Sebbene il nome del mio blog si rifaccia ad una battuta dell'on. Bersani e l'on.Bersani stesso sia una persona "simpatica" ritengo che Matteo Renzi sia portatore di "aria nuova" nella politica italiana.
Purtroppo solo ora ho avuto il tempo materiale di pubblicare questo post, scritto su carta con matita dell'IKEA venerdi 23 novembre. Lo pubblico così com'è.
Non ho ancora deciso se domenica andrò a votare alla primarie del PD. Ovviamente per votare Matteo Renzi.
PRO: ho trovato molto interessante il programma di Renzi, in paticolare nel fatto che si rende conto che la società è complessa, i cambiamenti devono avvenire dal basso, da cui l'attenzione alla sussidiarietà etc.... Nell'attuale panorama italiano è l'unica alternativa anti-depressiva al fatto deprimente di vivere nella serva italia.
CONTRO 1: occorre aderire al documento del partito democratico in cui vi sono due parole che assolutamente non condivido.
a) Occorre definirsi come "progressisti" A me la parola progresso evoca, nelle migliori ipotesi baffuti gentiluomini con il cilidro o bombetta, sul velocipede che osservano le scoppiettanti vetture automobili, poesie marinettianiane ed immagini di Balla e Depero; nella peggiore delle ipotesi "progresso" evoca il genocidio dei pellerossa e delle culture antiche, disatri ecologici, lavoratori sfruttati... Progresso mi piace solo se accompagnato dall'aggettivo "sostenibile". Non era meglio "riformisti"?
b)Tra i vari pricipi si parla del riconoscimento del merito. Ora ammetto che può essere una concessione al politically correct, ma ho troppo anni di lavoro alle spalle per sapere come si ottiene il merito in certe aziende...(anche private!) sono stato in URSS ed ho visto fabbriche improduttive con addirittura le foto dei migliori lavoratori affisse sulla strada presso l'ingresso principale .... l'URSS era una società altamente meritocratica e sappiamo come è andata a finire. Ma bando alle considerazioni personali, sappiamo che riconoscere il merito è una cosa molto difficile e rischiosa, soggetta alla legge di Goodhart . Interessante e seguire il tema sul blog NOOP.NL dello spesso citato J. Appelo
CONTRO 2: anche sul programma di Renzi ho alcuni dubbi
a) Un certo giovanilismo, mentre il cambiamento non può venire dai giovani (abbiamo visto - Gelmini, Carfagna, Capezzone....) che per emergere sono yes-men oltranzisti quindi il massimo della conservazione. Il cambiamento viene dai vecchi-perdente, cioè dai vecchi le cui idee sono state sconfitte un tempo: da questi, può venire una visione diversa della realtà.
b) La mancata volontà di cambiare la legge Fornero. Invece va cambiata. Perchè chi come me ha messo per anni il 33% e rotti in contributi previdenziali (cosa che non esiste in alcun altro stato) quindi ha avuto uno stipendio basso, e questo perchè in Italia c'è la pensione di anzianità, ora che toccherebbe prenderla si sente dire "non ci sono i soldi".Questo genera una totale mancanza di fiducia nello stato. Se mancano i soldi, li si prendano da altre parti, o si può dire che i contributi messi da domani in poi, maturano di meno quindi... ma non si può dire i sodi che hai messo non esistono!
c) Occorre sottolineare una netta invesione di tendenza rispetto la linea Monti: SMontare l'Italia! Monti ha fallito non solo ecomicamente, (dal previsto lieve incremento del PIL quando è andato al governo al -2,3% realizzati, è un fallimento) ma soprattutto nell'ottica del famoso discorso di Robert Kennedy del 18/3/1968.
La vera forza di una stato sta nell'orgoglio dei suoi cittadini di appartenere a quello stato. Ebbene, Monti e la Fornero da quel punto di vista invece ci fanno sentire sempre di più in sitonia con Ciccio Tumeo l'organista de "Il Gattopardo"
CONTRO 3: date le mie esperienze pregresse, il mio voto porta sfortuna.
"Giovane di lungo corso" si riferisce ad una battuta che pare abbia fatto l'on. Bersani. A chi gli diceva di fare spazio ai giovani nel partito lui rispose "Ci vogliono sì giovani, ma giovani di lungo corso!" Non è un blog di politica in senso stretto. Seguendolo si capirà perchè io mi sento un giovane di lungo corso.
domenica 25 novembre 2012
martedì 13 novembre 2012
Zavorre : la superstizione della fame.
Circa un anno fa avevo partecipato ad un incontro sul tema della crisi, relatore tra gli altri Mario Calabresi, che disse una serie di castronerie molto pesanti.
Lascio perdere i dettagli, ma volevo soffermarmi sull'inizio. Secondo il direttore Calabresi, persona per altri versi molto interessante, siamo in crisi perchè “non abbiamo abbastanza fame” e poi partì con l'equazione: dalla fame nasce l'impegno, dall'impegno il benessere e così via. Gli esempi piuttosto squinternati che faceva, tra l'altro raccontati benissimo, sostenevano quella tesi.
Per la mia esperienza è vero l'opposto: siamo in crisi perchè abbiamo troppa paura di aver fame.
Non sto a fare la mia autobiografia, a spiegare che se avessi seguito i miei irrazionali sogni da giovane “che non ha mai provato la fame” oggi guadagneri come minimo 200 euro mensili in più e con prospettive migliori, mentre sono stato costretto a seguire strade “più serie” ed ora sono nel guano...
Ragiono in termini più generali.
Il “benessere” degli anni cinquanta segnò la “fine della fame” sia per le popolazioni che erano sostanzialmente uscite dalla fame negli anni '30 e vi erano rientrate di brutto durante la seconda guarra mondiale, sia per i “contadini poveri” che non vi erano mai usciti.
Questo fatto ha creato una supersizione, cioè un certo paradigma nel giudacare e di conseguenza di agire che si è mantenuto anche in seguito, quando le condizioni sono cambiate. Ma criteri di giudizio e comportamento inadeguati al contesto sono causa di azioni sbagliate.
Torniamo alla fame: nella storia l'uomo spinto dalla fame, non ha mai fatto nulla di grande. Se Giuseppe Verdi avesse avuto fame, avrebbe continuato a gestire l'albergo dei genitori; Cezanne avrebbe continuato gli affari paterni o avrebbe venduto quadri più consoni alla moda del tempo; Keplero si sarebbe dedicato esclusivamente a fare oroscopi, fregandosene dei formulare le leggi del moto dei pianeti; Mendel non scoprì la genetica per fame, ma per la curiosità. Potrei andare avanti così per pagine.
Ricordo un tale che raccontava che aveva un compagno di classe eccezionalmente bravo nelle materie tecniche e scientifiche. Si aspettava che sarebbe diventato premio Nobel per la fisica o giù di lì. Lo rivide anni dopo: aveva avuto un contratto vantaggiosissimo per progettare elettrodomestici che si rompessero non prima, ma esattamente poche ore dopo la scadenza della garanzia. Aveva guadagnato un bel po' di soldi, ma non era diventato un celebre luminare! Aveva avuto fame.
La “paura di aver fame” ci attanaglia. Non è necessario essere dei Van Goog, che soffri la fame pur di seguire il suo genio: basterebbe essere degli Henry Ford, che vedeva nella ricchezza non il fine delle sue attività, ma il sintomo che le sue attività rispondevano ai bisogni della popolazione.
Non voglio ridurre Gesù Cristo ad “esperto di marketing” (l'hanno già fatto “il primo socialista” e chissà quanti ruoli ancora) ma quando dice “Non di solo pane vive l'uomo” denota di conoscere bene come è fatto l'uomo.
Nel 1954, tal Abrham Maslow ha tentato di formulare una gerarchia di valori che “motivano” il comportamento umano. Pur criticabile, è abbastanza sensata.
La “fame” è al livello più basso.
E' superstizione rispondere sempre a bisogni di un certo livello della “piramide di Maslow” quando, occorrerebbe passare ad un altro. Eppure il consumismo è proprio inventarsi “fami” inesistenti per motivare l'impegno, quando invece le motivazioni dovrebbero essere cercate tra quelle relative a livelli più alti.
Lascio perdere i dettagli, ma volevo soffermarmi sull'inizio. Secondo il direttore Calabresi, persona per altri versi molto interessante, siamo in crisi perchè “non abbiamo abbastanza fame” e poi partì con l'equazione: dalla fame nasce l'impegno, dall'impegno il benessere e così via. Gli esempi piuttosto squinternati che faceva, tra l'altro raccontati benissimo, sostenevano quella tesi.
Per la mia esperienza è vero l'opposto: siamo in crisi perchè abbiamo troppa paura di aver fame.
Non sto a fare la mia autobiografia, a spiegare che se avessi seguito i miei irrazionali sogni da giovane “che non ha mai provato la fame” oggi guadagneri come minimo 200 euro mensili in più e con prospettive migliori, mentre sono stato costretto a seguire strade “più serie” ed ora sono nel guano...
Ragiono in termini più generali.
Il “benessere” degli anni cinquanta segnò la “fine della fame” sia per le popolazioni che erano sostanzialmente uscite dalla fame negli anni '30 e vi erano rientrate di brutto durante la seconda guarra mondiale, sia per i “contadini poveri” che non vi erano mai usciti.
Questo fatto ha creato una supersizione, cioè un certo paradigma nel giudacare e di conseguenza di agire che si è mantenuto anche in seguito, quando le condizioni sono cambiate. Ma criteri di giudizio e comportamento inadeguati al contesto sono causa di azioni sbagliate.
Torniamo alla fame: nella storia l'uomo spinto dalla fame, non ha mai fatto nulla di grande. Se Giuseppe Verdi avesse avuto fame, avrebbe continuato a gestire l'albergo dei genitori; Cezanne avrebbe continuato gli affari paterni o avrebbe venduto quadri più consoni alla moda del tempo; Keplero si sarebbe dedicato esclusivamente a fare oroscopi, fregandosene dei formulare le leggi del moto dei pianeti; Mendel non scoprì la genetica per fame, ma per la curiosità. Potrei andare avanti così per pagine.
Ricordo un tale che raccontava che aveva un compagno di classe eccezionalmente bravo nelle materie tecniche e scientifiche. Si aspettava che sarebbe diventato premio Nobel per la fisica o giù di lì. Lo rivide anni dopo: aveva avuto un contratto vantaggiosissimo per progettare elettrodomestici che si rompessero non prima, ma esattamente poche ore dopo la scadenza della garanzia. Aveva guadagnato un bel po' di soldi, ma non era diventato un celebre luminare! Aveva avuto fame.
La “paura di aver fame” ci attanaglia. Non è necessario essere dei Van Goog, che soffri la fame pur di seguire il suo genio: basterebbe essere degli Henry Ford, che vedeva nella ricchezza non il fine delle sue attività, ma il sintomo che le sue attività rispondevano ai bisogni della popolazione.
Non voglio ridurre Gesù Cristo ad “esperto di marketing” (l'hanno già fatto “il primo socialista” e chissà quanti ruoli ancora) ma quando dice “Non di solo pane vive l'uomo” denota di conoscere bene come è fatto l'uomo.
Nel 1954, tal Abrham Maslow ha tentato di formulare una gerarchia di valori che “motivano” il comportamento umano. Pur criticabile, è abbastanza sensata.
La “fame” è al livello più basso.
E' superstizione rispondere sempre a bisogni di un certo livello della “piramide di Maslow” quando, occorrerebbe passare ad un altro. Eppure il consumismo è proprio inventarsi “fami” inesistenti per motivare l'impegno, quando invece le motivazioni dovrebbero essere cercate tra quelle relative a livelli più alti.