Ho sentito recentemente da qualche liberale-liberista-crescitista dire "non facciamo dell'Italia un paese per vecchi!" Ebbene, la locuzione "paese per vecchi" viene dal titolo del best-seller di Cormac McCarthy "Non è un paese per vecchi" . Evidentemente chi l'ha detto non ha letto il libro, fatto di due livelli di scrittura: i commenti del poliziotto "vecchio" e la descrizione dei fatti. Il poliziotto, abituato per anni a lottare contro malfattori, che pure avevano una certa logica ed una loro "dignità" si sente a disagio, non capisce più la nuova criminalità che uccide "a tappeto" al di sopra del necessario per il delitto progettato. Ora se l'Italia non deve essere un paese per vecchi, significa che i rapporti devono essere di estrema ed inutile violenza?
L'Italia deve essere un paese per tutti, quindi anche per i vecchi. La ricchezza di una nazione sta nella capacità di valorizzare il diverso. Valorizzare ho detto, non solo accogliere, cioè accogliere il valore che può dare. Anche il lavoro dei vecchi.
Sul tema delle "pensioni" ci ritorno, ma ora vorrei citare un fatto che appartiene alla storia della famiglia.
Una sorella di mio nonno (la già citata suor M. Fortunata) divenne suora e visse fino a 97 anni. Ma gli ultimi anni della vita li trascorse praticamente inferma, impossibilitata a camminare, quasi sorda... Ebbene chiedeva alle consorelle di poter cucire, rammendare... insomma tutti lavori che riusciva ancora a svolgere. Inoltre nella congregazione vi erano suore addette all'assistenza delle consorelle anziane. Una suora di queste ci disse che lei, stando con suor Fortunata aveva "imparato molto" (e suor Fortunata era assistita da lei).
Ma la società in cui viviamo è disposta ad accettare il lavoro dei "diversi"?
"Giovane di lungo corso" si riferisce ad una battuta che pare abbia fatto l'on. Bersani. A chi gli diceva di fare spazio ai giovani nel partito lui rispose "Ci vogliono sì giovani, ma giovani di lungo corso!" Non è un blog di politica in senso stretto. Seguendolo si capirà perchè io mi sento un giovane di lungo corso.
martedì 25 ottobre 2011
giovedì 13 ottobre 2011
IKEA, no grazie! (peccato, però...)
Strano, ma vero. Io sono un estimatore di IKEA, ho comprato molti articoli IKEA. Ammiro la filosofia "lean", non sul modo di produrre che ingoro, ma contenuta nei prodotti stessi.
Nella mitologia politically correct sulle multinazionali, McDonals' è "nobbuono" e IKEA è "buono".
Il mio disappunto con IKEA non è nemmeno legato alla pubblicità che rappresenta un coppia gay. (Dalle mie citazioni di don Milani e di don Giussani, si può evincere che io sono cattolico osservante, ma proprio perchè stimo quei due personaggi, non ritengo sensato perdersi in "battaglie di retroguardia"!)
Il mio disappunto con IKEA non è legato nemmeno alla polemica sulla nuova sede, la cui autorizzazione recentemente è stata negata dalla Provincia di Torino.
Il mio disappunto con IKEA non è legato nemmeno ad un prodotto che non mi ha soddisfatto, anzi è per un prodotto di cui possiedo un esemplare, e ne vorrei comprarne un altro : uno scaffale BENNO.
Ma, soprattutto da quando la IKEA non è più presso il centro commerciale "Le GRU", andare fisicamente mi porta via troppo tempo, almeno tre ore. E' molto difficile trovare tre ore libere consecutive.
Sarei disposto disposto a pagare un servizio di acquisto on-line (fornito da molti altri venditori) fino a 30 euro.
Invece IKEA, sì, ti porta a casa la roba, ma devi andare tu fisicamente nel magazzino a chiederla, proprio quello che volevo evitare.
E qui inizia il "bello". Volevo segnalare a IKEA questo problema, per convicerli ad attivare il servizio. (Lo so, non basta la mia e-mail, ma se questa fosse stata la 500esima della settimana...) Invece non è possibile fare segnalzioni. All'IKEA - negozio fisico - c'è una "cassetta-dei-suggerimenti", ma nel negozio fisico, appunto!
Ero giunto al punto di voler connettermi al signor Ingvar Kamprad su linkedin per poter comunicare!
Non capisco questa volontà evidente di IKEA "se non vieni fisicamente, non puoi neanche parlarci". Avranno fatto i loro conti, avranno la loro "politica di qualità"... va a sapere. Ma sta di fatto che io sono fuori dal loro target di mercato e starò, purtroppo, senza BENNO.
PS: Tornando al discorso della "provincia di Torino" che ha negato l'autorizzazione, se fossi stato Saitta avrei fatto anch'io così, per "pararmi il culo". Finchè vieti va sempre bene, ma se autorizzi potrai avere rogne, in futuro. Ma a parte questa "distorsione italica", è proprio importante andare fisicamente "in loco" per avere un prodotto standard, a catalogo?
Ho scritto questo post sperando che qualche responsabile IKEA lo legga.
Nella mitologia politically correct sulle multinazionali, McDonals' è "nobbuono" e IKEA è "buono".
Il mio disappunto con IKEA non è nemmeno legato alla pubblicità che rappresenta un coppia gay. (Dalle mie citazioni di don Milani e di don Giussani, si può evincere che io sono cattolico osservante, ma proprio perchè stimo quei due personaggi, non ritengo sensato perdersi in "battaglie di retroguardia"!)
Il mio disappunto con IKEA non è legato nemmeno alla polemica sulla nuova sede, la cui autorizzazione recentemente è stata negata dalla Provincia di Torino.
Il mio disappunto con IKEA non è legato nemmeno ad un prodotto che non mi ha soddisfatto, anzi è per un prodotto di cui possiedo un esemplare, e ne vorrei comprarne un altro : uno scaffale BENNO.
Ma, soprattutto da quando la IKEA non è più presso il centro commerciale "Le GRU", andare fisicamente mi porta via troppo tempo, almeno tre ore. E' molto difficile trovare tre ore libere consecutive.
Sarei disposto disposto a pagare un servizio di acquisto on-line (fornito da molti altri venditori) fino a 30 euro.
Invece IKEA, sì, ti porta a casa la roba, ma devi andare tu fisicamente nel magazzino a chiederla, proprio quello che volevo evitare.
E qui inizia il "bello". Volevo segnalare a IKEA questo problema, per convicerli ad attivare il servizio. (Lo so, non basta la mia e-mail, ma se questa fosse stata la 500esima della settimana...) Invece non è possibile fare segnalzioni. All'IKEA - negozio fisico - c'è una "cassetta-dei-suggerimenti", ma nel negozio fisico, appunto!
Ero giunto al punto di voler connettermi al signor Ingvar Kamprad su linkedin per poter comunicare!
Non capisco questa volontà evidente di IKEA "se non vieni fisicamente, non puoi neanche parlarci". Avranno fatto i loro conti, avranno la loro "politica di qualità"... va a sapere. Ma sta di fatto che io sono fuori dal loro target di mercato e starò, purtroppo, senza BENNO.
PS: Tornando al discorso della "provincia di Torino" che ha negato l'autorizzazione, se fossi stato Saitta avrei fatto anch'io così, per "pararmi il culo". Finchè vieti va sempre bene, ma se autorizzi potrai avere rogne, in futuro. Ma a parte questa "distorsione italica", è proprio importante andare fisicamente "in loco" per avere un prodotto standard, a catalogo?
Ho scritto questo post sperando che qualche responsabile IKEA lo legga.
martedì 4 ottobre 2011
Scrum in Churh (3 parte )
Ora mi addentro in un terreno quanto mai difficile. Partendo dall' affermazione citata in questo post, vale a dire
"i modi in cui ci organizziamo, le strutture che creiamo per ordinare le nostre vite, e il nostro lavoro, rispecchiano la nostra più profonda visone teologica" mi domando, che visione teologica sottendono le strutture organizzative qui in Italia?
So che è un discorso difficile. Io a differenza di molti miei connazionali della mia generazione o poco più vecchi, non ho avuto una infanzia giovinezza tutta "oratorio pallone servir messa" da cui poi emanciparsi tenendo alcuni buoni principi. Sebbene di famiglia cattolica, da ragazzino non frequentai oratori; il cattolicesimo fu sostanzialmente una scoperta dai diciannove anni in su. Ho gia censurato un post in cui esprimevo il mio giudizio su una certa "formazione" cattolica, e ora vado con i piedi di piombo.
Vi è subito una risposta facile. L'Italia è una nazione cattolica, la chiesa cattolica ha una struttura gerarchica, quindi le strutture organizzative che ne conseguono sono di tipo piramidale. Risposta facile da elzeviro, ma doppiamente falsa.
"i modi in cui ci organizziamo, le strutture che creiamo per ordinare le nostre vite, e il nostro lavoro, rispecchiano la nostra più profonda visone teologica" mi domando, che visione teologica sottendono le strutture organizzative qui in Italia?
So che è un discorso difficile. Io a differenza di molti miei connazionali della mia generazione o poco più vecchi, non ho avuto una infanzia giovinezza tutta "oratorio pallone servir messa" da cui poi emanciparsi tenendo alcuni buoni principi. Sebbene di famiglia cattolica, da ragazzino non frequentai oratori; il cattolicesimo fu sostanzialmente una scoperta dai diciannove anni in su. Ho gia censurato un post in cui esprimevo il mio giudizio su una certa "formazione" cattolica, e ora vado con i piedi di piombo.
Vi è subito una risposta facile. L'Italia è una nazione cattolica, la chiesa cattolica ha una struttura gerarchica, quindi le strutture organizzative che ne conseguono sono di tipo piramidale. Risposta facile da elzeviro, ma doppiamente falsa.
1) In realtà il cattolicesimo è molto più complesso. Per dirla con un immagine di Management 3.0. ha due punti di vista: carisma ed istituzione. Non mi addentro per evitare di scrivere eresie, ma ai tempi di Pio IX, c'era il carisma di don Bosco approvato ma non "programmato" dalla gerarchia; nel quattrocento, ai tempi in cui i papi erano ad Avignone... la chiesa in Italia era trascinata da una signorina anoressica, manco suora, solo "mantellata", che poi sarà proclamata dottore della chiesa (Caterina); idem nel '500 una grande avventura religiosa cominciò da un ex militare in convalescenza (Gesuiti); oggi è S. Francesco, anch'egli un laico ma con una grande influenza nella chiesa.... Insomma l'istituzione da il benestare, ma quello che la muove è il carisma.
2) Ma l'italia è una nazione cattolica? Dipende. Sicuramente nell'oraganizzazione del lavoro nell'età industriale il cattolicesimo ha detto molto poco. Non sto a dire che la rivoluzione industriale è stata fatta da non-cattolici, (in Piemonte Leumann, Abegg), ma per motivi storici che non sto ad indagare, i cattolici hanno giocato di rimessa. Il gia citato, grandissimo, don Bosco faceva in modo che i suoi ragazzi avessero un mestiere, firmava lui stesso i contratti (individuali) con i datori di lavoro e vedeva che venissero rispettati, ma aveva ben altro da fare che vedere come fosse l'organizzazione dentro l'opificio.
Il modello industriale è stato copiato come un fatto ineluttabile. Ci si è ricordati di essere italiani (e quindi forse anche cattolici) in tutte quelle attività "intorno" all'azienda (solidarietà, giustizia, ridistribuzione del profitti) ma mai questo ha intaccato "dentro" l'azienda. In Giappone per esempio non è stato così.
La peculiarità italiana si è manifestata nelle attività artigianali, ma nelle grandi strutture non è emerso, che io sappia nulla di "alternativo".
-
Quanto ho detto (che se qualcuno riesce a smentirmi, ben venga) ha due aggiunte.
Mi si obietterà che non si può ricavare dal Vangelo una metodologia di gestione aziendale... verissimo, ma la frase di partenza era "i modi in cui ci organizziamo, le strutture che creiamo per ordinare le nostre vite, e il nostro lavoro, rispecchiano la nostra più profonda visone teologica" quindi la "visione teologica" rispecchiata è uno sdoppiamento di personalità, una visone dualistica per cui esistono argomenti dell'esistenza su cui non c'è nulla da dire.
Il modello industriale è stato copiato come un fatto ineluttabile. Ci si è ricordati di essere italiani (e quindi forse anche cattolici) in tutte quelle attività "intorno" all'azienda (solidarietà, giustizia, ridistribuzione del profitti) ma mai questo ha intaccato "dentro" l'azienda. In Giappone per esempio non è stato così.
La peculiarità italiana si è manifestata nelle attività artigianali, ma nelle grandi strutture non è emerso, che io sappia nulla di "alternativo".
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Quanto ho detto (che se qualcuno riesce a smentirmi, ben venga) ha due aggiunte.
Mi si obietterà che non si può ricavare dal Vangelo una metodologia di gestione aziendale... verissimo, ma la frase di partenza era "i modi in cui ci organizziamo, le strutture che creiamo per ordinare le nostre vite, e il nostro lavoro, rispecchiano la nostra più profonda visone teologica" quindi la "visione teologica" rispecchiata è uno sdoppiamento di personalità, una visone dualistica per cui esistono argomenti dell'esistenza su cui non c'è nulla da dire.
Ma è mai esistito un approccio "cattolico" all'organizzazione del lavoro collettivo? Come ho già detto, il vangelo non è un manuale delle giovani marmotte, ma quell' insieme di desideri-indizi-riflessioni che ti fa trovare il messaggio cristiano affascinante per la tua vita, in qualche modo ti fa anche desiderare che questa assuma certe "forme" e te le suggerisce. Quindi, per rispondere all'ultima domanda, si! Sto leggendo un libro di Massimo Folador, sull'organizzazionde del lavoro e la regola di S. Benedetto. (Dopo aver letto Management 3.0 lo trovo un po' prolisso e pesante, ma è interessante)