martedì 25 gennaio 2011

Dalla fabbrica senza operai all'azienda senza capi?

In due miei post precedenti (1 e 2) avevo raccontato delle mie esperienze nella factory automation (e in quegli anni era anche trandy la voce office automation).
Abbiamo visto, e magari ci tornerò, che la factory automation, non ha dato i risultati che allora ipotizzavo: ancora morti sul lavoro, i nuovi lavori nel terziario non così qualificanti, la globalizzazione...

E ecco al titolo del post, volutamente provocatorio: in relatà io non ho nulla di social-proletario rivoluzionario velleitario che direbbe "licenziando un manager si salverebbe il posto a tanti operai..." e imitando baffone "quanta sensoristica serve per sostituire un manager?"   
Mi metto nei panni di un investitore: vorrei il massimo del ritorno dei miei investimenti. Mi accorgerei che probabilmente dovrei intervenire sul modello organizzativo, e questo non costerebbe nulla in termini di hardware (se non qualche libro o partecipazione a corsi). 
Un modello che mi pare interessante è  Martie the management model riportato nel libro  management3 0 di Jurgen Applelo, anche se devo ammettere, il libro non l'ho ancora letto.

Ritengo che il modello comando-controllo, possa andar bene per prodotti assodati ed immutabili o, forse, per gestire brevi emergenze. Ma si può produrre innovazione con un modello aziendale che si ispira all'esercito napoleonico?
Vi sono imprenditori che si appellano al principio di sussidiarietà nei confronti dello stato e della sua invadente burocrazia: è corretto, ma all'interno della loro realtà produttiva questo principio è implementato?


I manager rimarranno sempre, ma il loro ruolo sarà notevolmente diverso e, spero per loro, più interessante

domenica 16 gennaio 2011

Animali anni '80

Avevo in mente un altro post, ma non ho il tempo di prepararlo. Per lasciare comunque sempre vivo il blog prendo questo stralcio da un altro manufatto testuale. Siccome prevedo che questo manufatto testuale non arriverà alla fine, almeno nel breve, ritaglio quanto segue, (ricordando che ho saltato tutta la digressione su individuo-branco, doverosa visto che non sono un seguace di Marvin Minsky):


Negli anni 80 andava di moda un testo che vidi affisso in alcuni uffici. Sostanzialmente diceva
 
“In Africa ogni mattina un leone sa che se vuole mangiare, deve catturare una gazzella e per farlo deve correre. Una gazzella sa che se vuole salvarsi dal leone deve correre, quindi che tu sia leone o che tu sia gazzella, se vuoi sopravvivere comincia a correre”. 
 
Non ho mai avuto un buon rapporto con gli animali. Quei cosi semoventi, di cui non capisco chi tenga il telecomando, mi hanno sempre ispirato poco. La mia cultura zoologica si ferma agli “strano ma vero” e “...forse non tutti sanno che” de La Settimana Enigmistica. Eppure quella storia mi sembrava scientificamente sbagliata e quindi sbagliata anche nella morale.
I grandi predatori prima di lanciarsi nella corsa se ne stanno bene acquattati a scrutare il branco per selezionare la preda, che non é quella più grande e florida, ma al contrario, quella che presumibilmente lo farà correre di meno: la caccia deve concludersi massimizzando il guadagno energetico.
 Il branco invece, con il dispiacere per la perdita del singolo erbivoro, da un lato tende a proteggere i piccoli e le madri gravide, dal altro può avere un vantaggio a perdere un elemento che potenzialmente malato e quindi infetto. Un amico zoofilo mi ha spiegato che nei ripopolamenti di animali delle nostre aree protette, dove la catena alimentare non é completa, la mancanza di predatori ha come conseguenza una maggior diffusione di epidemie nei branchi.
 
Quel testo va così riscritto.
 
E' mattino presto: Un leone, nascosto, sta scrutando un branco per scegliere quale individuo sarà più facile raggiungere, senza dover sfiancarsi a correre. Un branco di gazzelle, sentendo la presenza di un leone, cerca di proteggere i piccoli lasciando isolati gli individui meno sani.
Se sei leone: osserva bene e rifletti prima di correre.
Se sei un branco, non puoi tenere tutto: devi concentrarti solo sull'essenziale, lasciando perdere quello che potrebbe diventare per te una zavorra.
Ma sei un essere umano. L'Umanità ha ideato le Tecnologie affinché quello che sprecheresti oggi diventi una risorsa domani. L'Umanità ha inventato la Cultura affinché i tuoi talenti siano utili a tutti e le tue lacune siano colmante dal talento altrui. Rassegnati, non siamo fatti per correre, ma per camminare insieme.

domenica 9 gennaio 2011

La fabbrica senza operai

Ritorno all'argomento di un mio post precedente, di quando negli anni '80 mi occupavo di Computer-integrated manufacturing (CIM). Allora si parlava di "fabbrica senza operai". 
Il nostro senso etico si ribellava a masse di disoccupati sostituiti da CNC, Robot,  trasloelevatori, PLC e sensoristica varia,  tutti guidati da un computer collegato ad un mainframe... 
Sapevamo che i lavori facilmente eliminabili dall'automazione erano di per se lavori ripetitivi, alienanti e talvolta posti in ambienti malsani. Il valore aggiunto di una produzione "capital intensive" anzichè "labour intensive" avrebbe creato possibilità di nuovi impieghi nel terziario.
Allora pensavamo che "terziario" avesse voluto dire assistenza agli anziani e disabili, valorizzazione del patrimonio artistico... e non pensavamo di certo che i posti creati nel terziario fossero da risponditori di call center! 
Ma mai e poi mai ci sarebbe passato per la testa che più dell'automazione avrebbe potuto la globalizzazione: la riduzione dei costi si sarebbe ottenuta portando il lavoro in luoghi dove il lavoro era meno oneroso e la nocività della produzione, portando il lavoro dove non esistono o non vengono rispettati regolamenti in merito.
Ma mai e poi mai mi sarebbe venuto in mente un altro argomento che, almeno qui in Italia, non è venuto in mente pare a nessuno. Quale? Altra puntata.