova a meno di 100m da quella piazza) alla Juventus - almeno ci sono ragioni storiche.
Sfida ai casuali lettori di questo blog: Qual'è piazza Juventus?
Oltre a piazza Benefica (giardini Martini) e Polo Nord (piazza Marmolada) quali altra toponomastica esoterica conoscete?
Rimasi di stucco, non avevo mai sentito chiamare quel luogo.
Ho scoperto poi che vi sono ragioni storiche che giustificano le toponomastica di quella signora.
Se fossi la Juventus, invece di inventare strane forme di autocelebrazione, darei una congrua mancia al comune di Torino per dedicare quella piazza (o una via che non ha nome e si trova a meno di 100m da quella piazza) alla Juventus - almeno ci sono ragioni storiche.
Sfida ai casuali lettori di questo blog: Qual'è piazza Juventus?
Oltre a piazza Benefica (giardini Martini) e Polo Nord (piazza Marmolada) quali altra toponomastica esoterica conoscete?
sabato 4 aprile 2015
Innovazione: Pane e vino, due strade diverse.
Ho atteso molto a fare il mio 100esmio post. Spero di riprendere a postare con intervalli meno ampi.
Di che parlo? di innovazione. Una parola molto trandy, tutto deve essere innovativo, come in altri contesti di marketing tutto deve essere biologico.
Nel libro Antifragile, mia principale lettura della scorsa estate, si parlava della neomania, e l'autore criticava la moda del nuovo fine a se stesso.
Il problema dell'innovazione secondo me occorre seguire la seguente mappa.
1) capire a cosa serve un prodotto. Elencare le diverse utilità e caratteristiche.
2) definire i punti in cui si vuole migliorare ed apportare le modifiche "innovative"
3) fare dei test di regressione, cioè verificare che il "prodotto innovativo" che migliora una certa funzione, non crei problemi o peggiori le altre prestazioni garantite dalla "maniera vecchia".
Ho già parlato del pane (e pasta) raccontando dello scontro con l'eresiarca Camillo Langone, che negando l'esistenza dei celiaci, si domadava come un popolo di pastasciuttari potesse essere diventato celiaco. La sua obiezione sarebbe potuta essere giusta se il frumento fosse stato lo stesso di 50 anni fa, ma non lo è. Sono cambiate le specie di grano coltivate, spesso ottenute da modificazioni genetiche ottenute via radiazioni, ed è cambiato uil processo produttivo con l'introduzione della mietitrebbia che ha tagliato i tempi di lavoro, ma anche la fase in cui il grano tagliato in attesa di essere mietuto subiva trasformazioni chimiche che ne miglioravano la digeribilità. Innovazione che ha aumentato la quantità, diminuito i tempi(=costi) ma diminuito il potenziale numero degli acquirenti.
Il vino ha seguito un percorso diametralmente opposto. Un tempo il vino era bevuto in grande quantità. Ricordo l'uso dei bottiglioni da 2 litri che oggi giaciono nelle cantine degli ottantenni. Negli anni 70, quando andavo a vendemmiare, i viticultori ricordavano i bei tempi in cui la vendemmia era una festa, da una collina si sentiva una voce che intonava "Marja Gioana l'era 'n sl'us!" e dall'altra il coro rispondeva "L'era 'n sl'us cà filava oh!" e dicevano... oggi invece occorre fare tutto in fretta... in fretta per tagliare sui costi ed ottenere un margini da un prodotto che attirava sempre meno. Il vino non ha seguito la strada più quantità, processo produttivo più rapido per minimizzare i costi. Non poteva, perchè così facendo non avrebbe comuqnue retto la concorrenza della CocaCola.... Ha migliorato la qualità, è diventato un prodotto di pregio. Viene venduto a prezzi molto più alti, personalmente il Barolo è fuori dal mio buget, ma oggi bevo Barbere che non mi fanno rimpiangere i Nebbioli assaggiati quando avevo 20/25 anni. Per non parlare del Dolcetto il mio vino preferito per certi pasti invernali, il Brachetto ottimo con i dolci, o per uscire dai patrii confini del Piemonte, il Refosco dPR che ha allietato le miei ultime vacanze in Friuli, o un vino marchigiano che mi ha entusiasmato o il Lambrusco che disprezzavo ed ora sto rivalutando.
Innovazione? dipende....
Di che parlo? di innovazione. Una parola molto trandy, tutto deve essere innovativo, come in altri contesti di marketing tutto deve essere biologico.
Nel libro Antifragile, mia principale lettura della scorsa estate, si parlava della neomania, e l'autore criticava la moda del nuovo fine a se stesso.
Il problema dell'innovazione secondo me occorre seguire la seguente mappa.
1) capire a cosa serve un prodotto. Elencare le diverse utilità e caratteristiche.
2) definire i punti in cui si vuole migliorare ed apportare le modifiche "innovative"
3) fare dei test di regressione, cioè verificare che il "prodotto innovativo" che migliora una certa funzione, non crei problemi o peggiori le altre prestazioni garantite dalla "maniera vecchia".
Ho già parlato del pane (e pasta) raccontando dello scontro con l'eresiarca Camillo Langone, che negando l'esistenza dei celiaci, si domadava come un popolo di pastasciuttari potesse essere diventato celiaco. La sua obiezione sarebbe potuta essere giusta se il frumento fosse stato lo stesso di 50 anni fa, ma non lo è. Sono cambiate le specie di grano coltivate, spesso ottenute da modificazioni genetiche ottenute via radiazioni, ed è cambiato uil processo produttivo con l'introduzione della mietitrebbia che ha tagliato i tempi di lavoro, ma anche la fase in cui il grano tagliato in attesa di essere mietuto subiva trasformazioni chimiche che ne miglioravano la digeribilità. Innovazione che ha aumentato la quantità, diminuito i tempi(=costi) ma diminuito il potenziale numero degli acquirenti.
Il vino ha seguito un percorso diametralmente opposto. Un tempo il vino era bevuto in grande quantità. Ricordo l'uso dei bottiglioni da 2 litri che oggi giaciono nelle cantine degli ottantenni. Negli anni 70, quando andavo a vendemmiare, i viticultori ricordavano i bei tempi in cui la vendemmia era una festa, da una collina si sentiva una voce che intonava "Marja Gioana l'era 'n sl'us!" e dall'altra il coro rispondeva "L'era 'n sl'us cà filava oh!" e dicevano... oggi invece occorre fare tutto in fretta... in fretta per tagliare sui costi ed ottenere un margini da un prodotto che attirava sempre meno. Il vino non ha seguito la strada più quantità, processo produttivo più rapido per minimizzare i costi. Non poteva, perchè così facendo non avrebbe comuqnue retto la concorrenza della CocaCola.... Ha migliorato la qualità, è diventato un prodotto di pregio. Viene venduto a prezzi molto più alti, personalmente il Barolo è fuori dal mio buget, ma oggi bevo Barbere che non mi fanno rimpiangere i Nebbioli assaggiati quando avevo 20/25 anni. Per non parlare del Dolcetto il mio vino preferito per certi pasti invernali, il Brachetto ottimo con i dolci, o per uscire dai patrii confini del Piemonte, il Refosco dPR che ha allietato le miei ultime vacanze in Friuli, o un vino marchigiano che mi ha entusiasmato o il Lambrusco che disprezzavo ed ora sto rivalutando.
Innovazione? dipende....