Alla macchinetta del caffè un collega illustrava senza citarla esplicitamente la legge di Peter, o legge dell'incompetenza, secondo cui il lavoro viene svolto sempre da un incompetente. La logica è ferrea. Nelle organizzazioni per essere promosso devi dimostrare la tua abilità (competenza). Ma quando lo dimostri, (diventi competente) allora vieni promosso, e vai a fare qualcosa che non conosci. Lui ridacchiava, ma sebbene in questo periodo abbia problemi molto più gravi per la testa, mi venne in mente come confutarla. In modo positivo ed in modo negativo.
Partiamo dal negativo, per lasciare il dolce alla fine.
1) Siamo in un momento di crisi. Non ti promuovono. Anzi, è un miracolo se riesci a fare quello di cui sei capace. Nessun problema, quindi.
2) In realtà per essere promossi occorrono due cose: o le raccomandazioni o, ancora peggio "l'immagine", "la grinta"... insomma la milano da bere degli anni 80 non ha piu nulla nelle bottiglie, ma ha lasciato fissi certi paradigmi mentali nell'immagine del manager. Quindi in questo caso, è vero si da un incarico ad un incompetente, ma non si distoglie nessun competente dal suo lavoro.
Ma veniamo alla positività.
La legge di Peter si supera ipotizzando un sistema "a rete" anzichè un sistema gerarchico. Ogni nodo della rete mette a disposizione la sua "nuvola" di competenza, cosicchè il sistema intero sia "competente". Questo concetto è spiagato bene in Management 3.0
Lascio a questo post del suo autore una spiegazione chiara e dettagliata
"Giovane di lungo corso" si riferisce ad una battuta che pare abbia fatto l'on. Bersani. A chi gli diceva di fare spazio ai giovani nel partito lui rispose "Ci vogliono sì giovani, ma giovani di lungo corso!" Non è un blog di politica in senso stretto. Seguendolo si capirà perchè io mi sento un giovane di lungo corso.
domenica 27 novembre 2011
domenica 13 novembre 2011
L'Italia non crescerà, lo dice il pesce surgelato
Non amo la PNL, anzi ritengo che sia abbastanza pericolosa per chi la usa. Utilizzando certe tecniche per concentrarsi sul raggiungimento del risultato, è abbastanza facile perdere il "polso" del contesto e di conseguenza il "valore" del risultato che si vuole raggiungere. (vedi film Cars).
Con tutto ciò, è praticamente poco probabile raggiungere un risultato se dentro di se non si è convinti di raggiungerlo. Questo gli allenatori di calcio lo sanno benissimo.
Allora domandiamoci: "Il popolo italiano, dentro di se, vuole la crescita? Cioè, vuole quella crescita del PIL come avevamo negli anni '50 e che ora hanno i paesi BRIC? "
Per ora tralascio di esplicitare quello che è il mio pensiero. Noto che le persone che mi circondano, non hanno come primo desiderio quello di avere più cibo o più "roba", ma quello di "essere meno stressati", di non dover fare tutto di corsa... La fretta è il nuovo nome della fame.
Obiezione: la mia conoscenza della situazione è parziale: va bene. Chi c'è l'ha più precisa? Sicuramente i pubblicitari. Allora confronterei le pubblicità che vedevo quando ero ragazzo e quelle più o meno attuali.
Quando ero ragazzo le pubblicità vertevano sull'abbondanza, sull'accessibilità del prodotto, sulle meraviglie portate dal progresso mediante la tecnica. Oggi invece o sono di tipo puramente compulsivo (anche auto e telefonia non puntano sul "progresso tecnologico") oppure su un immagine di vita più tranquilla (il mulino bianco è un esempio tipico)
Ecco un esempio che risale ormai a qualche anno fa. Quando ero ragazzo la pubblicità del pesce surgelato sottolineava la quantità del pesce che si vedeva pescato da un peschereccio e la "moderna tecnica di consevazione." Se non vado errato circa dieci anni fa invece la stessa ditta di pesce surgelato faceva vedere una coppia innamoratissima (bisogno di relazioni) in un posto isolato ma suggestivo (bisogno di tranqullità) che mangiava appunto il pesce surgelato.
Non amo Serge Latouche (anche se le sue provocazioni vanno prese seriamente). Occorre la crescita. Ma bisogna intendersi su che crescita. "Che ci serve?" O un consumismo compulsivo, o pensare una crescita non consumistica.
Chiarito questo, allora si potrà ritornare a crescere.
Con tutto ciò, è praticamente poco probabile raggiungere un risultato se dentro di se non si è convinti di raggiungerlo. Questo gli allenatori di calcio lo sanno benissimo.
Allora domandiamoci: "Il popolo italiano, dentro di se, vuole la crescita? Cioè, vuole quella crescita del PIL come avevamo negli anni '50 e che ora hanno i paesi BRIC? "
Per ora tralascio di esplicitare quello che è il mio pensiero. Noto che le persone che mi circondano, non hanno come primo desiderio quello di avere più cibo o più "roba", ma quello di "essere meno stressati", di non dover fare tutto di corsa... La fretta è il nuovo nome della fame.
Obiezione: la mia conoscenza della situazione è parziale: va bene. Chi c'è l'ha più precisa? Sicuramente i pubblicitari. Allora confronterei le pubblicità che vedevo quando ero ragazzo e quelle più o meno attuali.
Quando ero ragazzo le pubblicità vertevano sull'abbondanza, sull'accessibilità del prodotto, sulle meraviglie portate dal progresso mediante la tecnica. Oggi invece o sono di tipo puramente compulsivo (anche auto e telefonia non puntano sul "progresso tecnologico") oppure su un immagine di vita più tranquilla (il mulino bianco è un esempio tipico)
Ecco un esempio che risale ormai a qualche anno fa. Quando ero ragazzo la pubblicità del pesce surgelato sottolineava la quantità del pesce che si vedeva pescato da un peschereccio e la "moderna tecnica di consevazione." Se non vado errato circa dieci anni fa invece la stessa ditta di pesce surgelato faceva vedere una coppia innamoratissima (bisogno di relazioni) in un posto isolato ma suggestivo (bisogno di tranqullità) che mangiava appunto il pesce surgelato.
Non amo Serge Latouche (anche se le sue provocazioni vanno prese seriamente). Occorre la crescita. Ma bisogna intendersi su che crescita. "Che ci serve?" O un consumismo compulsivo, o pensare una crescita non consumistica.
Chiarito questo, allora si potrà ritornare a crescere.