Mercoledì sera sono stato, presso la libreria Feltrinelli della Stazione di Porta Nuova, a sentire una conferenza a cura della ESPM sul tema citato nel titolo del post. Parlavano Bruno Bonsignore e Francesco Varanini di Assoetica
All'inizio la conferenza mi sembrava un po' spenta, con i due relatori che parlavano dei massimi sistemi: abituato alle altre conferenze "Questa sera di parla di ..." di ESPM, molto più stringenti con slide proiettate sullo sfondo, mi sembrava un po' generica.
Poi, con l'intervento del pubblico il tema si è fatto interessantissimo.
In particolare un intervenuto ha fatto la domanda che volevo porre: cosa vuol dire etica? Infatti alcuni atteggiamenti sono etici in certi contesti, in altri no. Dai relatori ho individuato due punti di "etica":
1) Fare "bene" quello che si sta facendo, indipendentemente dal fatto che questo sarà poi "premiato" ma come una forma di rispetto per se stessi.
2) D'accordo che siamo tutti diversi per esperienze personali, cultura etc... quindi occorre che i "coni di luce" della nostra visione etica creino un'area comune.
Su questo punto ho cercato un chiarimento più profondo citando quanto avevo detto nel mio post su Pulici e Graziani. Ques'area di luce non si può creare cercando "sorgenti di luce simili" come volevano fare in T%#@ dove mi hanno licenziato perchè "diverso". Come spiega benissimo Jurge Appelo in Management 3.0 con l'immagine delle api, la diversità è una ricchezza! Che cosa allora crea un'area illuminata comune? Non certo le cene aziendali, convention e simile stupidaggini! E' la "materia grezza" del lavoro che crea un'ara comune: erano i terzini portieri stopper e liberi avversaro che facevano sì che due persone che non si "amavano" quando scendevano in campo venivano chiamati "Gemelli del Goal".
Un intervento invece raccontò di un conoscente il cui nonno aveva una importante azienda tessile in Inghilterra. Azienda con case per dipendenti, servizi sociali etc... ma che con la globalizzazione aveva dei costi che non reggevano la concorrenza. Il nonno per la sua visione etica, non volle cambiare, ma l'azienda sostanzialmente fallì. L'etica quindi non era una risorsa.
Qui vorrei richiamare a quanto gia scrissi sulle motivazioni intrinseche.
L'etica del nonno era un etica sulle motivazioni estrinseche, cioè su quando buono fosse il "dopo lavoro". Durante il lavoro tu pensa solo a fare quello che ti è detto "minimizzando l'errore umano" però l'azienda paga questa tua alienazione con un sacco di benefit. Invece avrei "allargato" l'etica, con i seguenti passi:
1) informando ogni dipendente sul processo produttivo di cui lui è un nodo, passo essenziale per rendersi conto dell'utilità di cosa si sta facendo e per il punto successivo.
2) coinvolgendo tutti in un PDCA o kaizendo, proprio per valorizzare ogni persona (e magari cambiare in meglio il rapporto qualità/costo)
3) accettando tutte le idee in un "brainstorming" libero
4) minimizzando le differenze retributive interne, così da diminuire la conflittualità e poichè il ruolo manageriale sarebbe stato meno "verticistico"... da cui il punto 5)
5) seguire i consigli di questo video
Inoltre ricodare che le aziende guadagnano se si focalizzano su "farsi amare di clienti" anzichè su "ridurre i costi"
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